Sirene, la recensione dell’ultimo romanzo di Emilia Hart
Il nuovo romanzo di Emilia Hart, Sirene, richiama a una mitologia che, anche se ben conosciuta, forse è meno frequentata e compresa rispetto alle credenze sulle streghe. Così come l’autrice aveva fatto con la sua opera d’esordio, Weyward. Questo secondo libro, sempre edito Fazi Editore, rintraccia una mitologia differente: origine diversa, sviluppo e propagazione nell’immaginario comune tutt’altro che semplice. In italiano abbiamo un solo e unico termine. E dall’Odissea di Omero, fino alla Sirenetta, targata Disney, passando per l’omonimo originale di Hans Christian Handersen, la parola più diffusa che noi abbiamo utilizzato è una. Non è così facile comprendere le diseguaglianze nella nostra lingua. Un’immagine si propone e sovrasta le altre, quelle più antiche, eliminandole. Eppure, per chi ne è un po’ appassionato, sa benissimo che le creature sono diverse. Ma qui le sfaccettature si annullano, confluendo in un’unica parola.
Per la lingua anglofona il processo è diverso. C’è – o, perlomeno, c’è stata – una netta differenza tra sirens e mermaids. Nel primo caso, per quanto il termine sia più simile al nostro, originariamente si indicava tutt’altra creatura. A noi viene rivelato dalla mitologia greca, sancendo l’ingresso del mito nella letteratura da parte di Omero. La sete di conoscenza di Odisseo (o Ulisse) porta l’eroe greco a lasciarsi convincere ad ascoltare il loro canto, facendosi legare all’albero maestro della nave, mentre tutti gli altri si tappano le orecchie con la cera. Ciò che vede sono esseri metà donna e metà uccello. Nel secondo caso, invece, c’è l’immagine che più ci sembra familiare e che ha predominato nel corso dei secoli, tanto che poi, anche nella lingua inglese, i significati dei due termini hanno preso a fondersi.
Sirene, il racconto di Lucy e Jess…
Nel nuovo romanzo di Emilia Hart quali di queste creature siano le protagoniste non lo possiamo comprendere subito. Come per Weyward, l’autrice in Sirene non si lascia irretire subito dall’elemento fantastico, ma preferisce dare la precedenza ad altre tematiche che vengono messe in risalto fin dalle prime pagine del libro. Perciò la storia inizia così, con un’ambientazione moderna, il 2019, in cui Lucy si sveglia dopo un episodio di sonnambulismo. Si trova nella camera (in un dormitorio universitario) di Ben, il ragazzo con cui stava approfondendo una conoscenza, ma che poi ha scoperto averla presa in giro, diffondendo foto private senza il suo consenso. Lucy, presa dal panico e dalla disperazione, scappa e si rifugia a Comber Bay, dove vive la sorella Jess, quasi vent’anni più grande e con cui ha perso i contatti da parecchio tempo. Jess non c’è: ha lasciato la porta aperta e il telefono.
Il sospetto che sia successo qualcosa la impensierisce. Ma la sua attenzione viene subito catturata da un dipinto, raffigurante una nave e due fanciulle. Ma lei dov’è? Un po’ la tranquillizza la vicina Melody, avvertita da Jess che sarebbe andata via di casa prima dell’inaugurazione della sua mostra di quadri. Ma il ritrovamento del vecchio diario della sorella, dei tempi dell’adolescenza, scatenano in Lucy, e nel suo spirito da giornalista, il desiderio di conoscere la verità. Cosa si cela dietro la sua lontananza? Cosa è accaduto prima che lei nascesse? E perché si è trasferita proprio a Comber Bay, luogo in cui nel corso dei decenni la gente è scomparsa in riva al mare; luogo in cui storicamente è affondata una nave causando dei morti; luogo disperso nel nulla. Nel diario Lucy ritroverà numerose spiegazioni e la rivelazione di un segreto vecchio vent’anni.
… e quello di Mary ed Eliza
Duecento anni prima, invece, il racconto di due sorelle, Mary ed Eliza. Cresciute nella cattolica Irlanda, vengono mandare in esilio dopo aver commesso un crimine. Aver ucciso un uomo. L’incarico di portarle nel Nuovo Galles del Sud è affidato a dei marinai che le rinchiudono in una piccola stiva, insieme ad altre donne, autrici di altri crimini.
Non importava che la nave le scagliasse l’una contro l’altra mentre solcava le onde. Che la carne andasse a sbattere contro la carne e che i capelli si aggrovigliassero ad altri capelli. parlare ‒ raccontare storie ‒ era un modo per restare separate dall’ammasso di capelli e arti. Era un modo per restare umane. «Gli esseri umani sono nati per raccontare storie», diceva sempre Pa. «Le capre raccontano storie? I merli o le pecore? No. Poco ma sicuro, è un dono di Dio per noi, soltanto per noi».
Sirene, Emilia Hart
Il loro destino, quello di essere vendute a uomini nella nuova colonia. Strette nella stiva, le donne muoiono di fame; vivono con il cibo scadente che viene dato loro dai marinai; non si possono lavare. Per ottenere qualche favore, solo una di loro riesce a guadagnarselo andando a letto con uno degli uomini della nave. Il contrappeso delle sue azioni però rivela poi l’odio e il disprezzo delle sue compagne di sventura. Nella lunga traversata in prigionia, Mary ed Eliza raggiungono nuove consapevolezze, abbandonandosi nei ricordi del loro passato, della morte della madre, ma non riuscendo a immaginare quale sia effettivamente la loro vera natura. Quella delle sirene. Quando, quasi raggiunta la meta dopo mesi di viaggio, la nave verrà devastata dalla tempesta, le due sorelle riusciranno a sopravvivere, portando anche in salvo le compagne. Una sola promessa alla fine: riscattare il loro destino, punendo gli uomini.
Sirene è una storia di vendetta
Come nel suo romanzo precedente, Emilia Hart mette al centro il ruolo femminile. La rappresentazione mitologica – in Weyward le streghe, in Sirene gli esseri metà donne metà pesce – funge da allegoria a una condizione persistente della donna. Non a caso la scelta ricade sempre in esseri soprannaturali che genericamente sono associati unicamente al solo sesso femminile. Certo, di maghi e stregoni la letteratura ne è piena (si veda Merlino, nelle prime tracce scritte profeta, poi nell’età contemporanea in veste di mago), ma le fattucchiere sono sempre quelle bistrattate, nella fantasia e nella realtà dei fatti, come ci racconta A.K. Blakemore nelle Streghe di Manningtree. Allo stesso modo, questo nuovo romanzo mantiene lo stesso intento: qual è il posto che ricopriamo in questo mondo? Chi ci declassa, chi ci affossa, chi ci prende per pazze? Sono solo gli uomini o anche noi stesse?
Particolarmente significativo nel libro il destino di alcuni uomini. Sotto il profilo di un leggero thriller a cui, in realtà, nessuno sta indagando, il mistero di Comber Bay viene pian piano svelato. Nel corso dei decenni la cittadina australiana è funestata da scomparse. Uomini, di qualsiasi età, di qualsiasi provenienza. Nessun legame apparente li accomuna. Poi Lucy ne viene a capo, indagando casualmente sui fatti della cittadina in cui vive la sorella, dominata dal suo spirito giornalistico. Le persone scomparse sono macchiate di crimini. È una vendetta che richiama lo spirito delle erinni, che ancestralmente riemerge dalle più profonde antichità. Ancestrale è anche il terrore della macabra cittadina. Un luogo isolato, poco conosciuto e misterioso. Lucy spesso si domanda perché Jess da Sidney si sia riparata in un luogo tanto lontano.
Il legame delle quattro protagoniste
Così il legame tra passato e presente si fa persistente. Comber Bay è il collegamento che intreccia i fili delle vite di Mary ed Eliza e di Jess e Lucy. Perché ciò che hanno affrontato le prime si ripercuote sulle seconde. L’eredità di un potere nascosto che suscita vendetta (o giustizia). Il volere di proteggere le future generazioni si mette in atto attraverso una presenza, che come un fantasma veglia nel corso dei secoli sulle donne. La cittadina di Sirene nasconde molti misteri, orrorifici, inquietanti. Ma è portatrice di un segreto più “nobile” (almeno dal punto di vista delle protagoniste).
…Ci facevamo paura a vicenda, drizzavamo le orecchie per sentire le donne del naufragio che cantavano, ma sentivamo sempre e solo le onde, i gabbiani. Più che altro ce ne stavamo distesi sul suo gommone e ci baciavamo.
Lui voleva andare fino in fondo. Anch’io lo volevo, ma c’era qualcosa dentro di me, qualcosa che mi faceva sentire… incerta. Insicura, forse, adesso che ci penso. Così, lui mi metteva le mani sul bottone dei jeans, mi baciava il collo e mi implorava di dargli di più e io gli dicevo di no, anche se a volte sentivo che sarebbe stato più facile dirgli di sì. Cedi e basta, pensavo. falla finita. Non può essere così male. Ma comunque dentro di me c’era sempre quel seme di paura».
Sirene, Emilia Hart
E nei racconti si rivelano i fatti. Ogni cosa molto lentamente viene disvelata e acquisisce un senso. Si possono giustificare queste azioni? Molto probabilmente no. Ma il sentimento è sempre quello di protezione che spiega il motivo di causa-effetto.
In conclusione
Sirene è un bel romanzo. In alcune occasioni e per diverse ragioni si rivedono molti elementi ricorrenti anche in Weyward. La trama, ovviamente, non è la stessa. Ma le tematiche lo sono. Allo stesso modo anche la struttura è identica. Una formula che comprende uno schema ben definito: attraverso la linea temporale le protagoniste fanno sentire la loro voce, risolvendo un enigma che si cela nel passato e si rivela nel futuro. Sebbene l’opera di Emilia Hart sia ben riuscita, alle volte la scrittrice scivola in metafore già sentite. Fortunatamente queste ultime sono rare.
Li ho letti entrambi,ma nel primo ho ritrovato il vero potere femminile,dato dalla forza che contraddistingue le donne,unito al potere della natura.
Donne e natura sono in grado di creare…di trasformare…di amare ma anche di distruggere.
In entrambi i romanzi le donne amano poco se stesse.Ma questa è una storia che si ripete da millenni ..forse prima o poi impareremo