Idaho Winter, da vittima a carnefice: la recensione del romanzo
All’inizio della lettura di Idaho Winter, penso subito che il libro sia fuori dalle righe. In realtà già un sentore lo avevo percepito quando in libreria, mentre scorrevo lo sguardo tra gli scaffali, casualmente i miei occhi caddero proprio su quel volume. La prima cosa che notai fu la copertina: perturbante, mi verrebbe da dire. Tinte scure che ritraggono un ragazzino dagli occhi rossi, con in mano una ciotola. Al suo interno un topo ancora vivo. Poi aprii e lessi la bandella con la sinossi. Qui c’è scritto: «Tutta la città prova un odio irrazionale e feroce nei suoi confronti [quelli di Idaho]». Poi: «Il personaggio di una parodia malata di Harry Potter». Senza saperlo ne ero già stata rapita. Ma in che tipo di lettura mi stavo imbattendo? Tutto ciò che avevo previsto in quel momento non era nemmeno un’unghia di quello che poi avrei letto.
Idaho Winter, una fiaba sinistra
Perciò, complice anche la brevità del racconto (poco più di 130 pagine), mi sono lasciata trascinare dalla curiosità e l’ho acquistato. Correndo il grande rischio di spendere soldi alla cieca e sprecarli poi per qualcosa che non ti piace. (Ma, ehi!, forse è questo il bello!). L’opera, tradotta da Sara Tuveri e edita da miminum fax per la collana Sotterranei, è del 2011, ma in realtà è arrivata in Italia solo lo scorso febbraio. Di quella che sembra a tutti gli effetti una fiaba sinistra, piena di avvenimenti e fatti grotteschi e inquietanti, non ho badato, o meglio ho sottovalutato, la questione metaletteraria. Eppure, invece, passando poi alla lettura, a tutti gli effetti è l’aspetto del libro che mi ha conquistata di più.
Questa persona sei tu, lettore. Tu. Nuovo in questo mondo, puoi vedere – vedere davvero – la terribile ingiustizia. […] non si può fare niente, vero? Tu non puoi fare nulla. Sei il lettore. Non puoi cambiare i fatti. […] A meno che non ti venga in mente un modo per interferire, temo che il destino del piccolo Idaho Winter sia segnato.
Tony Burgess (attenzione! Da non confondere con il britannico Anthony di Arancia meccanica) è uno scrittore canadese di Toronto, Ontario. Oltre al romanzo in questione, l’autore ha scritto due raccolte di racconti e una trilogia di romanzi dal sapore horror-distopico. Dal secondo capitolo di questa trilogia, Pontypool Changes Everything, egli stesso ne ha ricavato una sceneggiatura per un adattamento cinematografico con lo stesso titolo. Ma esattamente Idaho Winter di che cosa parla? Perché è assolutamente lecito che il lettore in un primo momento ne risulti disorientato.
L'odio di tutti per uno solo
Il disorientamento iniziale, mentre si leggono le prime pagine di Idaho Winter, è dovuto prima di tutto all’incredulità davanti alla presenza di fatti che difficilmente riusciremmo a immaginare nella vita reale. Il suo protagonista, Idaho, un ragazzino delle medie, vive in questa immaginaria cittadina. Il padre, Early Winter, è la figura dominante del nucleo famigliare, formato da padre, figlio e dalla figura detta Moglie, il cui nome non solo non viene mai citato, ma probabilmente nemmeno esiste. Il personaggio è irrilevante. Il romanzo si apre con un’immagine che rievoca il tipo di vita del ragazzino. Vive nel sudiciume, nella miseria, oltre i limiti dell’accettabile decenza. E «La maggior parte delle persone ha sorprendentemente accettato che Idaho debba subire terribili crudeltà». Perché non solo a casa non è amato dai genitori; non solo a scuola è vittima di bullismo. Ma, con cieca indifferenza, Idaho è trattato malvagiamente dall’intera città.
Solo una persona riesce a guardarlo con occhi umani, la sua coetanea Madison. Tutti lo vedono come la feccia dell’umanità. Si sentono in diritto di poterlo denigrare, picchiare, maltrattare (inquietante è il pensiero della vigile che aiuta i bambini ad attraversare la strada, poiché anela il giorno in cui una macchina investirà Idaho). Eppure, arriva Madison. L’unica ad eccezione del lettore, come l’autore afferma, che lo vede come una persona che ha il diritto di essere amata. Quando lei stessa sarà vittima di un sopruso ferocissimo a lui riservato, l’intera cittadina si rivolterà. Il nostro protagonista scapperà e tutti gli daranno la caccia, come se fosse il peggiore dei criminali. È questa caccia alle streghe senza alcuna spiegazione logica che scatena l’azione vera e propria. Idaho prende coscienza del suo ruolo di protagonista di una storia e, soprattutto, si accorge che c’è un autore che comanda su tutto.
Idaho Winter, protagonista e poi scrittore
Che poi un autore è come un dio creatore. Dà forma a un nuovo mondo: gli riserva nuove regole, nuovi principi; rende il suo “creato”, verosimile, inverosimile o fantastico. È l’autore che decide tutto, che muove ogni cosa e determina chi è il buono e chi è il cattivo. La storia può finire bene o male? Il finale è in mano a chi la scrive. Il racconto vuole insegnare una morale o, riprendendo una frase della prefazione del Ritratto di Dorian Gray, non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o scritti male. Be’, è sempre e solo l’autore a deciderlo. Idaho Winter, nella sua innocenza da ragazzino, riesce finalmente a comprendere che l’orrore che vive ogni giorno non è colpa sua o delle persone che gli stanno attorno, ma solo e unicamente di una persona: l’autore che ha dato vita alla sua storia.
Meravigliato dal terribile dramma, mi metto comodo per un attimo. Di sicuro queste persone si renderanno conto, di sicuro cambieranno prima di causare danni irreparabili.
È l’autore che, per quanto responsabile, se ne lava le mani. La sua crudeltà, consapevole che sia tutta finzione, non è nient’altro che una cosa non vera, distante anni luce. Chiuso nella propria campana di vetro, il suo racconto inverosimile è nelle sue mani. Si sente al sicuro, ma non sa che tutto ciò è pronto a scappare e a ribellarsi. Idaho, nel momento in cui realizza il suo ruolo, decide di ribaltare tutto quanto. Chi scrive si ritrova catapultato nel suo stesso racconto e qui avviene l’incontro, quello tra autore e protagonista. La finzione prende finalmente vita e si libera dalla prigione dell’autore. Lui (o lei) da quell’incontro nota particolari che mai si sarebbe sognato di immaginare. Come gli occhi di Idaho.
Un gioco di ruoli invertiti
I ruoli si invertono. La maledizione è spezzata e ne viene attivata un’altra. La nuova consapevolezza di Idaho Winter, la sua nuova conoscenza, gli permette di raggiungere finalmente un potere di cui prima era del tutto privato: mette in trappola il suo creatore e diventa padrone della sua storia. Un nuovo dio che ha conquistato il diritto di decidere cosa può accadere. E con questa nuova forza, Idaho nel suo ruolo non vuole raccontare la sua storia, ma semplicemente «sta mettendo in atto una crudele vendetta. Nulla è attendibile. La realtà è ridotta in frantumi». E se prima la storia è grottesca per l’assurdità delle azioni dei suoi personaggi, con Idaho lo è ancora di più, perché tutto diventa inverosimile. Mostri, personaggi presi dalla televisione che diventano parte del corredo di protagonisti. Tutto si distorce e diventa accettabile.
Penso che la Strega Buona del Mago di Oz sia in realtà la più cattiva. Sorride radiosa e cinguetta felice quando una casa schiaccia la sorella della Strega Cattiva dell’Ovest. Mi sento molto solo quando nessuno eccetto me si accorge della cattiveria nelle fiabe allegre.
Il nuovo protagonista, intanto, è la nuova prima vittima. Perseguitato, gli viene data la caccia e affronta in un’inquietante odissea le prove che chi è più in alto mostra al suo cospetto. Questo romanzo è il gioco dei ruoli invertiti, così come si scambiano le cose nella loro stessa natura, nell’essenza di ciò che non sono o che potrebbero essere. La narrazione in terza persona, così, improvvisamente diventa prima. Idaho scompare è si trasforma in un’entità lontana e irraggiungibile. Si protegge, per punire una sorta di peccato originale.
La storia metaletteraria di Idaho Winter
Intanto, il confine tra la storia di Idaho Winter e la scrittura si assottiglia. La metaletteratura diventa metascrittura, quando un significato lo assumono anche le lettere inclinate. C’è differenza tra lui e lui? Sì, in un mondo in cui tutto si è fuso, diventa a malapena percepibile. E quindi l’odissea dei personaggi si tramuta nella nostra odissea, quella dei lettori. Il nostro viaggio attraverso le pagine del libro diventa pieno di peripezie, di imprevisti e di scelte da compiere. Testo e paratesto si alleano per metterci in trappola. Dapprima, i capitoli vengono semplicemente numerati. Poi, a un tratto i titoli stessi iniziano a parlarci. Scompaiono i numeri per dar posto alle parole. Il “distacco” iniziale si assopisce. Perché? È il momento esatto in cui la magia è avvenuta e lo scrittore è ormai diventato personaggio. Questo è il primo cambiamento.
Caro lettore: il libro che stai leggendo in questo momento non ha le risorse necessarie a risolvere le sue problematiche. Per favore, vai a pagina 128. I miei migliori saluti, L’editor.
A un certo punto, nella lettura, qualcosa mi lascia perplessa. Che faccio? Seguo queste indicazioni, o proseguo il mio classico cammino, caparbia? Do prima un’occhiata alla pagina. Il capitolo si chiama proprio così: Pagina 128 ed è l’ultimo. Tutto ciò che mi viene in mente è che effettivamente nulla di ciò che viene raccontato nelle pagine in mezzo possa essere utile. Leggo il finale. Potrei rassegnarmi e chiuderla qui. Ma la curiosità è troppa e alla fine decido di ritornare indietro, a pagina 120 (anche questo è il nome del capitolo) e completare per davvero la lettura. È un gioco, forse divertente, forse troppo poco per chi non vuole perdere tempo. Eppure, a me piace.
Infine...
Tutti questi elementi, in Idaho Winter, formano a mio avviso un gran romanzo. Il libro non è per chi non digerisce questo tipo di grottesco. Anche perché non è facile accettare, più che le scene di violenza in sé, il pensiero di tale violenza. Lo stile di Tony Burgess, tra l’altro, enfatizza questa crudeltà. Lo scrittore è schietto, non ha remore. Rappresenta quella violenza senza pensarci troppo e riesce a creare immagini in grado di far rievocare nel lettore il disprezzo di coloro che circondano il protagonista, ma anche la disperazione di Idaho. Il nonsense, infine, quello dei fatti che accadono, e delle magie che si compiono, si sposa con la tragicità della scena. Facendo in modo che il pendolo oscilli tra i momenti di disperazione, anche quando Idaho non si fa più vedere, perché nuovo scrittore, ma si continua ad avvertire tutta la sua tristezza, e quelli di “delirio”.