Pastorale Americana di Philip Roth: il sogno americano e il suo contrario
Ciò che fanno i grandi narratori contemporanei è comporre ipotesi di storie, di realtà e di rappresentazione del mondo. Dentro questi racconti il vero non è un vero reale ma è ciò che il narratore ha visto coi suoi occhi. Di conseguenza l’universo davanti a cui ci troviamo è solo possibile, non è un mondo che aspira ad essere verosimile. È quello che accade leggendo Pastorale Americana, scritto da Philip Roth e pubblicato nel 1997. Ne parliamo insieme in questo terzo appuntamento della rubrica Voci dalla Letteratura, dove ci ritroviamo per analizzare le grandi voci che hanno costruito il nostro panorama letterario contemporaneo. Lo scorso episodio abbiamo parlato del genio di Murakami, oggi tocca a Philip Roth.
L'opera madre di Philip Roth
Pastorale Americana racconta di Nathan Zuckerman, uno scrittore diventato famoso per aver toccato tematiche tabù per la sua epoca. Nathan sceglie di rievocare uno dei miti della sua infanzia, ovvero un ragazzo poco più grande di lui molto popolare nella sua scuola, Seymour Levov, da tutti soprannominato Lo Svedese. Si tratta di un personaggio singolare in quanto, pur essendo ebreo figlio di immigrati, viene descritto come una sorta di contaminazione tra i tratti della cultura ebraica e quelli della cultura statunitense: alto, biondo e di carnagione chiara, con una fisionomia molto diversa da quella dei suoi coetanei. Nathan inizia a raccontare la storia di Seymour in base ai suoi ricordi diretti e alle esperienze vissute in prima persona tra infanzia e adolescenza ma anche in base ai racconti indiretti forniti dall’incontro con Jerry, il fratello minore di Seymour.
Il romanzo è suddiviso in tre parti per nove capitoli. Nella prima parte assistiamo a una sorta di parabola ascendente del personaggio dello Svedese, che si modella nel nostro immaginario come un emblema di perfezione e bellezza. La strategia narrante di Roth ci proietta quindi ad una partita di baseball tenutasi nel 1985 dove Zuckerman incontra lo Svedese ormai anziano e che, proprio in seguito a tale incontro, contatterà lo scrittore per commissionargli un lavoro. Durante l’appuntamento concordato lo Svedese si mostrerà piuttosto ambiguo, portando avanti una recita ricca di autocompiacimento atta solo a rimarcare quanto grande fosse la leggenda di Seymour Levov.
Saymour e l'incarnazione dell'american dream
Sarà successivamente l’incontro con Jerry, durante il raduno del quarantacinquesimo anniversario dei diplomati, a far emergere la verità e Nathan apprenderà che lo Svedese ai tempi del loro incontro stava per morire e che il suo funerale si era appena concluso nelle ore precedenti al raduno in corso. Non solo, Nathan verrà anche a conoscenza dell’esistenza della figlia di Seymour, Merry, quella figlia terrorista antigovernativa e assassina che, portando gli ideali pseudo pacifisti e l’orrore della guerra in Vietnam dentro le mura di casa, aveva minato alla perfezione del sogno americano del padre distruggendolo in mille pezzi. Lo snodo reale del romanzo risiede proprio in questa rivelazione in grado di mettere davvero in moto la narrazione. Tuttavia, all’interno del racconto, si creano vuoti enormi e lo stesso Nathan afferma che a parte ciò che lui ricorda e ciò che gli è stato raccontato, mancano dei blocchi enormi nella biografia di Seymour Levov. Il protagonista così si rende conto delle discrepanze tra i suoi ricordi e ciò che emerge dall’incontro con Jerry, probabilmente dovute all’idealizzazione compiuta da ragazzo nei confronti di Seymour che incarnava perfettamente l’ideale dell’american dream.
Il mito di Roth e della pastorale americana
Il titolo stesso del romanzo di Philip Roth rimanda a una sorta di luogo leggendario e fa riferimento nella cultura occidentale al mito dell’Arcadia settecentesco, in cui vivevano solo personaggi non contaminati dalla realtà, all’insegna della felicità e della perfetta sintonia con la natura. In particolare, la pastorale americana, non avendo una storicità lunga come quella europea, non può fare riferimento a una mitologia classica di stampo greco/romano bensì a un immaginario più recente. Tale locus amenus risiede nel perfetto inserimento nella società e nella realizzazione data da una buona posizione lavorativa ed economica: una bella casa, una bella famiglia seduta attorno alla tavola il giorno del Ringraziamento.
Questa immagine “pastorale” che Nathan si è fatto di Seymour viene in realtà contraddetta da suo fratello Jerry, che gli racconta come Lo Svedese abbia vissuto una vita terribile, piena di lutti e di sofferenze. È in questo momento che nel romanzo si crea un grande attrito tra l’immaginario dei ricordi di Nathan e il racconto più o meno attendibile di Jerry. Per questo motivo il lettore fatica a comprendere quale delle due narrazioni sia più veritiera: da un lato abbiamo infatti il racconto idealizzato di Nathan e dall’altro quello profondamente rancoroso del fratello Jerry, che ha sempre vissuto nell’ombra dei successi di Seymour e che, mentre parla, sembra volersi prendere una rivincita. Nessuno dei due narratori è quindi attendibile. Nathan, nel momento in cui inizia a raccontare, si chiede se Seymour Levov sia stato una persona felice, quasi rimandando a Tolstoj nell’incipit di Anna Karenina, in barba ai racconti risentiti di Jerry.
“Capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. La cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati.”
Il nostro narratore si domanda come regolarsi con la storia degli altri in quanto male attrezzati a comprendere la moltitudine di pensieri e sentimenti che vi si agitano, come capire le intenzioni invisibili e non dichiarate sia nella vita vera sia all’interno della storia romanzata. Nathan si è inserito ipoteticamente nella testa del personaggio, calandosi nella solitudine dello Svedese per renderne esplicite le sue caratteristiche, esattamente come Italo Svevo fece con Zeno in modo da renderlo romanzescamente plausibile, interessante dal punto di vista della finzione. Il romanzo di Roth quindi si dichiara una rappresentazione di come la realtà si trasforma in finzione, l’uomo in personaggio, diventando lentamente un testo metanarrativo. Pastorale Americana è un romanzo che parla di romanzi, che mette in scena la scrittura e i meccanismi che presiedono la narrativa. Il lettore può ricostruire la sua propria storia portando avanti alcuni punti non chiariti, questo perché la narrazione segue una delle caratteristiche della letteratura contemporanea: la multilinearità, che permette a una storia con molti plot di avere molti narratori e, di conseguenza, molti lettori che possono seguire diverse teorie.
La scoperta della contropastorale
Il cuore della storia di Seymour Levov è la sua vita familiare, una vita che è stata pastorale fino alla nascita della figlia Merry e che proprio questa figlia ha trasformato poi in contropastorale, ovvero nell’altra faccia del sogno americano, fatto di violenza e rabbia cieca. La pastorale è la rappresentazione di un mondo in cui tutto è concordia: Seymour è un personaggio pastorale perché eredita in maniera perfettamente risolta ciò che il padre ha costruito, al contrario sua figlia Merry, che rifiuta tutto ciò che Seymour le ha dato. Tale rifiuto si manifesta in maniera violenta trasformandola in una terrorista, vittima di ripetute violenze, costretta a nascondersi per evitare l’arresto. Suo padre cercherà di seguirla in questa folle corsa, pensando a un modo per poterla reinserire nella società e allo stesso tempo facendo in modo che paghi per i crimini commessi, ma di fatto non riuscendoci. In questo scontro generazionale, che muove dai figli verso i padri e non viceversa, c’è una rappresentazione epocale della storia sociale americana contemporanea e di come il sogno americano possa rivelarsi in tutto il suo contrario.
“Nessuno attraversa la vita senza restare segnato in qualche modo dal rimpianto, dal dolore, dalla confusione e dalla perdita. Anche a quelli che da piccoli hanno avuto tutto toccherà, prima o poi, la loro quota d’infelicità; se non, certe volte, una quota maggiore.”
Dalla narrativa di Philip Roth al grande schermo
Pastorale Americana diventa anche un film nel 2016, con la regia di Ewan McGregor, ma il progetto per il grande schermo non ha nulla a che vedere con la grandezza dell’opera di Philip Roth. La narrazione si appiattisce esageratamente, il conflitto di un’intera collettività si riduce esclusivamente al conflitto personale e familiare dello Svedese, rappresentato come un uomo troppo buono e privato, quindi, di forza. L’esposizione dei fatti si presenta ordinata e obbediente al testo letterario e forse è proprio questo a non suscitare nello spettatore l’indignazione e la rabbia necessari al contesto storico e sociale raccontato. Anche la scrittura dei protagonisti appare poco convinta: i personaggi e i loro caratteri si mostrano spesso incoerenti nell’agire e non vanno incontro a nessuna trasformazione.
“Scrivere ti trasforma in una persona che sbaglia sempre. La perversione che ti spinge a continuare è l’illusione che un giorno, forse, l’imbroccherai. Che cos’altro potrebbe farlo? Fra tutti i possibili fenomeni patologici, questo è uno che non ti rovina completamente la vita.”