Recensione dal Torino Film Festival: Holy Rosita di Wannes Destoop
Il film Holy Rosita è stato presentato in concorso al Torino Film Fest 2024, la 42esima edizione del festival cinematografico del capoluogo piemontese. La regia di Wannes Destoop per la prima volta dietro la macchina da presa di un lungometraggio si prende il diritto e il dovere di raccontare la storia di Rosita, interpretata da Daphne Agten, per la prima volta in un ruolo da protagonista in un film. Due sono le colonne portanti del film Holy Rosita: il desiderio di maternità e il diritto inequivocabile ad essere felici.
Rosita alla ricerca di qualcuno con cui condividere l'amore
Pochi pudori e tanta ammirazione per Rosita, lontana dai comuni canoni di bellezza e desiderosa di essere amata. La sua migliore amica ha 8 anni, ha gli occhi pieni di emozione quando gioca con lei o con gli altri bambini che vivono vicino a lei, in un complesso di case popolari. Conduce un doppio lavoro: come lavandaia in un laboratorio protetto e come hostess allo stadio. Per arrotondare ha clienti abituali che godono dei suoi massaggi e delle sue attenzioni. Attenzioni e affetto che Rosita è felice di condividere e donare, ma di cui soffre la mancanza: vorrebbe sentirsi amata e vorrebbe qualcuno da amare. Il desiderio di Rosita è essere madre. Ma soprattutto vuole dimostrare agli altri e a sé stessa di poter essere una madre migliore della sua, che non c’è mai stata.
La ricerca d'amore e di felicità per sè stessi e per Holy Rosita
Holy Rosita è un film sulla triste solitudine a cui vengono condannate le persone ripudiate dalla società. Rosita ricerca continuamente affetto e attenzioni, come una bambina desiderosa di conquistare il cuore di mamma e papà. Il suo corpo non conforme l’ha isolata dal resto del mondo, anche se lei prova a restare aggrappata con tutte le unghie alla vita adulta. Sente il peso delle responsabilità e del fallimento che gli altri provano verso di lei, la delusione negli occhi della madre adottiva quando la guarda e scopre che Rosita è incinta.
Uno sguardo terrorizzato, poco fiducioso nei confronti di Rosita, che si spreme invece per dimostrare di poter essere una mamma brava, attenta e consapevole. Rosita sfida e affronta pregiudizi e occhiate sbilenche, non accetta di doversi arrendere a “restare sola perché incapace“. Tutti attorno a lei si muovono con attenzione e delicatezza, come se avessero paura di romperla o che lei possa rompere loro. E alla fine la lasciano sola.
Un film belga di corpi ed emozioni
Il corpo di Rosita è quello che tutti vedono prima di vedere lei: gli uomini sono attratti dal corpo generoso e accogliente, per i genitori adottivi è ancora una bambina da dover mettere sulla strada giusta. Poi arriva la svolta: Rosita trova un modo per restare incinta e per la prima volta nella sua vita sceglie consapevolmente di volere essere lei padrona del proprio corpo. Nonostante tutte le critiche e i consigli non richiesti, Rosita sfida la sorte e prova per la prima volta a prendere una scelta solo per lei.
La sua famiglia e la piccola società attorno a lei non hanno più modo di controllarla: Holy Rosita inizia quindi a emanciparsi dagli aiuti non richiesti e dagli sguardi giudicanti, porta avanti una ricerca d’amor proprio dimostrando a poco a poco di avere tutte le capacità per amare e prendersi cura di qualcuno, un bambino.
La maternità è la vera felicità per Rosita
Il bisogno e il desiderio di essere amati per Rosita si riversa tutto in una gravidanza segreta. Il periodo di gestazione diventa così un trasparente percorso di emancipazione. L’attrice Daphne Agten si prende cura delle emozioni di Rosita, un’adulta delicata come una bambina che sta finalmente crescendo. Riesce a portare sullo schermo una chiara e viva storia di ricerca di felicità, del sentirsi incompresi e inutili per gli altri, persino per un bambolotto che non la smette di frignare. Il tentativo – ai limiti del disperato – di diventare un bravo genitore, anzi ancor più la voglia di dimostrare di poterlo essere, è il motore attivo di Holy Rosita.
Il film immerge nella quotidianità desolata e ripetitiva della sua protagonista: lavoro – tre lavori diversi -, puzzle a casa e la cena con i genitori adottivi che le organizzano imbarazzanti appuntamenti al buio. Strizzando l’occhio a The Florida Project di Sean Bakers (tornato al cinema di recente con Anora), di cui Holy Rosita potrebbe essere il prequel belga, il film trasporta lo spettatore in una lotta per la felicità personale. La conquista del cuore di qualcuno che ti ama indipendentemente da come sei e cosa fai. Il desiderio materno di Rosita è sinonimo della volontà di qualcuno accanto a lei, che non la veda solo come un corpo grasso da curare, ma come una persona capace di dare amore e di riceverne altrettanto.
Wannes Destoop un nuovo regista per la sensibilità
Il giovane regista Wannes Destoop, dopo aver familiarizzato con il cortometraggio – Badpakje 46 – e la serie tv – Albatros –, approda al lungometraggio rimarcando sulla sua poetica sensibile e audace con Holy Rosita. La regia di Wannes Destoop si contraddistingue subito per dare voce a chi non ne ha, ascoltare quelle storie che altrimenti resterebbero gridate in silenzio. Holy Rosita è una denuncia a cuore aperto alla grassofobia: il corpo di Rosita è sempre sulla scena, è un corpo vivo che riempie lo schermo per la sua audacia e bisogno di farsi vedere, farsi riconoscere. L’interpretazione di Daphne Agten è immediata e intensa: il personaggio prende vita – e dona la vita a sua volta – da un melodramma nuovo per la cinematografia che ci auguriamo sia da monito per la sensibilizzazione e il racconto di queste storie altrimenti dimenticate e recluse.