RECENSIONI
Shahmaran, la Serie TV fantasy turca torna su Netflix!

Shahmaran, la Serie TV fantasy turca torna su Netflix!

Arriva direttamente dalla Turchia la nuova stagione della serie fantasy Shahmaran, basata sulla leggenda dell’omonima regina dei serpenti, che va decisamente controcorrente rispetto alle tipiche fiction turche, normalmente di stampo sentimentale, aggiungendo al romance il genere fantasy. Protagonisti della serie tv sono Serenay Sarıkaya e Burak Deniz, entrambi attori e modelli turchi che stanno facendo impazzire il mondo. Serenay Sarıkaya è famosa in Italia anche per la serie tv Netflix Thank you, Next.

Aveva debuttato a inizio 2023 la prima stagione composta da 8 episodi, con la regia di Umur Turagay e la sceneggiatura di Pinar Bulut; e, dopo il grande successo ottenuto, da agosto 2024, è sbarcata su Netflix anche la seconda stagione, con un cast riconfermato quasi in toto e una storia che, però, prende le distanze dalla prima parte della narrazione.

Shahmaran: una trama tra folklore e legami familiari

La trama di Shahmaran ruota attorno a Şahsu (Serenay Sarikaya), una giovane ricercatrice universitaria di Istanbul, che decide di recarsi ad Adana, nel sud della Turchia, per un incarico di lavoro come docente. Tuttavia, il viaggio ha anche un significato personale: vuole incontrare suo nonno Davut (Mustafa Ugurlu), che ha abbandonato sua madre molti anni prima senza spiegazioni. Spinta dalle ultime parole di sua madre sul letto di morte, Şahsu si reca dal nonno, nutrendo sentimenti di rabbia e risentimento nei suoi confronti.

Arrivata ad Adana, Şahsu scopre di vivere accanto a una comunità misteriosa, i Mar, che venerano Shahmaran, una leggendaria creatura metà donna e metà serpente. Questa famiglia è profondamente convinta di una profezia secondo la quale Shahmaran risorgerà quando la discendente di Camsap, l’antico amore che l’ha tradita, si innamorerà di un basilisco, un essere metà umano e metà serpente.

Shahmaran recensione

Tra i membri della famiglia Mar, Şahsu incontra Maran (Burak Deniz), un uomo enigmatico che è considerato “il prescelto” dalla sua comunità. Nonostante il suo scetticismo, Maran ha accettato il suo destino e cerca di evitare che la profezia si realizzi. Tuttavia, emerge presto che Şahsu è la discendente di Camsap, mentre Maran è il basilisco destinato ad amarla. I due cercano inizialmente di evitare il loro destino, ma la domanda persiste: è davvero possibile sfuggire al fato?

Le dinamiche della storia d’amore si intrecciano strettamente con quelle familiari, creando un costante conflitto tra dovere e desiderio, tra ciò che si vorrebbe fare e ciò che si è obbligati a fare. Shahmaran è una serie che fonde abilmente elementi di folklore e mitologia turca, ponendo al centro della narrazione la figura leggendaria di Shahmaran, simbolo di amore, saggezza e ineluttabilità del destino. Il soggetto è tratto dal libro fantasy Şah-ı Mar di Emine Buzkan Kaynak, pubblicato nel 2022 e inedito in Italia.

Shamahran

Il mito di Shahmaran e la mitologia turca

Shahmaran è una creatura mitologica profondamente radicata nel folklore della Turchia e delle regioni circostanti, specialmente in AnatoliaSecondo la leggenda, Shahmaran vive in una grotta nascosta nelle profondità della terra, governando su un regno di serpenti con bontà e saggezza. Il mito più noto narra di un giovane di nome Camsap che un giorno scopre per caso la caverna di Shahmaran. Camsap, affamato e in cerca di cibo, entra nella grotta e viene accolto da Shahmaran e i suoi serpenti. Con il passare del tempo, il giovane e Shahmaran si innamorano. Tuttavia, un giorno Camsap sente il bisogno di tornare al mondo esterno. Shahmaran, benché triste, lo lascia andare ma gli fa promettere di non rivelare mai la sua esistenza.

Shahmaran

Camsap mantiene la promessa fino a quando, molti anni dopo, il sovrano della sua città si ammala gravemente e un mago dichiara che l’unica cura è il sangue di Shahmaran. Pressato dalle circostanze, Camsap tradisce Shahmaran rivelando la sua posizione. Shahmaran viene catturata e uccisa, ma prima di morire, rivela a Camsap di tagliarla in tre parti e dare la testa al sultano, per guarirlo dal suo male, dare il corpo al visir per farlo morire all’istante e mangiare lui stesso la coda per assorbirne tutta la saggezza. Dopo la sua morte, la leggenda vuole che Shahmaran continui a vivere nel cuore di chi conosce il segreto della sua saggezza e che possa tornare quando l’umanità non tradirà più la sua fiducia.

Questa leggenda, con le sue molteplici varianti, continua a essere una delle storie più amate e raccontate nella tradizione orale turca, unendo la magia del folklore alla complessità delle relazioni umane.

L’adattamento Netflix: i problemi e le potenzialità della prima stagione di Shamahran

La serie TV Netflix rielabora il mito, modificandone alcuni elementi e introducendo nuove dinamiche, come l’inserimento della sorella vendicativa di Shahmaran, Lilith, e la frattura all’interno della comunità Mar, divisa tra i seguaci delle due sorelle. La narrazione inizia in modo lento e riflessivo, ma riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo grazie a un’atmosfera carica di mistero. Si tratta di un vero thriller, in cui le intenzioni dei personaggi rimangono oscure e il fulcro della storia si rivela solo gradualmente. L’approccio in medias res, che sembra presupporre una conoscenza pregressa della vicenda, può funzionare per il pubblico turco, ma risulta meno efficace per quello internazionale, che svela gran parte dei dettagli solo verso la fine della stagione.

I due protagonisti sono convincenti e fanno da perno all’intera trama, soprattutto Serenay Sarikaya si riconferma essere un’ottima interprete, che ha retto l’intera serie tv e che, a tratti, ricorda Blake Lively, in questi giorni al cinema con It ends with us. Le atmosfere sono molto vivide, catapultano lo spettatore perfettamente nell’ambientazione e nel folklore turchi. Il connubio con la natura e molte scene tra i protagonisti ricordano persino  Twilight, con la famiglia di Maran che si configura a tutti gli effetti come la famiglia Cullen turca.

Insomma, le prime puntate partono con il botto, seppur lente nella narrazione. Le interazioni di Sahsu con il nonno, la sua personalità determinata, il suo legame con l’acqua sembravano tutti elementi destinati a un climax memorabile. Il vero problema è che questo climax non arriva mai al suo apice. La prima stagione si divora un episodio dietro l’altro, con la smania di arrivare alla resa dei conti, ma  tutto quello che accade è condensato nel finale di stagione, che sommerge lo spettatore di informazioni e colpi di scena destabilizzanti.

Seconda stagione o nuova serie tv?

La seconda stagione si apre con una tabula rasa di tutto quello che si era conosciuto fino a quel momento (proprio ora che ci avevamo capito qualcosa!) e allo spettatore sembra di aver iniziato una serie tv differente. Da una romantasy folkloristico si passa a un fantasy con battaglie, demoni e scene splatter che lasciano più amaro in bocca che altro. 

I nuovi volti introdotti sono molto affascinanti, anche se sembrano non aver espresso le loro potenzialità appieno e, a lungo andare, diventano ripetitivi e orizzontali. I personaggi secondari, che, fin dall’inizio e fino all’ultimo episodio, risultano essere molto interessanti e misteriosi, non vengono, infatti, mai approfonditi. I rapporti tra di loro (e con loro) restano superficiali e non si evolvono nel tempo. Non conosciamo la storia di nessuno, sono rilegati a fare da comparse, il che, oltre ad essere un peccato, è anche uno spreco di potenzialità. Che ruolo hanno le sorelle di Maran? Perché una di loro ha sempre indosso gli occhiali da sole? Qual è la storia dell’aiutante di Lilith? E quella di Cihan?

La seconda stagione si chiude, a differenza della prima, con un nulla di fatto. Succedono molte cose, ma lo spettatore si ritrova interdetto e poco convinto delle scelte portate avanti da tutti i personaggi coinvolti. Quella di Shahmaran è la storia di un ciclo infinito, che potrà spezzarsi solo grazie al sacrificio di un umano per amore. Ricorda un po’ il mito dell’uroboro e dell’eterno ritorno, che non a caso è proprio un serpente.

Il simbolismo e le suggestioni di Shamahran

Shahmaran colpisce per la sua estetica visiva, caratterizzata da una sapiente combinazione di simboli che permeano ogni aspetto del mistero narrato. Serpenti, flashback, possessioni, fuoco purificatore, acqua vivificante e visioni si intrecciano in questa serie turca targata Netflix, conferendole un fascino unico. La regia si affida alla bellezza delle ambientazioni per dare vita a un racconto che evoca la magia dei miti e delle leggende. Allo stesso tempo, i personaggi, con il loro ruolo cruciale, contribuiscono a costruire l’essenza di Shahmaran. C’è una cura evidente nella creazione di un’atmosfera che oscilla tra il reale e l’immaginario, tra la concretezza e la fugacità, con il regista che riesce a gestire abilmente il materiale narrativo. Il gioco di suoni, sibili e musiche è altrettanto efficace nel mantenere alta la tensione e l’attenzione dello spettatore.

Nonostante l’armoniosa fusione tra romanticismo e elementi fantasy-mitologici, che riesce a creare una storia intrigante e ricca di suggestioni, la serie pecca nella distribuzione delle rivelazioni della trama, lasciando che queste si concentrino in modo eccessivo nel finale di stagione. La prima stagione, pur partendo con un episodio iniziale promettente e ricco di misteri, perde progressivamente coerenza. L’importanza della famiglia, che avrebbe dovuto essere un pilastro centrale per lo sviluppo dei conflitti e delle dinamiche tra i personaggi, viene troppo spesso trascurata, sottraendo profondità alle storie secondarie. Nonostante la buona performance del cast e il fascino del folklore turco, la serie finisce per perdere originalità e forza narrativa episodio dopo episodio. Tuttavia, le premesse lasciano aperta la possibilità che, in una eventuale terza stagione, la storia possa riprendere quota e mantenere le promesse iniziali.

Se amate il folklore e volete scoprire una mitologia distante da quella nostrana, è comunque una serie godibile e che si divora in poco tempo, capace di calare lo spettatore in atmosfere distanti e oniriche.

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