La casa dalla porta dorata, la recensione
In classifica con 150.000 copie vendute nel Regno Unito e in corso di pubblicazione in 19 Paesi, il 16 maggio è uscito in Italia La casa dalla porta dorata, secondo capitolo della trilogia delle Lupe di Pompei di Elodie Harper, edito Fazi e facente parte della storica collana “Le strade”. Elodie Harper ha studiato Letteratura latina all’Università di Oxford e i suoi racconti hanno vinto diversi premi, tra cui il Bazaar of Bad Dreams nel 2016, assegnato da Stephen King. Sulla scia di retelling di successo come Circe, la trilogia delle Lupe di Pompei si inserisce perfettamente nel contesto della narrativa storica che ripropone, in chiave squisitamente femminista, storie e personaggi dell’antichità greca e romana.
La rivalsa delle lupe di Pompei
“Gaia Plinia Amara, liberta.”
È questo il nuovo nome di Amara, che finalmente non è più costretta a lavorare al lupanare di Felicio, uno dei bordelli più proficui di Pompei. È il 75 d.C., Amara vive ora in una casa dalla porta dorata, cortigiana di Rufo e liberta dell’ammiraglio Plinio. Ha a disposizione una piccola rendita, due servitori, tutti i gioielli e gli abiti che vuole, la possibilità di portare avanti i suoi affari come ritiene più opportuno, ma soprattutto ha di nuovo il controllo sul suo corpo. Il suo nuovo status la porta a stringere una profonda amicizia con Drusilla, una delle cortigiane più note di Pompei, una figura che per lei sarà al contempo una madre, una sorella maggiore e un’amica. Da lei Amara imparerà a volgere a proprio vantaggio le carte sul tavolo dei rapporti tra cortigiana e patrono.
Tuttavia, Amara sa che la sua posizione è quanto mai fragile, legata ai capricci e ai desideri di Rufo. Patrono assai volubile e difficile da accontentare, Rufo è soddisfatto soltanto quando Amara finge di essere la giovane sprovveduta e bisognosa di aiuto che lui si aspetta di trovare sdraiata nel triclinio, impaziente di soddisfare le sue voglie. Mentre assapora i primi passi da persona libera, Amara è ancora perseguitata dalla sofferenza e dai traumi del suo passato.
“Il suo passato è come il vortice di Cariddi, la trascina giù, sotto le onde, dove non riesce a respirare.”
Di notte, sogna il viso morente della sua amica Didone, spirata tra le sue braccia. Di giorno, tesse le trame della sua vendetta. Perché Amara non è più una prostituta, ma la pelliccia da lupa le è rimasta attaccata addosso come una corazza ed è pronta a tutto pur di proteggere le persone che ama e la sua ritrovata libertà.
“Ti assomiglio, Felicio, ma non sono te. Se solo fossi riuscito a rispettarmi, invece di umiliarmi, nessuna ti sarebbe stata più fedele di me.”
Rivisitare la storia antica in chiave femminista
La casa dalla porta dorata è una storia avvincente e, a differenza del primo capitolo della trilogia, il cui ritmo diventa più serrato a partire dalla seconda metà del libro, presenta pochi momenti di stallo. Elodie Harper si rivela una maestra nella caratterizzazione di tutti i personaggi, dipingendo delle personalità di spicco anche per le figure che stanno in secondo piano. I personaggi maschili, salvo qualche eccezione come Filone e l’ammiraglio, sono perlopiù figure che si distinguono per la loro crudeltà e la tendenza alla prevaricazione. Alcuni hanno un passato tanto triste quanto quello delle donne ma, a differenza di queste, tale passato li ha forgiati in persone prive di qualsiasi senso di compassione e giustizia.
Tra le donne, il personaggio di Amara è quello che indubbiamente subisce l’evoluzione più evidente e che risulta più interessante da analizzare. Spesso è difficile giustificare tutte le scelte che compie nel corso della narrazione, ma l’autrice ha svolto un lavoro talmente minuzioso nella caratterizzazione del suo personaggio che la sua complessità, il suo background, giustifica tali scelte. L’autrice dà grande importanza anche alla complessità delle relazioni che il personaggio di Amara stringe con gli uomini che, di volta in volta, entrano a far parte della sua vita. La devozione che prova nei confronti dell’uomo che l’ha liberata, l’amore-odio nei confronti di chi ha fatto di lei una prostituta del lupanare (andando quindi a sviscerare il difficile rapporto di dipendenza che spesso lega la vittima al suo carnefice), l’amore impossibile e rassegnato per Filone.
I confini tracciati da Elodie Harper, prima in Le lupe di Pompei e poi in La casa dalla porta dorata, sono quelli di un mondo dove chi stava a guardare impotente ai margini ne è diventato poi impietoso protagonista. E a diventare protagoniste della Pompei del 75 d.C sono le prostitute, le mogli maltrattate, le schiave violate, le cortigiane, le artiste di strada. Sono storie sofferte di sorellanza, di sacrifici, di privazioni, ma anche di rinascita. Amara e le lupe abitano un mondo pensato a misura d’uomo. Amara però è una donna intelligente, ambiziosa, sfrontata, colta, che ha imparato a sfruttare le proprie debolezze per volgere tutte le situazioni a suo vantaggio. In questo secondo volume, brutale e struggente, la vediamo affrontare i ricatti del suo ex padrone, la violenza psicologica perpetrata quotidianamente dal suo patrono, le pene d’amore e un corpo che cambia con la gravidanza. Amara affronta tutto questo non senza sacrifici, non senza lasciare qualcuno indietro, come il finale ci mostra, ma riuscendo a proteggere le persone che ama e la sua libertà.
Il realismo dietro il romanzo
In entrambi i romanzi la Pompei del I secolo d.C. prende vita grazie alla descrizione dei suoi luoghi tipici (quindi i bordelli, le botteghe e le terme) e alle celebrazioni religiose come i Floralia e i Vinalia. Ma è la storia di Amara, così come quella di Didone, di Vittoria, di Berenice e di Britanna, a dipingere un quadro credibile, seppur romanzato, del degrado e degli abusi subiti dagli schiavi e dalle loro famiglie all’epoca del grande Impero Romano, con un’attenzione particolare alla figura delle donne. Ai tempi, la libertà di uno schiavo dipendeva esclusivamente dal giudizio del suo proprietario e, spesso, ottenerla comportava l’allontanamento dalla propria famiglia.
Come per il libro precedente, ogni capitolo inizia con una citazione da graffiti sui muri delle rovine dell’antica città di Pompei o da scritti di antichi oratori romani e, nella nota dell’autore, Elodie Harper sottolinea l’importanza di queste citazioni. Il realismo è dato in questo romanzo anche dallo stile dell’autrice, asciutto e privo di retorica, brutale e per questo perfettamente in linea con gli eventi raccontati. I dialoghi rappresentano in maniera chiara il ceto sociale a cui appartiene di volta in volta la voce. Abbondano parole scurrili, imprecazioni e ed espressioni volutamente esplicite che certamente non ci si aspetta da una nobildonna, ma da una ex prostituta sì. In questo caso, anche laddove i dialoghi sono edulcorati e forse eccessivamente moderni, la schiettezza è funzionale alla storia che si sta raccontando.
Perché leggere La casa dalla porta dorata
Romanzi che rivisitano l’antichità romana non se ne trovano in gran numero. Le lupe di Pompei e La casa dalla porta dorata rappresentano un’eccezione che, a parer mio, funziona. La rivisitazione in chiave femminista delle storie dell’antichità ha già riscosso un enorme successo con romanzi quali Circe di Madeline Miller e Il silenzio delle ragazze di Pat Barker, per quanto riguarda la storia e la mitologia greca. La stessa chiave utilizzata per esplorare la storia di una città romana perduta come quella di Pompei, ancora incompiuta dato che gli scavi archeologici nell’area sono tutt’oggi in corso, si è rivelata una scelta vincente.
Insieme alla trama originale, poi, lo stile dell’autrice, nonostante la brutalità che si presta agli eventi raccontati, è uno stile che ammalia e coinvolge il lettore, accompagnandolo fino alla fine della lettura. I motivi per cui vale la pena leggere questa trilogia, quindi, sono diversi. Mi sento dunque di raccomandarla non solo ai lettori che apprezzano la narrativa femminista, ma anche agli appassionati di romanzi a sfondo storico e mitologico che riusciranno indubbiamente a riconoscere la grande cura per i dettagli e la passione dell’autrice nei confronti di un pezzo importante della nostra storia.
Retelling mitologici: libri che danno nuova voce alle storie perdute dell’antichità
Negli ultimi anni, il filone del retelling mitologico si è fatto largo spazio nel panorama letterario mondiale. Sembra perfetto il paragone con il famoso canto delle sirene per cui Ulisse si fece legare all’albero maestro pur di sentirlo senza soccombere al suo potere. Il canto ammaliante del retelling sembra oggi aver conquistato tutti i lettori, dal pubblico dei giovanissimi a quello invece più adulto. Sulla scia del successo della saga fantasy di Rick Riordan Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo, altri romanzi hanno spopolato fino a diventare veri e propri casi letterari. Parlo soprattutto di Circe e di La canzone di Achille di Madeline Miller, Cassandra di Christa Wolf, ma anche di saghe dark romance come A touch of darkness di Scarlett St. Clair. Persino nel mondo delle graphic novel la moda è esplosa, specialmente grazie alla famosissima saga di Lore Olympus, in cui viene tracciata la rivisitazione in chiave pop e contemporanea della relazione tra Ade e Persefone.
Naturalmente, non tutti hanno accolto positivamente la manipolazione degli antichi miti, i puristi della mitologia greca in primis. A questi ultimi mi verrebbe da ricordare che dello stesso mito esistono più varianti dei selfie che pubblicano quotidianamente su Instagram. Piuttosto, c’è da chiedersi in che misura queste rivisitazioni, in chiave romance o in chiave femminista, siano davvero necessarie al mercato editoriale di oggi. In generale bisogna riconoscere il merito di aver avvicinato a queste storie perdute il pubblico dei giovanissimi. Come sappiamo, le nuove generazioni leggono sempre di meno ed è sempre più difficile catturare il loro interesse, proiettato spesso su altri mezzi d’intrattenimento. Che abbiano reinventato completamente i personaggi mitici, catapultandoli nel mondo contemporaneo, o che abbiano reinterpretato la loro storia in chiave femminista o queer, questi romanzi, che ai puristi piacciano o meno, hanno avvicinato al mito soprattutto i giovani lettori e lettrici, che magari attraverso La canzone di Achille arriveranno ad appassionarsi anche all’epica omerica.
Il rovescio della medaglia è che spesso questi retelling non aggiungono nulla alla storia originale e dunque, secondo me, non sono effettivamente un qualcosa di necessario in termini di pubblicazione. Certo è che il retelling mitologico è diventato un vero e proprio genere letterario, che conquista e funziona, catturando con il suo canto le vecchie e le nuove generazioni. L’augurio è che il successo ottenuto dalla trilogia di Elodie Harper possa portare ad altre rivisitazioni della storia antica romana, che certo, in materia di personaggi affascinanti e ambigui, non è da meno rispetto alla mitologia greca.