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La trilogia dei killer di Kōtarō Isaka

La trilogia dei killer di Kōtarō Isaka

Tutte e tutti abbiamo visto almeno una volta l’iconica scena di Aaron Taylor-Johnson che cavalca la passerella del corridoio di un treno ad alta velocità giapponese, completo immacolato e baffo da ispettore, in Bullet Train, film del 2022 diretto da David Leitch. La pellicola è l’adattamento hollywoodiano del libro di Kōtarō Isaka I sette killer dello Shinkansen, il primo della trilogia di thriller comici pubblicati da Einaudi.

trilogia dei killer

L’ironia come arma: la particolarità dello stile di Kōtarō Isaka

La leggendaria trilogia dei killer si compone di I sette killer dello Shinkansen, La vendetta del professor Suzuki e Il sicario che non voleva uccidere. Sono tutti e tre romanzi autoconclusivi, che possono essere letti separatamente e in qualsiasi ordine. Il fil rouge è dato dall’ambientazione, il panorama urbano di Tokyo, e i personaggi: la metropoli sembra essere invasa da una fittissima rete di assassini destinati a incrociarsi prima o poi.

kōtarō isaka

Tra i professionisti sulla scena troviamo killer come lo Spingitore e il Calabrone, soprannominati in questo modo per il proprio modus operandi, e come Mikan e Lemon, che in Bullet Train diventano Tangerine e Lemon per avvicinarli di più al gusto occidentale. Detti anche gli Agrumi, sono due assassini così simili da essere scambiati per gemelli, fino a che uno dei due non apre la bocca. Una versione omicida di Pinko Panko e Panko Pinko, cui unico talento sembra essere la morte. Ancora, abbiamo Coccinella, che si reputa il più sfortunato nel campo. Il Balena, il Cicala: soprannomi del genere fanno sorridere, ma dopo le prime pagine quello stesso sorriso rimane congelato nell’orrore che si prospetta nell’essere un loro bersaglio.

I libri della trilogia scritta da Kōtarō Isaka sono simili anche per la loro impostazione: ogni capitolo si apre con il nome del personaggio protagonista, attraverso cui guardiamo la storia. Molteplici punti di vista e linee temporali diverse che si intrecciano potrebbero creare un attimo di disorientamento nel lettore, soprattutto per il primo libro dei tre che si decide di iniziare. L’essere immediatamente proiettati in una storia con un’infinità di punti ciechi è uno dei punti di forza del realismo di questo pulp giapponese. L’atmosfera tetra e sanguinosa che i killer, nelle loro carriere, ci mostrano è spezzata dalla penna di Kōtarō Isaka in un semplice modo: l’ironia.

kōtarō isaka

È difficilissimo prendere sul serio i personaggi una volta che ne si conosce la psiche. E non vale solo per quelli dell’adattamento cinematografico, ma anche e soprattutto per gli originali. Continuano a uccidere, certo, ma l’assurdità dei loro pensieri, o l’ordinarietà con cui affrontano la giornata di lavoro – come fossero impiegati d’ufficio, escono di casa incravattati e con valigetta – trascinano il lettore in un vortice di ansia e risate confuso. Ansia, quando si cominciano a mettere insieme i pezzi del puzzle della storia, a differenza dei personaggi che la vivono ignari di tutto al di fuori di sé. Risate, per l’assurdità di certi colpi di scena e dialoghi. Non ci si può certo aspettare che iniziando un libro sanguinoso si possa finirlo con una approfondita conoscenza del Trenino Thomas.

Questo sottile bilanciamento tra iperrealismo e assurdità, il cui ago della bilancia è il quantitativo d’ironia, è sicuramente il punto forte della scrittura di Kōtarō Isaka. Se la togliessimo del tutto, saremmo nel cuore di un hard boiled di altri tempi; nei passaggi in cui è al massimo, ci troviamo in un paradosso surreale. Questa continua altalena tiene alto il livello di attenzione durante la lettura e il fiato sospeso ad ogni pagina girata. Si inizia a fare il tifo per un assassino, o per un altro. Ma a Kōtarō Isaka difficilmente piace lasciare un lieto fine per ognuno dei suoi personaggi. In fondo, quello del killer è un mestiere ad alto rischio.

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Che si decida di leggerne uno solo, seguire l’ordine della trilogia o affrontare una lettura più caotica, Kōtarō Isaka riesce a regalare dei thriller ironici, scorrevoli e leggeri. Una lettura da spiaggia per chi ama i gialli o un puzzle complesso da risolvere per chi ha bisogno di staccare un po’ dalla quotidianità.

I sette killer dello Shinkansen

Nel primo libro della trilogia Kōtarō Isaka porta il classico giallo della camera chiusa a un livello successivo: sul treno ad altissima velocità giapponese, lo Shinkansen appunto, si ritrovano sette killer, ignari l’uno della missione dell’altro. I cadaveri iniziano a fioccare, e i compiti a confliggere. Chi arriverà vivo al termine del viaggio?

Scontri ad alta velocità intervallati solo dalle brevi riprese delle pochissime fermate creano un clima di tensione magnetica, una lettura divertente e appassionante anche per chi non ama il sangue. Per chi ha visto il film, consigliatissimo il confronto: sia i personaggi che il finale del libro sono molto diversi da Bullet Train.

La vendetta del professor Suzuki

Ne La vendetta del Professor Suzuki facciamo invece un passo indietro nel mondo oscuro della capitale giapponese. Seguiamo un professore di matematica dopo la perdita della moglie, avvenuta in un tragico incidente automobilistico –  di incidentale ha ben poco – che decide di farsi giustizia da solo. Infiltrandosi nel mondo della malavita cittadina di Tokyo, claudicante e alle prime armi, la vendetta è l’unico motore della sua vita. Riuscirà a punire i colpevoli della morte della sua dolce metà? Non ha più niente da perdere, e come un onryō maschile, solo nel compimento della sua vendetta troverà finalmente pace.

Sicuramente una lettura dove l’etica personale e il senso del giusto vengono messi in discussione. Una critica a un sistema corrotto, celata dietro l’ironia e gli omicidi della storia principale.

Il sicario che non voleva uccidere

In ordine cronologico, l’ultimo capitolo della trilogia è Il sicario che non voleva uccidere. Kabuto è uno dei migliori sulla scena, in crisi con la propria doppia vita. Per la moglie e il figlio, infatti, non è altro che un grigio impiegato in un’azienda di cartoleria, un rappresentante di graffette e post-it sempre stanco e un po’ asociale. Con questa dualità, il terrore del protagonista è duplice: che la famiglia venga a sapere la verità della sua professione e che qualche nemico possa trovare la sua famiglia e massacrarla. Così iniziano i tentativi di Kabuto per ritirarsi dalla scena.

Questo è il romanzo sicuramente più ironico dei tre, dove Kōtarō Isaka chiude molti cerchi lasciati aperti negli altri romanzi, spiegando sparizioni spiegate e risolvendo dubbi. Se nel libro dedicato al professor Suzuki, infatti, l’interrogativo è su come entrare nel mondo degli assassini, per Kabuto la domanda è l’opposto: come uscirne indenne?

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