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Road to Oscar: La zona d’interesse, la recensione

Road to Oscar: La zona d’interesse, la recensione

La zona d’interesse, ultimo film di Jonathan Glazer, è tratto dal romanzo omonimo di Martin Amis (Einaudi, 2014) e la sua uscita nelle sale, a partire dalla presentazione alla scorsa edizione del Festival di Cannes, è stata una delle più attese del 2024. Prodotto dalla A24 e distribuito nei cinema italiani il 22 febbraio grazie ad I Wonder Pictures, La zona d’interesse si classifica già come uno dei film migliori degli ultimi anni ed una sua ipotetica vittoria ai prossimi Oscar non ci sembra così improbabile.

La zona d'interesse: un titolo di Storia e genocidio

Con “zona di interesse” si intende il nome dato dalle SS ad una porzione di territorio, di circa 40km quadrati, che ospitava le case dei residenti polacchi della città di Aushwitz. La stragrande maggioranza di queste case venne rasa al suolo per fare spazio alla costruzione del campo di concentramento, mentre tutte le altre vennero affidate ai comandanti delle SS affinché potessero seguire da vicino ciò che accadeva nella prigione a cielo aperto. Una di queste case venne assegnata al comandante Rudolf Höß. Questo nome ad alcuni
potrebbe non dire nulla, ma sono sicura che agli appassionati di Storia si sarà già gelato il sangue. Rudolf Höß era uno dei più stretti collaboratori di Hitler, suo compagno di prigionia e dattilografo del Mein Kampf su dettatura del Führer. Numero tre del partito, viene ricordato soprattutto per essere stato il responsabile della deportazione di 700.000 ebrei ungheresi nel campo di Aushwitz. Per lui non esistevano prigionieri che dovessero rimanere tali, ma solamente uomini da uccidere e alla svelta.

Dopo una breve contestualizzazione del personaggio chiave della pellicola, mi sento di inserire un’avvertenza per i futuri spettatori. Un po’ come avrebbe fatto Dante, vi voglio dire di lasciare ogni speranza al di fuori della sala. Se è vero che non esiste alcuna certezza dell’aldilà, quel che è certo è che ciò che accadde nella prima metà degli anni Quaranta fu quanto di più vicino all’inferno vi sia mai stato sulla Terra. Rudolf Höß e la sua famiglia vi sembreranno umani all’apparenza ma, con lo scorrere del minutaggio e lo scavare sempre
più nei loro animi, vi renderete conto che nulla di buono è rimasto. Il regista non mostra mai alcuna violenza, ma ciò che lascia intendere è ben più forte di qualsiasi rappresentazione sia mai stata fatta dell’orrore della Shoah. La brutalità non sta nel vedere sullo schermo dei corpi nudi e denutriti, ma nel sentire gli Höß lamentarsi del freddo mentre alle loro spalle vediamo levarsi un’inconfondibile coltre di fumo. Quanto sarà stato gelido quell’inverno per i bambini al di là del muro, costretti a dormire sopra a delle brande di legno ed con un unico pigiama a righe a proteggerli?

La banalità del male: il concetto alla base di La zona d'interesse

Ciò che qui si vede benissimo è la banalità del male della quale ci parlava Hannah Arendt. Sì, perché a stupirci non è l’atteggiamento impassibile di un comandante delle SS, ma quello di sua moglie. Non possiamo che rimanere sconcertati dalla semplicità con la quale la donna si prova un rossetto trovato in una pelliccia (che capiamo essere di una deportata) o dalla superbia che la pervade nell’essere chiamata “La regina di Aushwitz”. Hedwig prima della guerra era una donna semplice, figlia di una serva e desiderosa di mettere su famiglia
al più presto. Ora a muoverla è un’insaziabile sete di potere, un’indifferenza ripugnante. Qui mi sento di sottolineare la bravura inequivocabile di un’attrice come Sandra Hüller che solamente qualche mese fa si era fatta notare dal grande pubblico grazie ad Anatomia di una caduta (dir. Justine Triet, 2023) e che si sta rivelando una piacevolissima scoperta.

Già apparentemente imperturbabile nel film della Triet (nel quale impersonava una donna che aveva appena perso il marito in seguito ad un tragico incidente), qui raggiunge picchi di freddezza che riescono a sovrastare anche quella di un gendarme nazista. Quando si prospetta l’eventualità di un trasferimento per il marito, lei è irremovibile: qui ha costruito il suo “spazio vitale” e non ha intenzione di andarsene. Non importa quanta sofferenza vi sia a pochi metri in linea d’aria dal suo giardino pieno di peonie, Hedwig è felice come mai
lo era stata prima.
L’unico che sembra capire cosa stia davvero succedendo è il suo bambino, che, terrorizzato dalle continue urla dei prigionieri e dall’odore di bruciato, si trova ad essere perennemente sull’orlo del pianto. Quel neonato è l’unico esempio di purezza rimasto tra le mura di casa Höß, una purezza che presto sarà contaminata come l’aria che respira. All’inizio del film, viene spontaneo chiedersi come sia stato possibile per i nuovi arrivati abituarsi a quel rumore continuo senza impazzire. Sapete che cos’è che davvero mi ha fatto paura? La consapevolezza, ad un certo punto della pellicola, di essermi
anch’io abituata a quelle grida e di essere in grado di farci caso solamente con un piccolo sforzo
. A che cosa ci si può abituare per interesse personale?

La zona d'interesse è un film sulla Storia dell'Umanità destinato a fare la Storia del Cinema?

Il film si conclude con quella che a mio parere rimarrà una delle scene più potenti della storia del genere, se non della storia del cinema (lo so, sono parole forti). Un montaggio apparentemente semplice, un accostamento ovvio nella nostra mente ma così esplicito ed inaspettato da farci venire la nausea. L’alternanza tra un rigurgito di umanità di un protagonista che mai sembra averne avuta e l’irreversibile risultato dell’abominio commesso. Un prodotto cinematografico di una potenza devastante, la forza di un pugno che sorpassa lo schermo e arriva direttamente a colpire il nostro stomaco fino alle viscere.
In un momento come questo, in cui ci ritroviamo a vedere costantemente alla televisione le immagini di corpi mutilati e bombe che distruggono città secolari, in un periodo storico in cui la guerra non sembra più essere qualcosa di lontano come un tempo, dobbiamo ricordarci di essere umani.

Un nome da ricordare: Alexandria

Voglio concludere questo pezzo con una storia che nel film appare come secondaria, ma che non deve in alcun modo essere dimenticata. Alexandria era una bambina polacca di dodici anni e all’epoca si trovò ad essere la figlia dei vicini degli Höß. Tutte le notti, Alexandria prendeva la sua bicicletta e andava a nascondere della frutta sotto la terra che il giorno dopo i prigionieri avrebbero lavorato nel campo. Il personaggio di Alexandria, a quanto dichiarato da Glazer, è stata il faro che gli ha permesso di portare a termine le riprese di La zona d’interesse senza annegare in tutta la malvagità che egli si era ritrovato a dover
rappresentare. Alexandria è morta poco prima dell’uscita del film nelle sale.
Andate a vedere La zona d’interesse per lei e per tutte le persone che tentò di aiutare, sfidando i nazisti e mettendo a rischio la sua stessa vita. Andate a vederlo per non diventare mai complici dell’orrore, perché il bene è una scelta e ricordarlo non sarà mai inutile.

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