Il carillon delle ombre, la recensione
Il carillon delle ombre è una storia di amore, di morte, di desideri e di perdita. Un romanzo in cui la musica fa da sottofondo agli eventi della vita, una colonna sonora per gli incontri che segnano e che cambiano intere esistenze; proprio come è successo a Jacopo quando Isabella gli si è avvicinata una sera a teatro. Sono bastate poche frasi pronunciate dalla donna per spostare completamente l’asse attorno a cui girava la vita di Jacopo: la musica, da idea, sogno, diventa possibilità, si concretizza in tasti e pedali, in spartiti e concerti. Il carillon della vita è un romanzo di narrativa scritto dall’autore italiano Nicola Montenz, diplomato in Organo e composizione organistica è inoltre laureato in Letteratura greca con dottorato di ricerca in Filologia Classica. Ad oggi è professore di Filologia classica e papirologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, attività che affianca a quella di scrittore. Montenz ha infatti scritto già tre libri, tra saggistica e narrativa: L’armonia delle tenebre. Musica e Politica nella Germania nazista (Archinto, 2012), Gli specchi di cenere (Pequod, 2006)e Il carillon delle ombre, sua ultima lavorazione, uscita nel 2022 per Edizioni Pendragon.
La quarta di copertina di Il carillon delle ombre
Una telefonata nel cuore della notte, a Berlino, spalanca una porta chiusa da troppi anni. Per Jacopo Coen, musicologo e direttore d’orchestra di origini italiane, non c’è più scelta: deve oltrepassarla una volta per tutte. Inizia così un lungo viaggio d’inverno attraverso l’Europa e i labirinti della memoria alla ricerca del passato, di musiche, voci e sguardi che affiorano per un attimo, lasciando intuire percorsi oscuri e attimi di felicità travolgente. Insieme a volti che appaiono e scompaiono come statue di un carillon, si ricostruisce l’intera esistenza di Jacopo e di sua moglie Julia: anni di apprendistato, amicizie, sogni, segreti accumulati in Italia e a Berlino, da entrambi i lati del Muro, e condannati a restare ombre – ironiche e straziate come i personaggi di questo romanzo, in cui prende forma l’affresco di un mondo diviso, pulsante di disperazione e di vita che respira insieme alla musica. Un romanzo in cui tempo e spazio sono illusioni, che sfuggono quanto più si tenta di afferrarle, e il dolore trova nella bellezza e nell’armonia le proprie sorgenti.
Il suono malinconico della vita
“Era stata una rinascita completa, che non aveva semplicemente modificato il mio modo di suonare – l’aspetto artistico era in fondo una parte trascurabile della metamorfosi che aveva subito in quegli anni la mia capacità di osservare e percepire, di analizzare e restituire il mondo.”
L’incontro tra Isabella e Jacopo, protagonista del romanzo, si rivelerà poi solo la prima mossa che darà inizio ad un domino dagli effetti imprevedibili e sconvolgenti, che rispondono al nome Gabriel. Lui, che con la sua sicurezza e fragilità, diventerà un nuovo protagonista della vita di Jacopo, la cui assenza, in seguito, mai sarebbe riuscita a cancellare il calore di quei primi periodi protetti dalle mura della casa di Isabella e avvolti dal suono del cembalo.
“È come se tutto fosse in realtà già compiuto, il pomeriggio in cui ci rivolgemmo la parola per la prima volta nel salone di palazzo Casati. Nessuno dei due aveva bisogno di spiegarsi, di farsi accettare dall’altro. La metà perduta, quella a cui affidarsi, da cui lasciarsi consigliare e da ammirare – la metà oscura era lì per entrambi. Ed è forse inutile pretendere di ricostruire un dato così ovvio. Inutile pretendere di imporgli un senso, o un nome.”
Il carillon delle ombre tra metafore e melodie
Ci sono sentimenti che trovano il loro posto nel cuore delle persone e che, come le note che agghindano un pentagramma, hanno l’incredibile capacità di non dover essere nominati, ma solo ascoltati. La musica unisce, cancella le distanze e annulla i corpi, producendo un suono che altro non è che un dialogo di anime i cui contorni si fanno sfocati quel tanto che basta per perdersi nell’altro, riscoprirsi e ritrovarsi.
“ […] ci sei tu nelle stravaganze del mio Bach. E non mi dispiace affatto, se proprio vuoi saperlo.”
La malinconia si avvinghia alle pagine di questo libro, si nasconde negli spazi bianchi tra i ghirigori neri delle lettere, trascinando il lettore in un mondo in cui la musica è la chiave di tutto, in cui i cuori respirano a ritmo delle composizioni di Bach e in cui la morte sembra aspettare dietro le quinte, silenziosa e guardinga, paziente e inarrestabile; in attesa della chiusura del sipario.
E così, come la tastiera di un pianoforte condivide il suo spazio tra tasti bianchi e neri, anche la storia di Jacopo e di Gabriel alterna momenti di luce e di tenebra, sempre, però, ammantati dal suono del cembalo. Finché, un giorno, del suono non resterà che un’eco lontano, un ricordo di dita che scorrevano veloci e agili sui tasti e che ora invece restano immobili in un mondo senza suono.
Alla fine, siamo solo degli strumenti destinati a suonare a ritmo di una vita che ci scegliamo e che ci sceglie. Siamo una sonata che spera di essere abbastanza fortunata da continuare ad essere ricordata come un concerto che è valso la pena ascoltare. E quando la nostra sonata arriverà alla fine, l’eco delle ultime note, di quelle più intense e tristi, continuerà a riverberare nell’animo di chi ci ha ascoltato.
Come strumenti che hanno dimostrato il loro valore, verremo riposti al sicuro, lasciando che siano altri a dare un nuovo ritmo alla vita, a suonare un requiem in memoria di chi una volta era sonata e ora è solo silenzio.