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Storia di una ladra di libri, quando è la Morte a narrare la Storia

Storia di una ladra di libri, quando è la Morte a narrare la Storia

Forse dovrei fare una confessione. Metto le mani avanti perché il mio, a lungo andare, potrebbe apparire come un discorso ipocrita. Perciò sì, lo ammetto, io scappo dalla Giornata della Memoria. Scappo dalle registrazioni di sirene d’allarme e boati polverosi di bombe, dalle riprese in bianco e nero di documentari che mi ricordano di quali atrocità sia capace l’essere umano. Scappo dalla ricorrenza in sé, dalla mia incapacità di gestire tutti questi orrori, tutti insieme. Scappo, ma non dalla necessità di ricordareGli unici film storici ambientati nel periodo della Seconda Guerra Mondiale mi è toccato vederli a scuola. E dovevo starci pure attenta, perché poi rientravano nei materiali di verifica. Li detestavo, e credevo avrei detestato anche Storia di una ladra di libri, quando una decina d’anni fa mi è stato proposto. Mi sbagliavo così tanto che, tornata a casa, mi sono fatta comprare il libro dal quale il film era stato tratto.

Pubblicato nel 2005 dall’autore australiano Markus Zusak, Storia di una ladra di libri (The Book Thief) è stato venduto in oltre diciassette milioni di copie, diventando un bestseller internazionale tradotto in sessantatré lingue. In Italia arriva nel 2009, edito da Frassinelli, con il titolo di La bambina che salvava i libri, poi mutato in omonimia al film del 2013. Ad oggi, resta l’unico titolo di guerra che io abbia avuto stomaco di leggere – e non tanto perché il pubblico di riferimento è giovane. Non esiste una versione di quegli anni che sia possibile edulcorare nella salvaguardia dell’impressionabilità dei ragazzini. Questo libro non risparmia. La Morte non risparmia. L’unico antidoto al male è la conoscenza, e si attua attraverso la parolaForse avrete sentito nominare la tecnica di restauro giapponese chiamata kintsugi, che prevede di riparare i frammenti rotti del vasellame con una colla mista a polvere d’oro. Rimessa in sesto, la ceramica porta ora i segni della sua storia, una metafora della vulnerabilità, un elogio all’imperfezione. Questo libro mi ha lasciata così, un cumulo di cocci infranti tenuti insieme dall’oro delle parole.

Storia di una ladra di libri, quando le parole sono più pericolose delle armi

Prima i colori. Poi gli esseri umani. È cosi che di solito vedo le cose. O almeno ci provo.

Storia di una ladra di libri, Markus Zusak

Nella Germania nazista del 1939, Paula Meminger, una comunista ricercata dal regime, è costretta ad abbandonare i propri figli per il loro bene. Sul treno verso Molching, il piccolo Werner perde la vita e Liesel, a soli nove anni, assiste al funerale del fratellino nella gelida distesa di neve nei pressi della ferrovia. Quando gli addetti alla sepoltura si allontanano, tutto ciò che rimane del loro passaggio è il tumulo scavato di fresco nel cimitero, le impronte infangate e un anonimo libretto. Pagine di poco conto, un manuale per becchini. Liesel se ne impossessa senza troppo pensarci, segnando il suo destino in una maniera tanto profonda che la Morte stessa rimane a guardarla affascinata.

A Molching, Liesel viene accolta da Hans e Rosa Hubermann, una coppia povera che lavora nella cittadina per mantenersi. Di costituzione robusta, dotata di una lingua affilatissima, Rosa ha soltanto la presunzione di un temperamento intimidatorio. Hans, invece, è un pittore e suonatore di fisarmonica con un passato come soldato durante la Prima Guerra Mondiale, affabile e affettuoso. Non è un avido lettore, ma finirà per affezionarsi alle storie, anche se non quanto si affezionerà a Liesel. 

A trascinare Liesel fuori dal vortice di nostalgia e senso di colpa che la inghiottisce ci pensa Rudy Steiner. Un ragazzino del quartiere – aspirante velocista, nonché ammiratore dell’atleta afroamericano Jesse Owens – che coinvolge Liesel nelle sue avventure, tra scherzi e frutti rubati dagli alberi. Rudy ispira fiducia, con i suoi capelli biondissimi «color limone», tanto da custodire i due più grandi segreti della sua nuova amica.

La moglie del sindaco prende Liesel sotto la sua ala, le mette a disposizione la sua biblioteca, ma la ragazza sarà costretta a tenersene lontana, quando qualcuno la vedrà sottrarre dagli scaffali. Rubare libri diventa un’ossessione, una necessità prima istintiva e poi metodica. Più la situazione politica peggiora, più le scintille dei roghi illuminano le piazze, più Liesel sente il dovere di salvare le storie che la circondano. E Max Vandenburg, un ebreo che gli Hubermann decidono di nascondere nel proprio scantinato, le ricorderà l’importanza di questa missione.

Storia di una ladra di libri, un'analisi narrativa

Stai tranquillo, non badare al mio tono minaccioso. Sono solo una chiacchierona. Non sono violenta. Non sono cattiva. Sono un esito.

Storia di una ladra di libri, Markus Zusak

La particolarità di Storia di una ladra di libri risiede in due scelte narrative efficaci, che rendono il romanzo diverso da qualsiasi altro ambientato nel medesimo periodo. Innanzitutto, i protagonisti sono tedeschi. Poveri, certo, bombardati e lasciati morire di fame, ma pur sempre tedeschi. Sono i “cattivi” della vicenda, e la narrazione procede indisturbata dando per scontato che il lettore ne sia già a conoscenza. Non è una storia di ebrei perseguitati che subiscono le leggi razziali, pur rimanendo la dinamica in qualche modo imprescindibile. Eppure, nemmeno quando accolgono Max, disposti a rischiare la loro vita, gli Hubermann smettono di essere i «tedeschi cattivi». Pare più un regolamento di conti, il saldo di un debito, che un’impellenza morale. Max è il figlio di un soldato che durante la Prima Guerra Mondiale ha salvato la vita di Hans; questo non è che un modo per essergli riconoscente.

La verità è che gli Hubermann non sono cattivi quanto i nazisti – la parte di tedeschi in contrasto con le scelte del regime esiste, per quanto sottile e repressa nel terrore – ma non si possono nemmeno dire completamente buoni. Riconoscono il torto politico di Hitler, ma non esibiscono il coraggio di contraddirlo. Stanno nel loro, hanno già abbastanza problemi per doversi preoccupare anche delle minoranze perseguitate. Quando si parla di moralità – della moralità umana, come variabile e complessa perché reale – non esistono categorie tanto nette. Paradossalmente, l’unica figura dell’intera vicenda a rimanere senza colpe è il narratore, che osserva l’umanità con il suo sguardo pietoso e sbigottito.

Un narratore atipico

Sono perseguitata dagli esseri umani.

Storia di una ladra di libri, Markus Zusak

A raccontare la storia di Liesel è nientemeno che la Morte. Ha una personalità, il senso dell’umorismo graffiante di chi sa che tutto è destinato a finire. Impalpabile eppure antropomorfa, tenta di decifrare la natura umana almeno tanto quanto gli umani.

Si insinua nella narrazione, inframmezzandola con commenti che hanno il sapore di piccole note a margine di un veterano del mestiere. E, per dirla tutta, quell’intervento che alcuni possono trovare piacevole – capace di stemperare la tensione, sollevare il clima opprimente – per altri potrebbe rappresentare una fonte di distrazione. A permettermi di arrivare all’ultima pagine di questo libro, tenendo a mente la confessione di poco sopra, è forse proprio la mancanza di quell’insistenza morbosa sulla violenza che molti romanzi di guerra sembrano esibire. Storia di una ladra di libri è innanzitutto un romanzo di formazione, una lenta – a volte sconnessa – rassegna degli eventi che hanno plasmato l’adolescenza di Liesel durante il peggior periodo della storia recente. Il risultato è un libro a carattere quasi aneddotico, sconsigliato ai lettori amanti del ritmo incalzante e dei finali principeschi. Indubbiamente, però, è un libro per chiunque ami le parole.

Il potere della parola, la parola al potere

Ci sono regimi che si instaurano a suon di pallottole. Eppure i più subdoli sono sempre quelli che come regimi, a parole, non si presentano. Quando Adolf Hitler vince le elezioni nel 1933, non lo fa con le armi. Lo fa con le parole. Trova terreno fertile nelle menti dei tedeschi, dice loro cosa pensare, li convince di cos’è giusto e cos’è sbagliato. Se Hitler non fosse stato cosciente del potere delle parole, oggi forse non saremmo qui a parlare di quanti libri sono stati bruciati nel corso dei Bücherverbrennungen.

Storia di una ladra di libri chiama il lettore ad una riflessione morale. È facile drizzare le spalle e dire: “certo che avrei nascosto un’intera famiglia di ebrei nel mio scantinato, se solo avessi potuto”. Molto meno è guardarsi allo specchio e chiedersi se si avrebbe avuto il coraggio di dirlo in giro, magari. Riconoscere il giusto è un conto; difenderlo apertamente, tutt’altro.

La seconda ladra di libri

C’è un dipinto di Janis Rozentāls, datato 1897, intitolato Döden. Raffigura la Morte, ammantata di bianco, chinata a baciare la fronte di un bambino nelle braccia di sua madre.

A rendere questo quadro un turbine ossimorico di angoscia e speranza è proprio il riflesso accecante di quella veste bianca. Nel nostro immaginario, la Cupa Mietitrice è nera. Scheletrica, orrenda. Eppure, questo dipinto nello specifico tratteggia lo scenario di un’altra morte – pacifica, tra le braccia salde di una madre. Bianca, innocenteLa Morte, alla fine, non è la cattiva della storia. Non ha colpe. È una spettatrice; per il resto, pensano a tutto gli uomini.

Nel corso degli anni ho visto tanti giovani che credono di correre gli uni contro gli altri. Non è così. È verso di me che corrono.

Storia di una ladra di libri, Markus Zusak

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