Di visioni e labirinti: Matrix di Lauren Groff
Lauren Groff, nata a New York, è un’autrice resa celebre a livello mondiale dal romanzo Fato e Furia (2015), entrato anche nei libri preferiti della scrittrice Elena Ferrante. In Italia sono stati pubblicati anche Florida (2018) e Matrix (2022) sempre per la casa editrice Bompiani.
Proprio il suo ultimo romanzo, Matrix, rappresenta un progetto altamente ambizioso scaturendo in un qualcosa che mal si presta alle etichette. Groff tenta di ridare vita a Marie de France, poetessa del XII, una figura perduta della storia, ma questo romanzo non può considerarsi una ricostruzione storica in tutto e per tutto, sia per la sua brevità nel narrare gli eventi storici, sia perché la maggior parte delle vicende sono puramente romanzate.
Ma la bellezza di questo romanzo sta nel riuscire a dare chi legge uno spaccato del passato, attraverso degli usi e costumi desueti, venato costantemente da un umorismo estremamente attuale e che permette di sentirsi vicini alle vicende.
Marie de France: un'eroina visionaria
Chi è Marie? Marie è la figlia illegittima del re e di una nobildonna deceduta. Non si preoccupa molto del suo titolo, il suo percorso non è differente dalle altre persone che circondano la corte: una ferrea educazione e un asservimento costante all’idea di diventare la sposa di uno sconosciuto. La sua vita viene sconvolta nel momento in cui viene allontanata dalla corte e dai servizi che essa le riserva a 17 anni. A richiederlo è Eleonora d’Aquitania in persona, la quale ritiene che la nostra protagonista non si sposi bene con l’ambiente cortese – a più riprese la definisce una stangona brutta e sciatta – e decide così di inviarla in un’abbazia per il resto dei suoi giorni. Marie si strugge per questa decisione: perché la persona che più ama al mondo non la vuole più con sé?
Il contatto con la mondanità la metterà in crisi: Marie scopre di essere il frutto di uno stupro e lo viene a sapere dai rumors che la circondano. Non solo è una bastarda, ma è anche una figlia indesiderata. A livello storico questo fatto non dovrebbe sconvolgere, ma l’animo di Marie va definitivamente in frantumi e a chi ha letto Il caos da cui veniamo di Tiffany McDaniel risuonano familiari le parole: “Una ragazza diventa donna davanti al coltello». Marie però ha una possibilità che ad altre è negata: decidere se rimanere dalla parte della lama oppure afferrare l’impugnatura.“
Appena arrivata, l’ambiente dell’abbazia si presenta invivibile: le suore sono costrette a lavorare senza sosta nei campi, a discapito di ogni condizione metereologica e fisica. Più una sta male più viene costretta a questi lavori logoranti, credendo che essi ne temprino l’animo.Il numero di adepte all’arrivo di Marie è discreto, non più di una decina, ma la piaga comune sta nell’essere tutte insoddisfatte e malaticce, donne che cercano di entrare in tutti i modi in conflitto l’una con l’altra pur di sfogare il dolore e l’odio represso.
Lentamente le speranze di Marie di abbandonare quel luogo vengono meno: Eleonora non verrà mai più a riprenderla. Questo non spegne il suo animo e Marie non si abbandona alla vita di tutti i giorni, comprendendo che l’abbazia può cambiare e con essa anche le donne che la vivono. Inizia la scalata di Marie nell’ordine gerarchico, che la porterà a diventare badessa, facendo nascere delle inimicizie e il sospetto dell’esterno nei riguardi della sua figura. La prima decisione che deciderà di attuare è quella di riscuotere le tasse che da lungo tempo non vengono pagate dagli affittuari dei terreni di proprietà dell’abbazia. Il rendimento economico non indifferente farà in modo che le condizioni di vivibilità aumentino, abbassando il tasso di mortalità e disponendo nuove figure di riferimento all’interno del monastero.
Ogni suora, grazie a Marie, può dedicarsi a ciò che ama e che più le appartiene, divenendo non solo un aiuto fruttuoso per le proprie sorelle, ma anche per la comunità circostante. Gradualmente vengono edificati nuovi ambienti: una vetreria, una centro di apicoltura, un birrificio, inoltre l’abbazia diverrà un punto di riferimento per l’arte amanuense.
Ma la vera svolta che renderà Marie un punto di riferimento irremovibile per tutte è intorno ai suoi 30-40 anni, nel momento in cui comincerà ad avere le sue visioni. La prima fra tutte è quella del labirinto: la vergine Maria l’avverte dell’incombente arrivo di forze nemiche a seguito della caduta di Gerusalemme, vi sarà un massacro di cristiani e cristiane. L’edificazione del labirinto è necessaria affinché le sue sorelle rimangano in vita.
La rivelazione che la badessa ottiene si riflette anche sul modo in cui le sue sottoposte la vedono, Groff ci racconta: «Marie apre gli occhi e sorride alle sorelle ammutolite dalla forza e dalla radiosità che le ha infuso la Vergine. Sente sulla sua pelle il loro stupore». Altre visioni seguiranno poi, particolarmente suggestiva è quella che dà nome all’opera di Groff, in cui Maria ed Eva – la donna santa e la donna profana – si uniscono fra di loro e danno solidità alla fede di Marie:
«Senza la debolezza di Eva non potrebbe esistere la purezza di Maria. E senza il grembo di Eva, che è la Casa della Morte, non potrebbe esistere il grembo di Maria, che è la Casa della Vita. Senza la prima matrix, non potrebbe esserci nessuna salvatrix, la matrix più grande di tutte.»
Cosa rappresenta un testo come Matrix e quali riferimenti contiene
Come si è già detto, Matrix per la sua struttura non può considerarsi un’opera storica pura, i cenni sono veramente pochi e per lo più romanzati, la vita di Marie scorre in un lasso brevissimo di pagine (già a pagina 84 veniamo informati che ha quasi 38 anni, mentre nemmeno un capitolo prima era poco più di una diciottenne).
Ma anche la gestione e la descrizione dell’abbazia più che a un ordine monastico assomiglia a una sorority, in cui le ragazze e le donne possono vivere a contatto l’una con l’altra anche in modo frivolo e spensierato, rappresentando un luogo in cui nascono degli amori e in cui le pulsioni di tutte possono essere liberate senza che vi sia un giudice a considerare ciò che è disumano e ciò che non lo è.
Per citare due opere filmografiche a cui Matrix si avvicina, indubbiamente vi è Belladonna of Sadness di Eiichi Yamamoto, film d’animazione che vuole riproporre la vita di Giovanna d’Arco, anche qui in chiave romanzata. Sia la Jean di Yamamoto, sia la Marie di Groff sono due donne che la vita ha tentato di piegare, ma che non si sono arrese e che per questo motivo si sono ribellate all’ordine costituito: la prima stringendo un patto col diavolo, la seconda attraverso la santità e la benedizione. Lo stesso desiderio di potere corrobora l’animo di queste due protagoniste. Celebre è la scena in cui viene chiesto a Jean cosa veramente voglia e lei risponde: “Tutto! Ogni cosa. Il mondo intero!”
L’altra opera è Synecdoche, New York di Charlie Kaufman. Il film narra le vicende di un uomo che decide di ripercorrere le proprie sfortunate vicende attraverso la messa in scena della propria vita in una New York ricostruita e in cui degli attori fanno le veci di persone con cui lui è entrato in contatto. Benché la filosofia di vita di Marie non si sposi assolutamente con il nichilismo del regista e del protagonista del film, sia nel libro che nel film è ravvisabile un tentativo di mettere in piedi una struttura colossale che segni il passaggio in terra della propria persona, rappresentando sia un lascito, sia l’affermazione del proprio io: una seconda metropoli al disotto di quella esistente, che narra la storia di un uomo solo, e un labirinto che allontana gli uomini creando un paradiso per le donne.
Tutto ciò non può che confermare il genio di Lauren Groff e l’unicità di questa opera, mal compresa dalla critica e spesso ridotta a una “storia di suore lesbo nel secondo secolo”.