La figlia della regina delle sirene, la recensione
Equipaggio, issate le vele e sguainate le sciabole, perché oggi parliamo di La figlia della regina delle sirene, secondo libro della dilogia fantasy e piratesca di Tricia Levenseller, arrivato il 23 gennaio 2024 in Italia grazie a Oscar Vault. Ci siamo lasciati l’anno scorso con la lettura di La regina del re dei pirati (di cui trovate la recensione proprio qui) e finalmente nelle mie mani è arrivato il seguito della storia di Alosa, una capitana pirata decisamente sopra le righe, pronta a partire per una nuova avventura. Ma varrà davvero la pena salpare insieme a lei?
Dove eravamo rimasti?
Alosa è finalmente riuscita a riappropriarsi della sua nave, la Ava-Lee, e del suo equipaggio, che vede una nuova aggiunta: Riden, l’affascinante pirata che era stato anche il suo carceriere durante il periodo di prigionia sulla nave dei fratelli Allemos. Tra Riden e Alosa c’è una strana energia, ma la capitana è troppo presa dal dubbio e dalla sfiducia nei confronti di tutti i pirati che non siano suoi compagni per trovarle un nome. Una volta giunti alla fortezza di suo padre, il re dei pirati, Alosa capirà cosa farne di Riden e del suo rude fratello Draxen. In fondo, quello che importa è rendere fiero suo padre e guadagnarsi la sua stima: tutto il resto può aspettare. Ma cosa accadrebbe se per tutta la vita Alosa avesse nutrito affetto per un uomo spregevole, che le ha mentito e l’ha manipolata? Che l’ha modellata a suo piacimento, strappandola dalle braccia di sua madre per trasformarla in un arma in grado di essere impugnata solo da lui?
«Sei mia figlia» continua Padre. «Fai arrendere la nave e parleremo.» L’offerta mi sorprende. Ma io non cadrò più nelle sue mani e non gli darò di certo in pasto il mio equipaggio. «Meglio colpire che schivare». È una delle prime lezioni che mi ha insegnato lui stesso. «Niridia» dico piano, «di’ ai marinai di sotto di dare fuoco ai cannoni.»
La figlia della regina delle sirene: lettura trash o degna conclusione di una dilogia godibile?
La dilogia di La figlia del re dei pirati non è certamente un capolavoro. Sono parecchi i difetti che si riscontrano durante la lettura: la scrittura non è delle migliori e in molti punti i romanzi risultano frettolosi ed approssimativi. Tuttavia, c’è un grande MA. La figlia del re dei pirati prima e La figlia della regina delle sirene poi si sono rivelate delle letture molto godibili! Grazie ad una trama avvincente e a dei personaggi carismatici, Tricia Levenseller crea una coppia di romanzi marinareschi pieni di avventura e di azione. Leggere questi romanzi è un po’ come andare al cinema a vedere un film action: lotte, fughe rocambolesche, qualche scena smaliziata e si torna a casa pieni di leggerezza e adrenalina. Se vi aspettate una dilogia che racconti con realismo la vita del pirata, oppure che indaghi a fondo la psicologia dei suoi personaggi, meglio che vi teniate alla larga da questi romanzi. Ma se avete voglia di vivere un’avventura in mare con una buona componente romance (non spicy), direi che potreste trovare pane per i vostri denti.
Tra difetti e pregi, Tricia Levenseller riesce ad intrattenere con il suo equipaggio
Vediamo un po’ più nel dettaglio quali sono i pregi e i difetti di questa dilogia. Come ho già specificato nella recensione di La figlia del re dei pirati, Tricia Levenseller dà voce ad una protagonista decisamente poco realistica. Capace di fare qualsiasi cosa grazie ad un addestramento durissimo e alla sua metà sirena, Alosa sembra non avere alcun freno e alcun rivale. Questo aspetto del personaggio lo considero sempre molto problematico, quando lo riscontro in un romanzo. Che gusto c’è a leggere un libro senza mai temere per l’incolumità del protagonista? Pare che in La figlia della regina delle sirene l’autrice aggiusti un po’ il tiro, dando ad Alosa qualche difficoltà in più e trattandola maggiormente come un essere umano che come una divinità scesa per cortesia sulla terra. In generale, nel secondo volume si percepisce una maggiore maturità da parte della Levenseller, che affina le sue tecniche narrative e ci regala una conclusione decisamente meno grossolana rispetto al suo inizio. Tuttavia, ho trovato il finale del secondo libro troppo frettoloso: con un paio di capitolo in più la storia sarebbe filata più liscia e magari Alosa e Riden avrebbero avuto più spazio per mostrarci i loro sentimenti.
I tropes del romance di Tricia Levenseller
Veniamo alla croce e delizia di questa dilogia: la componente romance. Non vi nasconderò che il rapporto tra Alosa e Riden è ciò che maggiormente traina la trama, specialmente nel primo libro. Nel secondo, si lascia molto più spazio all’avventura e ai dissidi interiori di Alosa, che risulta un personaggio decisamente più maturo rispetto a quello che avevamo visto nel primo romanzo. Riden, invece, perde un po’ di mordente: se nel primo libro lo abbiamo conosciuto come ostinato, incalzante e sfrontato, in questo secondo libro gli si rivolge decisamente meno attenzione. Tuttavia, se ne La figlia del re dei pirati i lettori si sono potuti godere un enemies to lovers in piena regola, nel secondo troveranno conforto tutti gli amanti dei trope slow burn e he fell first.
Per i meno avvezzi alle terminologie della book community sui social, per “slow burn” si intende una relazione sentimentale che cresce lentamente, dandoti l’impressione di sudare anche per una stretta di mano tra i protagonisti. Per “he fell first” invece si intende semplicemente che il protagonista maschile della coppia si innamora prima della controparte femminile, ribaltando un po’ lo stereotipo di genere della fanciulla che si strugge per il ragazzo mentre lui non se la fila di striscio fino alla fine del libro.
Ho apprezzato molto anche il fatto che Riden (contro ogni aspettativa) non sia affatto un personaggio maschile tossico, che instaura con la protagonista una relazione malsana, cosa che spesso accade negli young adults e nei romantasy. Riden non è il solito spaccone con la reputazione da difendere, anzi: è gentile, disponibile e dolce; nutre sentimenti reali sia per Alosa che per molti altri personaggi e non si preoccupa di nasconderli per preservare una “mascolinità” inviolabile. Insomma, Riden starà simpatico anche alle lettrici più romantiche e sensibili.
Vale la pena leggere la dilogia di Tricia Levenseller?
Direi che abbiamo sviscerato abbastanza questa dilogia! Spero di avervi dato elementi a sufficienza per considerare questa una saga meritevole o no di essere letta. Ma se ci fossero ancora degli indecisi, ecco qualche ultima dritta. Se amate la saga di I pirati dei Caraibi, i personaggi un po’ esagerati e le storie d’amore trascinanti, questa potrebbe essere una dilogia che fa al caso vostro (ma dovrete ignorare con indulgenza uno stile di scrittura decisamente basico e una superficialità che permea in generale qualsiasi personaggio che non sia Alosa). Se siete, invece, alla ricerca di storie di mare struggenti, pericolose, realistiche e crude, state alla larga da questa dilogia, che più che essere un libro di pirati e imprese marinaresche (con tutti i crismi del caso), si presenta più come una storia d’amore su un vascello pirata, dove non mancano imprese divertenti, ma in cui non si toccano mai picchi d’azione e di tragedia degni di una storia alla Black Sails.