Le cinque rive. Gli anni delle fiamme, l’esordio fantasy di Chiara Cecilia Santamaria
Che il fantasy non è solo escapismo lo aveva detto già Calvino, e sicuramente qualcun altro prima di lui, perché i duri di comprendonio e dallo snobismo facile esistono da sempre. Io, però, le sue parole precise non le ricordo, per cui ecco quelle di Neil Gaiman: «[…] La funzione della letteratura fantastica è quella di mostrarci il mondo che conosciamo, ma visto da una prospettiva diversa». Uscito a maggio di quest’anno per la collana fantasy di Gribaudo Editore, Le cinque rive di Chiara Cecilia Santamaria (sui social @machedavvero e @boomfiction) fa proprio questo: si colloca lontano dalla realtà, ma alla realtà è più vicino che mai.
Le cinque rive: storia di un continente diviso e di due ragazzi alla ricerca di sé
Vidrian, Terrena, Alta, Sama e Morhva — questi i nomi dei cinque stati, o Rive, che compongono (frammentano?) il continente di Radian. Come tessere in un grande mosaico, ciascuna Riva è unica nel suo genere e, allo stesso tempo, non tanto diversa da quella che le sta immediatamente accanto. I rapporti commerciali e diplomatici che uniscono le Cinque Rive, però, riescono a malapena a celare la paura dell’altro e la diffidenza verso Morhva, insorta al comando della sua Imperatrice maledetta durante gli Anni delle Nebbie e oggi sotto il controllo vigile della Federazione.
Ad apertura del romanzo ci troviamo al Convincto degli Armon, a metà strada tra una scuola di cavalieri Jedi e un monastero. Lì il giovane apprendista Bram Cadaval si sente una nota stonata in una melodia altrimenti perfetta, un elemento di disturbo nell’unità del Cerchio. L’imminente Cerimonia della Destinazione, in cui i Vidrianan scoprono il proprio destino, risveglia in Bram insicurezze mai sopite e nutre un’inquietudine che si materializza in una strana visione.
A chilometri di distanza, Deva Loissen trascorre giorni sempre uguali nell’abbraccio protettivo della tenuta di famiglia, circondata dall’amore familiare e da agi di ogni tipo. È una vita quasi da sogno, la sua — quasi, perché le crisi di cui soffre sin da bambina e che la spingono a farsi del male sono a un battito di ciglia dal verificarsi. Tuttavia, anche la portata distruttiva delle crisi impallidisce in gravità di fronte allo strazio di vedere bruciare vivi i propri genitori e andare in fumo tutto il proprio mondo.
Che cosa potrà mai collegare la scomparsa improvvisa di un bambino destinato agli Armon durante la Notte Viola della Cerimonia a Riva di Vidrian e l’esecuzione di una facoltosa famiglia di commercianti a Riva di Terrena? Apparentemente nulla, in realtà tutto. C’è un filo rosso che unisce Bram Cadaval, Deva Loissen e il passato di guerra di Radian, e questo è chiaro. La vera domanda è chi è che quel filo, talmente sottile da risultare invisibile, lo ha posizionato e attende di strapparlo al momento opportuno.
Quando un solido world building incontra un cast di personaggi sfaccettati
Durante tutto il corso della lettura, e soprattutto verso il finale, è andata rafforzandosi la convinzione con cui ho aperto questo articolo: Le cinque rive, a dispetto del genere fantasy a cui appartiene, anzi, proprio per questa ragione, è più ancorato che mai a fatti e tematiche del nostro presente.
Di stati che collaborano più per vantaggi commerciali e di sfruttamento delle risorse che per reale volontà di cooperazione avevamo già detto qualcosa. Senza fare troppi spoiler, prendiamo allora come esempio il controllo della magia. L’energia magica, si viene presto a sapere, pervade l’intero continente di Radian eppure in alcune rive si è disimparato a percepirla e in altre se ne preclude l’accesso o è sottoposta a una rigida regolamentazione — suona familiare?
«Per superare il dolore devi passarci attraverso. […] Sei molto più della tua paura, Deva Loissen»
La questione del controllo, ritengo, è tra i temi alla base delle Cinque rive, e riguarda tanto la dimensione fisica dell’esercizio della magia quanto la sfera più intima e il vissuto dei personaggi. Se il viaggio di Bram ha inizio come una missione di salvataggio per provare a se stesso e agli altri che merita di far parte degli Armon, quello di Deva è una fuga dall’orrore e lo strenuo tentativo di ritrovare un senso alla propria esistenza, dei confini in cui inserirsi. Entrambi li vediamo autocolpevolizzarsi perché non riescono a incastrarsi come vorrebbero nel sistema in cui sono cresciuti. La scoperta, da parte loro, che quel sistema non è esente dall’essere messo in dubbio (e che una gabbia dorata è pur sempre una gabbia) è tra le cose più belle e significative che accadono nelle Cinque rive.
Le cinque rive, l’inizio promettente di una nuova saga fantasy tutta italiana
Gribaudo Editore non poteva fare scelta migliore per dare il via alla sua collana dedicata alla narrativa fantasy young adult. Nonostante alcune svolte narrative non mi abbiano convinta appieno, Le cinque rive mi ha emotivamente coinvolta come pochi romanzi negli ultimi tempi. Con la sua prosa delicata e musicale, ha preso il grigiore in cui mi trovavo quando ne ho iniziato la lettura e lo ha trasformato in meraviglia per una storia che mi ha toccato cuore e mente.
Le cinque rive è un romanzo che, come la sua autrice, mostra particolare sensibilità per temi come la salute mentale e le questioni di genere e nel suo piccolo fa grandi cose in termini di rappresentazione. Con il suo meritato successo Santamaria dimostra non solo che il fantasy può parlarci della realtà meglio del realismo stesso, ma che scrivere (e leggere) fantasy italiano si può. In attesa del secondo volume di quella che, ormai è certo, sarà una saga, Le cinque rive vi attende nel reparto di narrativa fantasy della vostra libreria di fiducia insieme ai grandi romanzi a cui si ispira.