Litte, Big: il fantasy cult di John Crowley
Little, Big, la più nota opera di John Crowley (titolo originale Little, Big: or, The Fairies’ Parliament), fu pubblicato per la prima volta nel 1981 e ottenne subito un grande successo di pubblico e critica, tanto da diventare romanzo di culto nel giro di qualche tempo. Dopo la sua pubblicazione, conseguì la candidatura ai premi Nebula, Hugo, BSFAA (British Science Fiction Association Award) e Locus, ottenendo invece nel 1982 il premio World Fantasy Award. Finora inedito in Italia, è stato pubblicato nel gennaio 2023 dalla Oscar Mondadori nella collana Oscar Fantastica, con traduzione ad opera di Donatella Rizzi.
Little, Big: la Fiaba dentro il romanzo.
«IN UNA CERTA GIORNATA di giugno del 19, un giovane stava camminando verso nord allontanandosi dalla grande Città diretto al villaggio, o località, chiamato Edgewood, di cui aveva sentito parlare, ma che non aveva mai visitato. Il suo nome era Smoky Barnable e stava andando a Edgewood per sposarsi.»
Così inizia Little, Big, romanzo la cui storia ruota attorno a una serie di personaggi, tutti imparentati in qualche modo tra loro, che si ritrovano coinvolti in quella che viene chiamata “la Fiaba”, una narrazione a metà tra il fantastico e l’onirico, i cui fili si dipanano e coinvolgono tutti i rami della famiglia Drinkwater per generazioni e generazioni, assumendo quasi i tratti di una profezia. La narrazione si svolge quindi nell’arco di decenni, durante i quali osserviamo i protagonisti crescere, entrare nell’età adulta, sposarsi e raggiungere, infine, l’età avanzata. La storia inizia con Smoky, un ragazzo di Città, razionale e con i piedi per terra, che si mette in viaggio per sposarsi con Daily Alice, una ragazza dai meravigliosi riccioli rossi e gli occhi da bambina che è riuscita a incantarlo dal primo momento in cui l’ha vista. Daily Alice è l’esatto opposto di Smoky e sembra, fino al momento delle loro nozze, vivere un’eterna fanciullezza.
“Che cosa stava succedendo? Si era innamorato, ovvio, a prima vista, ma gli era già capitato di innamorarsi ed era stato sempre a prima vista, ma mai si era sentito così – come se qualcosa, dentro di lui, stesse crescendo inesorabilmente.”
La vita a Edgewood è molto diversa da quella che Smoky si era immaginato e non gli basterebbe un’eternità per comprendere la natura degli eventi che accadono in questa casa dalle stanze immaginarie, porte segrete, infiniti corridoi in continua evoluzione. Architetto di questa meravigliosa casa fu John Drinkwater, che all’epoca della costruzione teorizzò l’esistenza di infiniti mondi, in particolare di un Mondo più piccolo che coabita insieme a quello che tutti noi conosciamo. John trascorse la vita a tentare di comprendere il viaggio necessario per attraversare questi mondi, viaggio al quale è collegata l’esistenza di creature Fatate, piccoli esseri che non si mostrano agli occhi umani, se non a persone da loro scelte (nella maggior parte dei casi bambini), e le cui azioni non possono essere comprese, né spiegate…
Gli studi di Drinkwater si sono tramandati di padre in figlio, di madre in figlia, e tutti sono cresciuti con la consapevolezza di far parte di un progetto più grande, la Fiaba, che prima o poi avrebbe richiesto loro qualcosa per potersi concludere.
Little, big oltre le regole del fantastico
“Se era un personaggio, era stata lei a farlo diventare tale. E se lui era un personaggio, probabilmente era una figura secondaria: un personaggio secondario nella storia di qualcun altro, quella storia assurda nella quale si era infilato da solo.”
Parlare di Litte, Big non è facile per una serie di ragioni. In primo luogo, il worldbuilding è impossibile da spiegare, se non paragonandolo a una matrioska. La sensazione che si ha leggendo il libro è che siano presenti più universi narrativi che si sovrappongono man mano l’uno sull’altro, al punto tale che diventa impossibile distinguerli. Vi sono una dimensione strettamente onirica e un’altra che sfiora le caratteristiche del paranormale, che si fondono perfettamente al racconto più realistico e che portano con sé una serie di personaggi.
Il sottotitolo del libro, The Fairies’ Parliament, ovvero il Concilio delle fate, ricorda al lettore la presenza di forze fatate all’opera nella storia, ma che, in realtà, compaiono assai raramente.
“Il mio ricordo più antico è di un viso alla finestra della mia camera da letto. Era notte, d’estate. La finestra era aperta. Un viso giallo, tondo e splendente. Aveva un largo sorriso e due occhi, come dire, penetranti. Mi stava guardando con un’aria molto interessata.”
Sono perlopiù i bambini di Edgewood che percepiscono la loro presenza, mentre ci sono personaggi che, nonostante ci provino, non riusciranno mai a comprendere il funzionamento della Fiaba. E poi ci sono gli adulti, che a causa della loro perdita di innocenza, elemento che viene più volte sottolineato durante la narrazione, dimenticano, e per questo non percepiscono più il legame con gli esseri fatati.
In secondo luogo, abbiamo la collocazione temporale di questa favola in tempi moderni. Lo stile narrativo in Little, Big è quello della fiaba, che si porta dietro personaggi tipici delle favole (Daily Alice che ci ricorda una Alice di Lewis Carroll un po’ più maliziosa, Smoky il bambino un po’ scettico che si rifiuta di credere alle fate, ecc) ma, catapultati in un contesto moderno in cui sfrecciano automobili, i ricordi si immortalano attraverso la fotocamera e la Città si trasforma nel corso dei decenni in una vera e propria metropoli. Dalla descrizione, la storia sembra ambientata dalle parti di New York, ma in una sorta di zona senza tempo che solo alcuni possono raggiungere e il cui punto focale è Edgewood.
È in questa distopia che si collocano tutti i personaggi coinvolti nella Fiaba, che assumono i tratti di attori ignari del copione che è stato loro assegnato. Vi sono alcune comparse, perlopiù gli abitanti dei dintorni di Edgewood che hanno avuto più o meno contatti con la famiglia Drinkwater, i membri della famiglia che sono cresciuti con la consapevolezza di essere coinvolti nella Fiaba ma senza aver mai capito il suo funzionamento. E poi c’è Daily Alice, l’unica che sembra essere sempre un passo davanti a tutti.
La narrazione è tutto tranne che lineare: è totalmente assente una chiara spiegazione degli eventi. È in questo senso che Crowley ti catapulta in una tragedia shakespeariana ambientata nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, un perfetto mix tra due generi molto diversi tra loro, che ti intriga e confonde allo stesso tempo, toccando una grande varietà di temi. C’è lo stato di incanto insito nella fanciullezza, i cambiamenti naturalmente portati dall’adolescenza, la saggezza degli anziani, il sogno, la follia, l’ossessione, gli amori perduti.
Little, big e il complesso esistenzialismo delle fiabe
Litte, Big non è un libro semplice da leggere, ancora meno da comprendere, ma ha come grande punto di forza una storia estremamente affascinante nella sua complessità, anche se a tratti esasperata. È una saga familiare fantastica che mi sento di consigliare a chi non si spaventa davanti a una penna complessa come può essere quella di Crowley, ma ha pazienza e vuole essere trascinato in questo intreccio da favola shakespeariana, che catapulta il lettore nelle atmosfere da fiaba che tutti noi abbiamo conosciuto da piccoli, da Peter Pan a Alice nel Paese delle Meraviglie, ma anche, se vogliamo, a quelle cinematografiche tipiche di Tim Burton.