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Good Omens 2: di normalità, personaggi complessi e queerness

Good Omens 2: di normalità, personaggi complessi e queerness

Complice il rilascio nella sua interezza il 28 luglio su Amazon Prime Video, la seconda stagione di Good Omens ha fatto come Cesare a Ponto contro Farnace: venne, vide, vinse. L’euforia del rinnovato incontro ha lasciato il posto a un’altra lunga attesa con talmente tanta rapidità che sto ancora qui ferma ad arrovellarmici. Considerate allora quest’articolo come la messa nero-su-bianco del mio groviglio di pensieri o, se volete darmi qualche credito, prendetelo come un corollario alla recensione di Good Omens 2


(Ora, sarebbe mio dovere intimare chi non l’ha terminata di ritornare qui a visione compiuta, ma non sono mica the archangel f**ing Gabriel per dirvi cosa poter fare, vi pare?)

“Flashes of love” per Good Omens

Quando tento di mettere in parola ciò che sento per Good Omens, mi accorgo di non riuscire ad esprimermi come devo. Ho una stretta allo stomaco, boccheggio qualche frase di senso compiuto, agito le mani per dare l’idea della forza di cosa provo e, puntualmente, mi interrompo perché le parole non vengono. Mi trovo nella gradevole (quanto spiacevole) situazione di Aziraphale che non sa spiegare a Crowley la sensazione che lo investe mentre fanno ingresso a Tadfield. Finisce per descriverla come “fitte di amore”, e direi che si può impiegare con esiti felici per la mia di sensazione.

Se c’è però una cosa di cui mi sono accorta nei giorni a seguire (e mi rendo conto di non risultare molto sveglia ammettendolo) è che non fossi l’unica in questo stato. Fanfiction, fanart e video edit su YouTube, Instagram, TikTok, Tumblr o Pinterest — un insieme di sintomi tutti riconducibili alle ripetute, debilitanti fitte d’amore per Good Omens. Questa premessa per dirvi che “è come se fosse in atto una grande storia d’amore” (sempre parole di Aziraphale, non mie) che, fuori e dentro lo schermo, invischia noi, i personaggi, Neil Gaiman e Terry Pratchett, il cast e ancora noi.  Di parole ora ne ho usate troppe, dunque, ve lo spiego così: Good Omens è circondato da amore, parla di amore, è amore.

Rallentare! Quotidianità in corso a Soho

Proprio in virtù del suo essere una seconda stagione, dunque capitolo centrale di quella che (si spera) sarà una trilogia, Good Omens 2 può tingersi di giallo, dotarsi di un porta caramelle e percorre la strada verso la terza stagione al di sotto del limite di velocità. Niente più corse a rotta di collo per star dietro all’Anticristo e cercare di fermare l’Armageddon; adesso Aziraphale e Crowley, nonché la narrazione stessa, possono rallentare e dedicarsi alla loro esistenza, lontani da Inferno e Paradiso.

Good Omens 2 poggia su qualcosa che ci viene spesso precluso o, quando non è proprio accantonato, viene diluito a favore di un’azione costante: la quotidianità dei personaggi. A qualcuno potrà sembrare che sto scusando un’assenza di trama bella e buona, ma che non succeda nulla di rilevante non significa che non stia succedendo nulla in assoluto. Per me era impensabile poter avere accesso a quella parte di storia che prescinde dalla trama principale del romanzo e che riguarda da vicino Aziraphale e Crowley. Certo, gli incidenti divini (leggasi: un arcangelo in fuga e un miracolo di straordinaria potenza) non mancano, ma sembrano delle eccentriche aggiunte a una normalità squisitamente banale.

 

(Ed era proprio quella normalità fatta di telefonate per i motivi più disparati — «You have three reasons to call me.» — e battibecchi con relativi bronci — «I want a proper apology. With a little dance»; rappresentata da contatti fisici casuali ma sempre familiari, vinili che nessuno compra più, cene al ristorante e persino noiose riunioni dei commercianti del quartiere; insomma, è questa umana normalità che Aziraphale e Crowley volevano salvare).

Ulteriore felice conseguenza del movimento lento di Good Omens 2 è che adesso la vita oltre le porte della libreria di Aziraphale non è più fatta di volti che si confondono in un’unica massa omogenea e indifferente, ma di persone che abitano, hanno unə partner e un lavoro, desiderano e si emozionano a Soho. È vero, siamo sempre lì a orbitare attorno la libreria, perché è il centro nevralgico di tutto, ma in questo microcosmo eterogeneo c’è spazio a sufficienza anche per la caffetteria di Nina e il negozio di dischi di Maggie.

Foil, giochi di specchi e altre meraviglie di Good Omens 2

Già apparse nella stagione precedente nei (religiosi?) panni di Suor Maria Loquace e Suor Teresa Garrula, Nina Sosanya e Maggie Service ritornano nei ruoli delle omonime Nina e Maggie, due donne comunissime senza associazioni soprannaturali di grande rilevanza… se escludiamo il contratto di locazione fra Aziraphale e Maggie.

Nina e Maggie non possono essere più diverse di così: Nina è riservata e diffidente, Maggie è gentile, aperta e solare; Nina veste con i colori scuri e intensi dell’autunno, Maggie preferisce la delicatezza dei colori primaverili; Nina è pragmatica e ha i piedi ben piantati per terra quando si parla di relazioni, Maggie si permettere di sognare e sospirare d’amore per Nina nel suo piccolo negozio oltre la strada. Con questa serie di giustapposizioni, spero di essere riuscita a farvi vedere ciò che ho visto io dal primo momento in cui sono apparse sullo schermo: il doppio, anzi il foil, di Crowley e Aziraphale. In breve, il foil è un espediente letterario impiegato per far emergere determinate caratteristiche del protagonista, della trama principale o addirittura di ambientazioni. Attraverso un gioco di contrasti e/o associazioni, ciò che fa da foil, sia esso un altro personaggio o luogo o una sottotrama, dona una comprensione più profonda dell’elemento a cui viene associato.

Sin dall’inizio l’infatuazione di Maggie per Nina si prospetta essere molto più che l’improbabile giustificazione del miracolo che cela Gabriele. Guardate il loro aspetto e pensate alle loro dinamiche nel corso degli episodi — sono ciò che le rendono riflessi di Aziraphale e Crowley. Ma soffermatevi sul discorso che Nina e Maggie fanno a Crowley prima dell’inevitabile rottura e vedrete come, caduto lo specchio, i riflessi smettono di essere tali. Contrapponendo il loro dialogo chiarificatore alla conversazione superficiale degli altri due, Nina e Maggie puntano i fari su Aziraphale e Crowley e su come, per tutti questi secoli, si siano volutamente trattenuti dal sondare la reale profondità del loro rapporto.

Per certi versi, anche Gabriele e Belzebù hanno una funzione analoga, sebbene proiettata verso il futuro. Si può supporre senza particolari acrobazie argomentative che non è cosa di tutti giorni per un arcangelo e un principe infernale trovare un’entità di qualsivoglia tipo che possa comprendere la sottomissione a un’autorità lontana e piena di sé o il peso del comando. Alla comprensione è poi subentrato il piacere della reciproca compagnia e il resto non è storia, perché lo canta Buddy Holly — Come what may, do you ever long for true love from me?. Se Nina e Maggie sono uno specchio in cui riflettersi, Gabriele e Belzebù sono la sfera di cristallo in cui Aziraphale e Crowley vedono ciò che potrebbero essere ma che, per il momento, è stato privato loro di essere.

Aziraphale & Crowley: analisi dei personaggi

Il maggior livello di caratterizzazione raggiunto da Aziraphale e Crowley in Good Omens 2 non si esaurisce nella dimensione quotidiana o nella polivalenza dei personaggi secondari. Se c’è un’intensità nuova nelle loro interazioni, questa si deve pure a Michael Sheen e a David Tennant. Sorvoliamo sulle loro doti attoriali, che erano e rimangono indiscutibili; Michael e David sono a loro agio l’uno con l’altro come mai prima, amano i loro personaggi (vedete?, torniamo sempre lì: amore, amore e amore) e li interpretano con disinvoltura. Soprattutto, forti della solida scrittura di Neil Gaiman, fanno vibrare le corde emotive di Aziraphale e Crowley con un virtuosismo che raggiunge il suo apice nello stesso istante in cui si spengono le nostre speranze. Periodicamente, nel corso dell’intera stagione abbiamo visto Aziraphale mentire e Crowley sostenere di non essere uno dei buoni, ma è solo sul finale che questi due leitmotiv acquistano senso e i loro ritratti psicologi sono finalmente compiuti. Siamo sempre stati portati a considerare Aziraphale il più trasparente e perspicace dei due, ma le battute finali (quel bacio disperato) sanciscono che ad essere in possesso della vera conoscenza e della vera libertà è Crowley. E la ragione (della sua complessità e forse pure della sua Caduta) sta tutto in una domanda: perché?

Quando l’universo era una potenzialità inespressa e il tempo non aveva ancora cominciato a scorrere, Crowley non riesce a far quadrare i piani dell’Onnipotente. Perché privare gli umani della reale bellezza del firmamento? Perché darsi tanta pena nel creare la vita sulla Terra se lo scopo è spazzarla via? Quando Crowley non era ancora Crowley e il suo spirito era acceso dalla gioia della creazione celeste, dunque, già intravede le crepe dell’ordine prestabilito. Dopo la Caduta, Crowley non solo instilla il dubbio nell’uomo (la conoscenza fa dubitare), ma continua a dubitare lui stesso, anche ora che, formalmente, serve gli interessi dell’Inferno sulla Terra — perché lasciare in vita i figli di Giobbe o impedire a Elspeth di bere il laudano?

Aziraphale: «Whose side are you on?»

Crowley: «My side»

Aziraphale: «Well, that’s lonely.»

Crowley è andato oltre la logica binaria che equipara gli angeli al bene e i demoni al male in quanto semplicistica, ottusa e noncurante dello spettro di sfumature che sta nel mezzo. È una consapevolezza a cui Aziraphale si è avvicinato solo in rari momenti — nell’aria insalubre del cimitero di Edimburgo, su un palco del West End, in un aeroporto abbandonato nella sperduta Tadfield, e sempre grazie a Crowley.

Si è pensato bene di non fare mistero né della queerness di Aziraphale né della sua attrazione per Crowley. Sotto questo aspetto Aziraphale — passatemi l’inglesismo — “porta il suo cuore sulla manica”. Complice la raffinata interpretazione di Michael Sheen, l’angelo mette a nudo il suo amore perché chiunque possa vederlo. Tuttavia non ha afferrato la complessità del reale nello stesso modo in cui l’ha fatto Crowley. E non è certo la sua fede cieca nella bontà del Piano Ineffabile a impedirgli di capire. Quella, piuttosto, è l’ennesima dimostrazione del suo candore (o ingenuità, a seconda di come la pensiate). Ciò che nemmeno le teorie più ardite sul finale di Good Omens 2 possono nascondere è che Aziraphale è tanto Amore quanto Logica e che il Metatron s’è servito di entrambe in maniera spietata.

In quanto espressione massima di un ambiente abusivo e manipolatorio, il Metatron mette Aziraphale di fronte a un ricatto affettivo e morale mascherato da dono. Gli offre l’Amore incondizionato della sua ‘vera’ famiglia e dà uno scopo nobile alla sua Logica, sempre in seno alla ‘vera’ famiglia. Aziraphale crede nella correttezza ultima del volere di Dio e allora, volontariamente dimentico del controllo sul corpo e sulle emozioni a cui obbliga il Paradiso, si trincera dietro una forma di pregiudizio indegna di lui — «Obviously you said no to Hell. You’re the bad guys!». Ovviamente la massima aspirazione per un demone che ha offeso Dio deve essere restaurare l’antico stato di grazia. Ovviamente.

Soltanto la prospettiva di perdere Crowley lo getta nel panico. «I… I need you!», pronuncia con voce strozzata per trattenerlo. Esattamente come quella prima volta in cui il mondo sembrava a un passo dalla fine e la creazione di un Noi il solo modo per salvarsi, Aziraphale respinge Crowley — il demone, il nemico, il tentatore — con tre parole: «I forgive you». E allora a Crowley, a colui che per tutta la stagione ha lasciato il cuore in bella vista, non rimane che andare via. Il sogno di Alpha Centauri rimane ancora un sogno e a Berkeley Square, nel frattempo, gli usignoli hanno smesso di cantare.

Queer as Hell (and Heaven), ovvero: Good Omens 2 e la caduta dei binarismi

Dato che non faccio Neil Gaiman di nome e cognome, voglio chiudere con una nota positiva celebrando Good Omens per essere lo spazio queer safe che è.

Non è una novità parlare di rappresentazione queer nelle opere di Neil Gaiman, che, per inciso, ha pure vinto un GLAAD Media Award per questa ragione e ricevuto sempre l’approvazione del GLAAD per American Gods (lo ricorda lui stesso qui). Ma è confortante e magnifico insieme vedere come l’essere queer non sia sinonimo di trauma e che, piuttosto, faccia parte del tessuto stesso dell’universo di Good Omens. Gli arcangeli Michele e Uriele, così come il resto delle schiere celesti e infernali, non hanno un genere (non sono umani!), ma Muriel, il compianto (bugia) Inquinamento e Belzebù si definiscono non binary; Nina e Maggie sono lesbiche, Ennon, figlio di Giobbe e playboy ante litteram, ci prova spudoratamente con Aziraphale e lo scozzese corpulento (e un pelo aggressivo) nel cimitero di Edimburgo usa Grindr.

Devo ricominciare a parlare di Aziraphale, che viene presentato nel libro come “gayer than a treeful of monkeys on nitrous oxide” o di come i suoi occhi si accendono di amore ogni volta che guarda Crowley? O devo forse concentrarmi su Crowley, che asseconda Aziraphale senza battere ciglio, e magari soffermarmi sulle sue ripetute richieste di fuggire insieme e la rabbia ferina che lo assale per la morte che il Paradiso avrebbe inflitto al suo angelo non fosse stato per lo scambio di corpi? Non mi pare sia il caso.

Nessuno, dico nessuno, è considerato fuori posto per essere, semplicemente, se stessə e amare chi vuole — e  c’è forma, motivo e dimostrazione di amore più grande di questa? Good Omens è contro le etichette, contro gli inscatolamenti e gli assolutismi di qualsivoglia tipo. Invece che out out, qui vige l’et et. È così e basta, con buona pace del binarismo di genere.

«That’s the trouble with you lot. You don’t just see things in black and white. Sometimes you just gotta blur the edges»

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