Quando la scienza diventa politica: J. R. Oppenheimer come Victor Strum
Lo scorso mese Oppenheimer ha raggiunto tutti i cinema italiani: secondo chiunque, sarà il film dell’anno. Oltre al cast brillante, ai dialoghi con la giusta dose di fisica (ovvero zero) e alla tecnica cinematografica strepitosa (di cui vi abbiamo parlato qui), il film è stato – e continua ad essere – al centro delle discussioni per le questioni morali che solleva. A noi ha ricordato un personaggio della letteratura: Victor Strum di Vita e Destino.
Oppenheimer : un genio non riconosciuto
Come inventore della bomba atomica, Julius Robert Oppenheimer dovrebbe essere riconosciuto nell’Olimpo dei più grandi scienziati di tutti i tempi, eppure non ha davvero ricevuto il successo meritato. Se il riconoscimento sociale è comprensibilmente ben dosato, molti però fanno fatica a comprendere come mai anche negli ambienti accademici il fisico sia stato praticamente ostracizzato.
Sicuramente la morale ha giocato un ruolo decisivo quando – piano piano – gli americani si sono resi conto delle conseguenze di quanto fatto per porre fine al conflitto. Eppure, anche all’interno del film, le ragioni per cui Oppenheimer non viene rispettato sembrano essere altre. In uno dei tre piani temporali su cui si svolge il film, lo scienziato risponde davanti ad una giuria che non gli chiede informazioni sulla sua scoperta e le conseguenze, ma soprattutto si mostra interessata a scoprire se il motore del suo impegno sia un’ideologia proibita.
Il periodo storico in cui è vissuto Oppenheimer (tra il conflitto mondiale e il Maccartismo) è senza dubbio funzionale per formulare riflessioni sul legame tra scienza e politica. È stato un periodo di grande tensione tra due ideologie opposte e complesse, ma non si deve pensare che tale riflessione sia obsoleta. La linea sottile che separa la ricerca del sapere da quella che i Greci chiamavano ubris – tracotanza – non è mai stata sbiadita come oggi. Così anche l’ingerenza della politica in tutte le sfere della vita e soprattutto della cultura.
Oppenheimer come archetipo: Victor Strum
A questo proposito, Oppenheimer nel dibattito culturale diventa un archetipo, lo stesso Nolan lo paragona a Prometeo. Il suo dramma diventa un dramma universale. Sul piano della letteratura, la tragedia di Oppenheimer ricorda molto quella di Victor Pavlovic Strum, uno dei protagonisti di Vita e Destino di Vasilij Grossman.
Vissuto nel contesto opposto ad Oppenheimer (ma nello stesso periodo), Strum è un fisico che per tutta la durata della guerra lavora ad un progetto in accademia. Per affermarsi tra i colleghi mette tutto in secondo piano – la moglie depressa, la morte del figlioccio, il conflitto bellico stesso. Il suo lavoro è al centro della sua vita, finché non riceve una notizia tragica: la madre (a sua insaputa deportata in un campo di concentramento) è morta.
Ispirato quasi sicuramente allo stesso Grossman (chimico ebreo, anche lui rimasto orfano di madre durante il conflitto), Strum mette in dubbio tutti i suoi valori. Come spesso succede nella vita, è proprio questo il momento in cui la scoperta scientifica tanto agognata arriva. Non è dato sapere cosa abbia compreso del mondo Strum, ma il tassello di conoscenza che egli ha svelato è in conflitto con le idee del Partito e per questo l’intera accademia comincia ad escluderlo.
Strum e Oppenheimer: il sapere politico
Nel corso di tutta la seconda parte del romanzo, lo scienziato si chiede quanto sia disposto a rinunciare alla diffusione della conoscenza per mostrare sostegno al governo. Questo conflitto interiore è aggravato dalla consapevolezza che la madre è rimasta vittima di un genocidio di cui nessuno riesce – o vuole – parlare e in cui il Partito deve avere per forza una parte. Perché proteggere chi non protegge lui?
Strum e Oppenheimer sono uomini di scienza: per quanto interessati alla cultura e alla politica, il loro ruolo nel mondo è quello di comprenderne i segreti. I loro valori vengono a meno se in conflitto con la loro necessità di svelare ciò che si cela aldilà del velo di Maya, eppure non possono non fare i conti con il potere delle loro scoperte.
Per controllare un popolo è necessario controllarne il sapere: nel periodo tra le guerre sono state perfezionate le tecniche di propaganda e censura e nel corso della Guerra Fredda i governi americano e russo non hanno esitato a utilizzare questi potenti strumenti. Sia in Vita e Destino che in Oppenheimer è mostrata una faccia del Novecento (il secolo delle scoperte) che in pochi vogliono vedere, quella che lega la ricerca della conoscenza e del progresso millantati nei libri di scuola al desiderio di imporsi sul mondo. Strum e Oppenheimer sono pedine in un gioco dove non vince chi raggiunge più punti, ma chi prima fa perdere i punti all’avversario. L’obiettivo di entrambi i governi non è quello di conoscere il mondo, ma quello di piegarlo al proprio volere e alla propria ideologia: tutto ciò che può essere troppo complesso o pericoloso non deve essere svelato.
Oggi siamo liberi di scoprire?
Oggi viviamo nello stesso mondo, anche se queste dinamiche sono meno evidenti non significa che non ci siano. Il dibattito sulla moralità del sapere è lo stesso che scaturisce quando si discute di ChatGPT e il controllo della politica sugli strumenti tecnologici è ancora fortissimo. Basti pensare alle rivolte in Pakistan dello scorso maggio – in cui la connessione internet è stata completamente azzerata per tutta la durata dei conflitti al fine di isolare la popolazione ed evitare ingerenze esterne. Queste consapevolezze fanno pensare: quanto siamo liberi di sapere? Quello che scopriamo, quello che diventa parte della nostra vita quotidiana, lo abbiamo conquistato o ci viene concesso? Quanto sarebbe facile togliercelo?
Victor Strum e J. Robert Oppenheimer hanno scelto la strada della conoscenza a patto di rinunciare alla loro libertà e alla loro reputazione. Non tutti hanno avuto la fortuna di sopravvivere a questa decisione o il privilegio di poterla considerare. E quindi le scoperte che conosciamo sono tutte le scoperte che l’umanità è riuscita a fare o sono solo quelle che ci è concesso rendere pubbliche? Ancora: quando ad un popolo viene negata la libertà o non gli si dà la possibilità di comunicare col resto del mondo, quanto sapere perdiamo? Quante verità conoscono popolazioni che consideriamo poco più che primitive e quante ne conoscevano le popolazioni che abbiamo oppresso? Quante cose sono state “riscoperte” perché al tempo della loro scoperta il mondo non era pronto?
Strum e Oppenheimer: what if...?
Uscendo dal cinema – o svoltando l’ultima pagina delle 900 e passa che compongono Vita e Destino – restano tutte queste domande e ben poche risposte. Chissà come sarebbero andate le cose se Oppenheimer avesse rinunciato a fabbricare l’arma fatale e avesse aspettato che la costruissero i russi; chissà come sarebbero andate le cose se avesse davvero collaborato con loro. Chissà come sarebbe finito il romanzo di Grossman se Strum non avesse ricevuto la telefonata di Stalin. Forse, il protagonista sarebbe finito proprio come l’uomo dietro la penna: uno scienziato mancato, un giornalista che non può davvero riportare la verità, uno studioso che teme le conseguenze di ciò che viene a sapere.
Meno male che Vasilij ha voluto far vivere al suo Victor la vita che sapeva di non poter vivere lui. Non ha potuto raccontare il vero volto della guerra e i dati che aveva raccolto sul genocidio, ma ha provato a farci immaginare la scena inventando personaggi che si sgretolano sotto le bombe o nelle camere a gas. Ha creato un’epopea celebrativa di un mondo che non sentiva più di amare, ma ci piace pensare che lo abbia fatto, come il suo Victor, per amore del sapere. Per avere la possibilità di farci capire ciò che non ci poteva dire, per farci fare i conti con ciò che – generazioni dopo generazioni – avremmo rischiato di dimenticare. Come un vero Prometeo, anche lui ha accettato di portarci questo fuoco e poi ritirarsi nella sofferenza. Certo che poi ne avremmo fatto buon uso.