Il mondo incantato di Hayao Miyazaki
Per chi, visto il polverone mediatico sollevato dal suo ultimo film, Il ragazzo e l’airone, lo sta scoprendo adesso e per coloro che lo conoscono da una vita, oggi Strega in Biblioteca vi offre una panoramica sullo studio Ghibli e sulla filosofia di Miyazaki, suo creatore, dallo sguardo di una grande appassionata.
Miyazaki e il suo studio: una lunga carriera
Hayao Miyazaki nasce a Tokyo il 5 gennaio 1941, prima dell’ingresso giapponese nel secondo conflitto mondiale, respirando l’aria della guerra per tutta la sua infanzia. Quaranta anni dopo, già artista riconosciuto a livello internazionale per il suo lavoro di animazione, apre lo studio Nibariki, e l’anno successivo, il 1985, vede i natali lo studio di animazione indissolubilmente legato al suo nome: lo studio Ghibli. Raccogliendo il genio di Miyazaki, Takahata, Yonebayashi e altri, il mondo incantato dello studio di animazione regala agli spettatori 21 titoli, per grandi e piccini.
Per chi fosse interessato a un documentario molto approfondito sulla realtà dello studio di animazione giapponese più celebre, consiglio “Il regno dei sogni e della follia”, di Sunada Mami, presentato nel 2013, anno de “l’ultimo” film di Miyazaki, tornato dalla pensione a lavorare nel 2016 a “Il ragazzo e l’airone”, uscito nelle sale mondiali nel 2023.
Ghibli, nome casuale o annuncio araldico delle intenzioni di Miyazaki?
Già dal nome scelto per rappresentare lo studio, e diventato poi iconico nei successivi anni di produzione artistica, l’intento del fondatore era chiaro. Ghibli come il vento caldo che soffia nel Sahara, un vento di cambiamento e novità. I film prodotti da questa casa si sarebbero dovuti distinguere da qualsiasi altra cosa presente nelle sale mondiali, senza dimenticare la tradizione artistica nipponica e i riferimenti ai grandi classici della cultura occidentale. Un risultato che possiamo affermare essere stato raggiunto.
Ghibli come l’aereo da ricognizione impiegato dall’aeronautica militare italiana nella seconda guerra mondiale, simbolo dell’amore di Miyazaki per il volo. Un volo meccanico, industrializzato, come quello di “Nausicaa e la valle del vento” o di “Porco Rosso”, o un volo naturale e animale, come quello de “Il ragazzo e l’airone”, che portano gli spettatori dei film Ghibli a rivolgere lo sguardo verso l’alto, a condividere con il regista e animatore la meraviglia che si prova guardando qualcosa che non ha confini, che è impossibile per la natura umana ma che con testardaggine e ingegno abbiamo comunque raggiunto.
Le tematiche dei film: uno sguardo gentile sulla vita di tutti i giorni
Il cielo e il volo sono elementi ricorrenti in tutti i film di Miyazaki, così come l’infanzia, l’amore, la pace, la dualità umana del bene e del male, l’ambiente, la figura femminile, la famiglia. Il tutto racchiuso in coloratissimi fotogrammi e scene di vita che affascinano nel loro realismo magico. “Ciò che non sopporto delle opere Disney è che l’ingresso sia uguale all’uscita”: dichiara Miyazaki in un’intervista, di fronte al paragone con il colosso americano a cui, dall’affermazione del regista sulle scene internazionali, si trova immancabilmente comparato. E l’idea della favola classica ripresa da Disney è effettivamente rotta, in tutti i suoi schemi, nelle avventure dei protagonisti dello studio giapponese: lo spettatore si ritrova improvvisamente calato nella vita di soggetti sconosciuti, con pochi elementi per orientarsi e contestualizzare il momento. L’importante, infatti, non è il C’era una volta, tanto tempo fa ma far calare nell’esperienza del protagonista, solitamente giovanissimo, un osservatore esterno.
Le avventure sono straordinarie, immaginarie, ricche di elementi del folklore giapponese e di sogni mozzafiato. Ma le lenti attraverso le quali ci vengono presentate, le equiparano alla quotidianità: gli stessi colori che caratterizzano yokai e mondi magici sono quelli che animano le scene culinarie per le quali i film Ghibli sono altrettanto famosi. Vi è una romanticizzazione della quotidianità e dell’ordinario che in occidente viene solitamente concentrata sui protagonisti, dove il film non finisce se non vi è un bacio tra la coppia, un matrimonio, una chiusura a lieto fine. Nelle animazioni giapponesi non si avverte la mancanza della classica risoluzione: Miyazaki ci permette di immergerci in un punto del suo fiume narrativo, senza dirci dove sia la sorgente e senza che noi possiamo vedere la foce e il mare in cui confluiranno le acque, ma felici di essere parte dell’esperienza anche solo per quei fuggenti attimi. Non esiste una ricomposizione finale dell’armonia perduta: per i protagonisti dei film Ghibli, così come nella vita reale, è sfuggente e intangibile.
Ma chi sono i protagonisti dei film?
Ma chi sono i personaggi di Miyazaki? Principalmente giovanissimi, bambini, a cui consapevolmente lo studio si rivolge nella propria narrazione. Sono infatti storie di crescita personale, di accettazione del cambiamento e del lutto, di famiglie non canonicamente complete. Bambini non sempre supervisionati da adulti (come Chihiro nella Città incantata, che si ritrova a dover salvare i propri genitori), ma mai da soli. Attorno a loro una foresta di spiriti, mostri mitologici e folkloristici, animali parlanti e anziani. Appare infatti, con costanza, una figura più in là con gli anni, che vede tutto il potenziale del giovane protagonista, e lo sprona a continuare il suo percorso, una guida saggia e che non si sostituisce mai alle esperienze di vita che formeranno il bambino nel corso del film. Gli spiriti che animano le pellicole non sono mai malvagi o i grandi cattivi da sconfiggere. Rispecchiano, nel loro comportamento, la loro vera natura, che viene accettata per quello che è: anche Senza Volto (sempre da La città incantata) capirà da solo di dover smettere di divorare e terrorizzare gli altri spiriti, se vuole sperare in un’esistenza pacifica. Nei film Ghibli c’è crescita e capacità di stupirsi e imparare per tutti, in modo diverso e personale, sempre incompleto per lo spettatore che è parte della loro vita per le due ore di film e basta. Lasciando spazio per immaginare dove quel determinato soggetto finirà, o come sarebbe potuta andare se si fosse seguita un’altra linea narrativa.
Il bene e il male non sono mai degli assoluti
Miyazaki non presenta mai un protagonista buono e perfetto contro un cattivo dalle zanne acuminate e nuvole sulfuree intorno ad ogni sua apparizione. Anzi. Molto spesso, protagonista è la banalità del male. Quei piccoli gesti meschini da parte di altre persone, troppo concentrate ad essere protagoniste della propria vita. O il malessere che deriva da un cambiamento, sia esso un trasloco in età sensibile o la perdita di un genitore. Nessun cattivo da sconfiggere per ripristinare la normalità, nessuna grande sfida se non quella più difficile: non limitarsi ad esistere, ma vivere.
Se questo è vero, vi sono però i grandi mali, mai protagonisti assoluti ma pilastri della trama: la guerra e la violenza dell’uomo sulla natura. Della guerra, Takahata mostra l’aspetto più struggente nel suo “La tomba delle lucciole”, dove il conflitto è il motivo della vita di stenti dei protagonisti, di un bambino a cui è stata negata l’infanzia per potersi occupare, invano, della sorella minore. E la guerra ritorna in tutta la sua violenza nei tratti espressionisti de “Il ragazzo e l’airone”, dove si differenzia da qualsiasi altra sequenza del film già a partire dallo stile con il quale è stato reso un singolo episodio di quello che è stato un conflitto durato per anni. Guerra che a volte è la causa alla base della violenza umana contro tutto ciò che non è artificiale: lo possiamo vedere nella “Principessa Mononoke”, dove le esigenze siderurgiche della produzione di armi da fuoco portano a uno scontro che vede da un lato la foresta e le sue creature, dall’altro l’uomo e i suoi marchingegni.
L’attenzione per la natura, e quella che poi si svilupperà nella sua visione anti-antropocentrica, è fatta risalire dallo stesso Miyazaki a una frase del Macbeth: “la foresta si muove” (atto V, scena V). E la natura dello studio Ghibli non potrebbe essere più viva e movimentata: abitata dalle creature più fantasiose, casa e rifugio per i protagonisti e loro compagni di viaggio, è un fil rouge che caratterizza tutti i film dello studio di animazione giapponese, e che lo ha reso famoso per le grandi capacità di illustrazione delle scene paesaggistiche.
Non vi resta che esplorare: da dove cominciare?
Lo studio Ghibli potrebbe per voi rappresentare un amico di lunga data da cui tornare in momenti diversi della vostra vita, sempre con uno sguardo nuovo. O forse ho convinto qualche scettico a scoprire un nuovo mondo. Quelli di Miyazaki non sono semplici cartoni per bambini, per quanto adatti anche all’età dell’infanzia. Sono opere che possono essere apprezzate solo per la loro bellezza, in una visione superficiale, o anche per la loro filosofia e simbologia. Il lavoro di Miyazaki entra dentro la pelle e le ossa dei suoi spettatori. Per ognuno di noi è possibile ritrovarsi a casa in uno dei suoi mondi incantati.
Se non sapete da dove cominciare, il catalogo di Netflix offre la selezione dei film più classici. Il mio primo consiglio è di lasciarsi ispirare dai titoli, spesso criptici anche per colpa della traduzione, e dai primi fotogrammi visionabili al momento della scelta. Ancora indecisi? “La città incantata” ha vinto il premio Oscar per l’animazione nel 2003, “Il castello errante di Howl” è stato nominato per la stessa categoria nel 2006. Sono film che hanno quindi incontrato il gusto più occidentale dell’animazione, e potrebbero essere un buon inizio per chi tenta di tuffarsi nei vividi sogni dello studio Ghibli. Altrimenti consiglio di correre al cinema, e visionare sul grande schermo “Il ragazzo e l’airone”.
Il mondo di Miyazaki, con i suoi colori e personaggi, vi aspetta. Che sia un ritorno a casa o una nuova avventura, lasciatevi trascinare dal vento Ghibli.