The substance, recensione del body horror di Coralie Fargeat
The substance è la seconda opera di Coralie Fargeat, nonché il primo film in lingua inglese della regista. Presentato in anteprima al 77º Festival di Cannes, arriva in sala in Italia il 30 ottobre e si presenta come una riflessione sulla decadenza morale e sull’ossessione per la giovinezza eterna.
La pellicola strizza l’occhio ad un’opera immortale entrata ormai nell’immaginario comune, Il ritratto di Dorian Gray, aggiungendo all’intreccio macchine da presa e un impossibile e innaturale standard di bellezza da raggiungere. In The substance, l’occhio della telecamera, così come quello dello spettatore, è fissato sul corpo della donna: ammirato, desiderato e disprezzato. Coralie Fargeat mette in scena un horror femminista che raccoglie perfettamente l’essenza dell’essere donna nella società di oggi.
Trama (in breve e senza spoiler) di The Substance
Il film racconta la discesa nell’oblio della star del fitness Elisabeth Sparkle (Demi Moore), cacciata dal suo stesso programma una volta compiuti 50 anni. Rigettata dal mondo che prima l’aveva messa su un piedistallo, Elisabeth cade nella disperazione più buia, finché dal cielo non le arriva una soluzione inattesa: la sostanza, capace di creare una nuova e più giovane versione di se stessi. Letteralmente. Dopo essersi inoculata la sostanza, dal suo corpo si genera per partenogenesi un nuovo corpo, Sue (Margaret Qualley). Toccherà alle due dividersi la stessa vita e mantenere l’equilibrio tra di loro, soprattutto perché, come ricordano le regole della sostanza: Remember, you are one.
Eva contro Eva
The substance ci presenta una tragedia orrorifica squisitamente divisa in tre atti – l’esposizione, il conflitto, la catastrofe – seguendo i canoni delle più grandi tradizioni teatrali. D’altronde, la vita di Elisabeth, sempre sotto i riflettori, è stata per decenni un palcoscenico costantemente osservato dai telespettatori. Desiderata, invidiata, ammirata, tanto da avere una propria stella sulla walk of fame. Sfortunatamente, persino le stelle più luminose sono destinate a spegnersi, e il cielo è così vasto che ben presto gli occhi di chi guarda trovano altri astri su cui concentrarsi. Allo stesso modo, lo spettatore, dopo aver conosciuto Elisabeth e aver assistito alla sua caduta dall’Olimpo delle star, ora si ritrova a puntare lo sguardo su Sue e sulla (ri)conquista del territorio che prima era di Elisabeth.
Le inquadrature si concentrano su ambienti chiusi — la casa, il bagno, gli studi — creando una persistente sensazione di claustrofobia che accompagna lo spettatore dall’inizio alla fine. Questa stessa claustrofobia si riflette nella consapevolezza di trovarsi intrappolati nel proprio corpo, soggetto all’inesorabile avanzare del tempo. È una claustrofobia amplificata anche e soprattutto dal ciclo senza fine della ricerca di ammirazione da parte di Elisabeth, che la tiene imprigionata in una gabbia dorata fatta di riflettori e flash. In The substance non ci sono mezze misure: ogni cosa è illuminata dalle luci accecanti dello studio, dalla vita libera e piena di Sue, oppure è tutto cupo e angoscioso, così come la nuova realtà di cui Elisabeth è vittima. Non esistono chiaroscuri perché d’altronde, così come dimostra la storia, nel mondo della televisione o sei dentro o sei fuori. O sei la star del momento o sei il solo un nome da aggiungere a tutte le altre meteore decadute.
Nonostante questo contrasto netto tra le due protagoniste (che tecnicamente sono una, come ci ricorda più volte una misteriosa voce al cellulare) Demi Moore e Margaret Qualley brillano allo stesso modo sul grande schermo. Odio, gelosia, disprezzo, ossessione: le due riescono a mostrare passo dopo passo tutte le sfumature della caduta verso l’abisso della disperazione. Coralie Fargeat fa tutto questo con un ritmo sempre più serrato, rapisce lo spettatore e lo porta all’interno della storia, esaspera le esigenze che ogni giorno vengono espresse sul corpo della donna, enfatizza l’assurdità di quelle richieste, mette in mostra l’impossibilità di raggiungere la perfezione. Un film pieno di rabbia e risentimento, di angoscia e inquietudine, e Fargeat ci prende per mano e ci accompagna nel vortice di (auto)distruzione di Elisabeth.
Body horror: l'avidità mostruosa
Come nei migliori esempi di body horror, in cui l’orrore si concentra sulla trasformazione, deformazione e mutazione del corpo, The Substance presenta una narrazione volutamente sopra le righe, con elementi esagerati e spesso assurdi. Il tema centrale della pellicola è la duplicità del corpo: da un lato, corpi mostruosi e respinti; dall’altro, corpi seducenti e desiderati. La mostruosa degenerazione di Elisabeth inizia con la demonizzazione dei segni dell’età – rughe, occhiaie, un corpo che non è più tonico come lo era vent’anni prima – crescendo progressivamente fino a diventare una manifestazione estrema e concreta. Elisabeth disprezza sempre di più la propria immagine e perde progressivamente il controllo sulla propria identità fisica e morale. Parallelamente, Sue prende sempre di più il potere e si trasforma in una figura priva di scrupoli, assetata di fama, incantatrice con la sua sensualità radicata in un corpo giovane e intatto, rappresentazione di una perfezione idealizzata. Tuttavia, la sua brama di potere rivela un egoismo avido, svelando una corruzione celata dietro la purezza apparente. Il film si configura come una potente metafora della fragilità dell’identità e della corruzione del corpo umano, ricordandoci che non si può sfuggire né a se stessi né al tempo che consuma. Il corpo mostruoso, quindi, finisce per incarnare inevitabilmente la corruzione interiore e diventarne specchio nell’esteriorità.