C’è ancora domani: il film di denuncia di Paola Cortellesi
Il 26 ottobre è uscito in sala C’è ancora domani, film che ha immediatamente fatto parlare di sé, essendo l’esordio alla regia di una delle attrici e autrici più amate d’Italia: Paola Cortellesi. A metà tra un dramma storico e una commedia dell’equivoco, C’è ancora domani non lascia indifferente il pubblico, che comincia da subito a parlarne sui social. In pochi giorni inizia a risuonare ovunque la frase “l’hai visto il film della Cortellesi?” e pare così che questa pellicola di recentissima uscita sia già un cult del cinema italiano, che nel suo recente Rinascimento non fa che alzare l’asticella e portare in sala prodotti degni del pubblico più appassionato della Settima Arte. C’è ancora domani questo passa parola di stupore e consiglio lo merita tutto. Andiamo a vedere perché.
Benigni ha il suo La vita è bella, Cortellesi ha il suo C'è ancora domani
Nel giugno del 1946 si tennero le prime elezioni della Repubblica Italiana dopo la caduta del regime fascista. Durante quelle elezioni si vide una fiumana di donne, l’89% della popolazione femminile, raggiungere le urne per dare per la prima volta il proprio voto. Questo è il contesto storico in cui si ambienta C’è ancora domani. La protagonista della nostra storia è Delia (Paola Cortellesi), una moglie succube di un marito violento, Ivano (Valerio Mastandrea), madre di due figli scalmanati e di una figlia arrabbiata, Marcella (Romana Maggiora Vergano), badante di un suocero mussoliniano, Ottorino (Giorgio Colangeli). Nella Roma ancora occupata dagli americani, Delia passa le sue giornate racimolando poche lire tramite mille lavoretti diversi, dal rammendare le calze al riparare ombrelli, per poi tornarsene a casa e continuare il suo lavoro di serva di un marito padrone.
La vita di Delia sembra destinata a concludersi esattamente com’è cominciata all’inizio del film: priva di libertà, priva della possibilità di scegliere. Ma tutto è destinato a cambiare nel momento in cui la donna riceve una lettera misteriosa che accede una luce di speranza nei suoi occhi tristi. Sarà la promessa di una nuova vita altrove? Le parole d’amore di un innamorato del passato? O l’occasione di prendere parte a qualcosa di molto più grande?
L'esordio alla regia di Paola Cortellesi lascia senza fiato
Come abbiamo specificato all’inizio dell’articolo, C’è ancora domani rappresenta a tutti gli effetti un film d’esordio; perché, nonostante Paola Cortellesi sia una donna di spettacolo dalla grandissima esperienza, si ritrova qui per la prima volta a scrivere, interpretare e dirigere un’opera che è a tutti gli effetti una sua creatura. C’è ancora domani si sgrulla immediatamente di dosso il preconcetto di “film acerbo”, tipico di tutti gli esordi artistici, e dimostra sin dalla prima sequenza di essere una pellicola estremamente raffinata. Il bianco e nero intenso che Cortellesi adotta per tutta la durata del film ci catapulta in una fotografia della Roma del dopoguerra. Le automobili, le insegne dei negozi, i costumi e i visi delle persone sembrano usciti da vecchie fotografie d’archivio e costruiscono attorno ai personaggi principali una sorta di aurea favolistica, di distanza immaginaria che ci penserà la sceneggiatura a riportare su un piano tanto reale quanto spietato.
Il film è pieno di scene che, a mio parere, rappresentano delle intuizioni registiche degne dei maggiori conoscitori del mestiere. Per chi ha visto il film sarà facile ricordare la scena di “danza” tra Delia ed Ivano, quella in cui risuona in sottofondo La sera dei Miracoli di Lucio Dalla, quella finale del canto a bocca chiusa. Si tratta di momenti incredibilmente potenti, affiancati da tanti altri, rendendo questo film un mosaico di sequenze indimenticabili. Sequenze che restano stampate a fuoco nella mente dello spettatore e della spettatrice (talvolta, soprattutto delle spettatrici donne). Usciti dalla sala si torna a casa con il cuore gonfio e gli occhi pieni di una bellezza umile, come umili sono quelle poche sfumature di grigio che ci concede il bianco e nero, ma allo stesso tempo traboccante, come lo sono le emozioni di Delia che spingono per uscire dai suoi occhi scuri.
C'è ancora domani è una storia di violenza e di dolcezza
C’è ancora domani è un film che come tema cardine ha quello della violenza contro le donne. Un tema che è stato affrontato in lungo e in largo ma che non smette mai di essere attuale, impattante e dolorosissimo. Paola Cortellesi ce ne regala una sua visione che forse è tra le più efficaci che io abbia mai visto su uno schermo. La prima scena del film, visibile anche nel trailer, mostra Delia e Ivano a letto, di prima mattina; la moglie dice buongiorno al marito e la risposta che ottiene è un sonoro ceffone in pieno volto. Il tema è così immediatamente annunciato e se nella prima scena fa quasi sollevare tra il pubblico una risata amarissima, durante la continuazione della pellicola porterà in sala un unico e imponente sentimento: la rabbia.
La dolcezza e la resilienza del personaggio di Delia appare quasi surreale alla spettatrice contemporanea, la quale, durante tutta la durata del film, non può che desiderare la rivolta, il sovvertimento di quel crudele ed insensato ordine costituito che tutte le donne, dalle più ricche alle più povere, sono state costrette a subire per anni. C’è ancora domani mostra una costellazione di figure femminili che vengono costantemente schiacciate dall’oppressione maschile: zittite, mutate, picchiate, umiliate, insultate, degradate, cancellate, minimizzate. Nessuna ha diritto di dire quello che pensa, di mostrare le proprie reali emozioni, i propri istinti, il proprio intelletto.
Valerio Mastandrea fa un lavoro incredibile sul personaggio di Ivano. La stessa Cortellesi in un’intervista dice: “Era difficile trovare qualcuno che avesse l’intelligenza e l’autoironia e anche il cuore di accettare il ruolo di Ivano, e Valerio Mastandrea secondo me ha in sé l’intelligenza per saper affrontare un ruolo del genere”. Importante sottolineare che il film non vuole assolutamente generalizzare la figura maschile e demonizzarla senza cognizione di causa. Da diverse scene è ben chiaro come la mentalità dominante sia quella patriarcale e violenta, ma in questo sistema sbocciano come fiori in un campo di guerra delle eccezioni, come Nino (Vinicio Marchioni) e Peppe (Gabriele Paolocà): il primo è un amore d’infanzia affezionatissimo a Delia, il secondo è il marito di Marisa (Emanuela Fanelli), migliore amica di Delia. Questi due personaggi fungono da contraltare, dimostrando che un’alternativa alla violenza esiste.
La Roma di Paola Cortellesi
Quella di Paola Cortellesi è una Roma costruita sul lavoro delle donne, lavoro che era stato necessario durante il periodo bellico, mentre gli uomini erano impegnati al fronte. Il desiderio di possedere del denaro proprio, di impegnare le giornate con il lavoro, di dimostrare le proprie capacità non era svanito, ma con il ritorno degli uomini dal fronte era stato ridotto in schiavitù. Le donne continuavano a lavorare ma venivano pagate meno degli uomini e tutti i loro incassi erano destinati alle tasche dei padri e dei mariti. Marcella, la figlia di Delia, non può andare a scuola, mentre i suoi fratellini possono studiare, anche se odiano farlo e non imparano nulla. Ivano la rimprovera per la sua aspirazione, sottolineando che la scuola costa e che lei avrebbe potuto andarci solo se l’avesse anche potuta pagare: questa affermazione si annulla immediatamente perché non presuppone alcuna possibilità. Tutti i soldi che Marcella guadagna lavorando vanno nelle mani di suo padre. Lei non avrà mai nulla di suo. Non potrà mai pagarsi niente. La sua esistenza dipende da suo padre e dipenderà da suo marito. Un cane che si morde la coda chiamato “sistema patriarcale”.
Cortellesi è attenta a mostrarci due facce della stessa medaglia. Quante volte di violenza di genere vengono accusate le classi sociali più povere e ignoranti? C’è ancora domani dimostra che quello della misoginia sia un fenomeno trasversale, che colpisce sia le donne degli ambienti più poveri che quelle che vivono in grandi ville e vestono di seta. Tutte, senza alcuna eccezione, vengono intimate di tacere dai loro mariti. Tutte soffrono la loro umiliante posizione. Tutte hanno negli occhi lo stesso rancore, la stessa insoddisfazione. Tutte combattono silenziosamente la stessa guerra. Ed è in quest’ottica che il finale del film (senza spoiler) si fa così d’impatto. Sono tutte lì. Sono unite, per la prima volta, a prescindere dal costo dei loro vestiti o della posizione dei loro mariti. Sono tutte lì come un uragano a festa. Perché in quel momento sono tutte uguali. Sono tutte donne.
C'è ancora domani è un film che dovrebbe essere visto nelle scuole
Seduta in sala, nel confortevole buio che solo il cinema regala, ho pianto in vari momenti durante la visione di C’è ancora domani. Non perché io sia di lacrima facile, ma perché Paola Cortellesi è riuscita a scavare una nicchia nel mio petto e a seppellirci dentro qualcosa di importante: la consapevolezza. Alzandosi dalle poltrone dopo aver visto questo film non è possibile arrendersi all’ignoranza. Non è possibile chiudere gli occhi, smettere di ascoltare, negare l’evidenza. Quello che hanno dovuto subire le donne italiane (e che ancora oggi, a volte, sono costrette a vivere) è una realtà scottante e distruggente. Non parliamo di Medioevo, di Caccia alle streghe, di bigottismo religioso. Parliamo di una coscienza collettiva che permetteva e giustificava la sistematica oppressione della donna. Quelle donne che vediamo affiancare Delia e Delia stessa sono le madri delle nostre nonne o le nostre nonne stesse. Persone più vicine a noi di quanto pensiamo.
Di patriarcato e oppressione della donna si parla spesso in termini molto vaghi, teorici, ideologici. Nel film di Paola Cortellesi non c’è nessuna ideologia. Il tempo delle ideologie era appena finito ed era rimasto spazio solo per la fame, il lavoro e la ricostruzione. Con intelligenza e forza, C’è ancora domani dipinge uno spaccato storico fondamentale per la nostra coscienza di cittadine e cittadini italiani, che mette al centro la violenza di genere e l’importanza del diritto di voto. Due temi che chiunque dovrebbe incontrare nel proprio percorso scolastico da quando è alle elementari. Per questo mi vorrei spendere in un piccolo appello che spero venga accolto e diffuso dalle persone che leggeranno questo articolo: se siete professori o professoresse o se avete amici e amiche che svolgono questa professione, vi prego, portate C’è ancora domani nelle scuole. Organizzate incontri, dibattiti, interventi basati su questo film. Fateci ragionare ragazzi e ragazze, date loro modo di incontrare queste tematiche attraverso un’opera così piena e catalizzante. Ne abbiamo bisogno in un Paese in cui il femminicidio è all’ordine del giorno e in cui sempre più persone hanno deciso di rinunciare al voto. L’arte ci mette a disposizione strumenti potenti: sprecarli sarebbe una dimostrazione di grande stupidità.