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La maledizione del vero amore: una recensione arrabbiata!

La maledizione del vero amore: una recensione arrabbiata!

Con La maledizione del vero amore, uscito lo scorso 7 maggio per Rizzoli, Stephanie Garber ha portato a conclusione la magica fiaba spin-off della serie CaravalC’era una volta un cuore spezzato ci aveva incantato con i paesaggi meravigliosi del Magnifico Nord, dove le storie di Jacks, il Principe di Cuori, e di Evangeline Volpe si erano indissolubilmente intrecciate tanto da collidere definitivamente nel secondo volume, E non vissero per sempre felici e contenti, che ci aveva lasciato con un sacco di domande e un finale non proprio lieto per i nostri due protagonisti.

Come ogni volume conclusivo, La maledizione del vero amore si portava dunque sulle spalle il peso delle aspettative date dal successo dei primi due capitoli e il gravoso compito di mettere un punto a tutte le storylines aperte nel corso della storia. La domanda è: Garber è riuscita a soddisfare tutte queste aspettative? La risposta è NO, ma andiamo per gradi.

La trama (ALLERTA SPOILER)

Tra tutte le cose che aveva dimenticato, le sembrava che ce ne fosse una più importante delle altre, più importante di tutto il resto. Qualcosa di assolutamente vitale che doveva dire a qualcuno. Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare cosa fosse o a chi dovesse riferirla.

E non vissero per sempre felici e contenti si chiude con Evangeline che, dopo essere riuscita ad aprire l’Arco del Valory, viene uccisa da Castor Valor, dopo che questi viene liberato dall’elmo che gli impediva di assecondare la sua sete di sangue. Per salvarle la vita, Jacks decide di utilizzare le gemme per tornare indietro nel tempo e impedire che Evangeline muoia, nonostante sia consapevole che dovrà pagare un prezzo altissimo. Quello che non immagina è che il prezzo da pagare saranno i ricordi di Evangeline. La maledizione del vero amore si apre dunque con Evangeline che non ha più alcun ricordo dell’ultimo anno. Si ritrova da sola in un castello di cui non ha memoria e ad approfittare sarà Apollo, suo marito, ora libero dalla maledizione dell’Arciere e determinato più che mani a tenersi stretta la moglie. 

Evangeline vorrebbe con tutto il cuore fidarsi della persona che sa essere suo marito, ma nel profondo percepisce che qualcosa non va. Deve disperatamente dire qualcosa a una persona di cui non ricorda né il nome né il volto e Apollo mostra di non volere che lei recuperi i suoi ricordi. A turbarla si aggiungono poi svariati tentativi di ucciderla e Arciere, un misterioso e bellissimo ragazzo che riesce a salvarla proprio da questi attacchi. Non sa spiegarsi come, ma sente di conoscerlo e sente di aver significato qualcosa per lui. È proprio dal momento in cui comincia a ricordare che per Evangeline le cose si fanno sempre più complicate e la posta in gioco è sempre più alta. Le maledizioni del Magnifico Nord sembrano essere sempre più reali e tangibili, ma fino a che punto Evangeline è disposta a spingersi per infrangerle?

La maledizione del vero amore tra pregi e difetti

Stephanie Garber è un’autrice che in mezzo alle storie da fiaba, alle ambientazioni magiche e alle maledizioni ci sguazza e lo fa riuscendo a distinguersi. Da questo punto di vista, ancora una volta non delude. Il suo stile è come sempre estremamente evocativo: il Magnifico Nord è un tripudio di odori, sapori e colori che l’autrice riesce a farci toccare quasi con mano e la meraviglia che prova il lettore nell’immaginarsi queste atmosfere da fiaba è già di per sé un motivo sufficiente per leggere questa serie. La storia tra Evangeline e Jacks è sempre più struggente, mai idilliaca come quella delle fiabe, ed è sempre in bilico tra il lieto fine e la tragedia. Evangeline, che credeva disperatamente nell’amore. Jacks, che aveva giurato di non amare mai più. Il fatto che non ci sia alcuna garanzia che alla fine i due riescano a stare insieme è forse l’aspetto più affascinante della storia.

Avrebbe incendiato il mondo e lasciato che bruciasse, pur di continuare a stringerla così.

L’aspetto più interessante, invece, l’ho trovato nell’epilogo, che vede il punto di vista della famigerata maledizione storica del Magnifico Nord come narratrice. In queste pagine conclusive la maledizione assume le sembianze di un vero e proprio personaggio, confermando il suo ruolo di burattinaio delle storie del Magnifico Nord e la sua passione per le tragedie.  Eva e Jacks hanno ottenuto il loro lieto fine, e la Maledizione decide di smettere di osservarli.

I finali lieti erano notoriamente noiosi. Non fornivano elementi interessanti, per cui alla maledizione storica restava ben poco da fare, a meno che non avesse voglia di stravolgere la felice conclusione.

Nonostante tutti questi aspetti interessanti, La maledizione del vero amore presenta diverse problematiche. Una di queste è sicuramente la sua brevità: è impensabile che una serie come questa, che ha un suo worldbuilding molto caratteristico peraltro costellato da una quantità di personaggi non indifferente, si concluda in poco più di 380 pagine e che il lettore alla fine di queste abbia più domande che risposte. Questi vuoti acquisterebbero senso davanti alla possibilità di altri spin-off o di un quarto volume, ma la sensazione è proprio quella che l’autrice non sia riuscita a pensare a una spiegazione e che quindi non l’abbia direttamente scritta.

L’esempio più eclatante sono le mele di cui vediamo cibarsi il Principe di Cuori per ben tre libri. Perché si ciba solo di mele? Perché queste hanno sempre un colore diverso? Che significato hanno? Fatto molto divertente è che queste domande le rivolge la stessa Evangeline a Jacks nell’epilogo, senza ricevere risposta. Così come non sappiamo perché Jacks si faccia la tinta ogni tre giorni (se mi sottolinei il suo cambio di look continuo, poi mi aspetto anche di saperne il perché!) o che fine faccia Castor Valor e il resto della sua famiglia (come d’altronde quella di Evangeline).

Se solo La maledizione del vero amore avesse avuto 50 pagine in più...

La storia procede lentamente per gran parte del libro e tutto accade nelle ultime 50 pagine, che  danno al lettore un finale sì lieto, ma frettoloso, come frettolosa appare la risoluzione degli ostacoli che si presentano davanti ai protagonisti. Anche la struttura della narrazione è problematica, con una sovrabbondanza totalmente inutile di capitoli dal punto di vista di Apollo che non aggiungono nulla alla trama e con una scandalosa assenza di punti di vista di Jacks, che dovrebbe essere invece uno dei protagonisti. I tormenti interiori del Principe di Cuori, che si trova diviso tra il bisogno di proteggere Evangeline e il desiderio egoistico di vivere con lei la loro storia d’amore, ci sono quasi totalmente preclusi. Garber preferisce invece rifilarci pagine e pagine dei pensieri superficiali del Principe Apollo, che fa le cose che fa per una motivazione talmente stupida che non vale nemmeno la pena leggerle. Sicuramente non tra i migliori villains della storia della letteratura, tanto che l’Albero delle anime dei Valor, in cambio dell’immortalità, gli porta via ciò che ma di più al mondo: sé stesso. 

E infine, il lieto fine che viene condensato in due pagine di epilogo in cui Evangeline e Jacks possono finalmente vivere il loro amore, ma che si conclude lì, senza un minimo di approfondimento. Insomma, i problemi ci sono e sono tanti, il che è davvero un peccato perché la storia di per sé è meravigliosa e il lettore ha proprio la sensazione che manchi qualcosa (tipo, una cinquantina di pagine in più).

Vale la pena leggere la serie, nonostante La maledizione del vero amore?

Nonostante con questo ultimo libro l’autrice non sia riuscita a soddisfare le altissime aspettative dei suoi lettori, la trilogia di C’era un volta un cuore spezzato rimane a mio parere una serie da leggere. Stephanie Garber è riuscita a fare suo il concetto di fiaba con i suoi Jacks ed Evangeline e l’ha rivoluzionato in senso moderno, scrivendo storie in cui il confine tra bene e male è intangibile tanto da doverti guardare la spalle dal Principe Azzurro e non dal cattivo della storia e che potrebbero finire in egual misura con un magico lieto fine o una grande tragedia.

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