OPINIONISTA
#SquiLibri: disturbo da uso di sostanze e distimia

#SquiLibri: disturbo da uso di sostanze e distimia

Finalmente eccoci tornati con un nuovo appuntamento di SquiLibri, la rubrica in cui si affronta la letteratura classica e moderna analizzando situazioni, autori, autrici e i loro personaggi con un’ottica psicanalitica, cercando di scovarne i disturbi che oggi verrebbero riconosciuti come patologia psichiatriche. Nello scorso articolo abbiamo affrontato: “Il libro della pioggia” di Martino Gozzi e “Una stanza piena di gente” di David Keyes. In questo articolo affronteremo altri casi letterari affiancati ad un disturbo specifico, con “Daisy Jones & The Six” di Taylor Jenkins Reid, di cui la redazione ha già parlato qui,  e “Vorrei farla finita, ma anche mangiare toppokki” di Baek Sehee.

Anni 70', sesso, droga e rock'n roll

Il romanzo “Daisy Jones & The Six” è sicuramente il più chiacchierato degli ultimi mesi, anche grazie alla serie TV che ne è stata tratta, prodotta da Prime Video. L’autrice ci teletrasporta nella vita di una band, dal suo esordio allo scioglimento. Sicuramente di carattere psicologico è il concetto di dipendenza da sostanze e alcool a cui assistiamo nel romanzo. Daisy Jones è un personaggio singolare, caratterizzata da bellezza e da una voce strepitosa. Siamo negli anni 70’, gli anni della libertà e dell’espressione, dove le sostanze stupefacenti monopolizzano vite di cantanti e personaggi famosi. Al tempo, così come sottolineato anche nel romanzo, non si conoscevano gli esiti della dipendenza o, meglio, la sintomatologia era caratterizzata da occhi di sdegno e voci sussurrate. Così come per Daisy, Billy, leader della band, conosce la dannazione di una dipendenza. Riconosce e ha paura che la sua dannazione possa diventare reale a tal punto da renderne la persona che canta al suo fianco una personificazione. La vita della cantante non è stata semplice, non bastava avere un bel viso per essere dove si trovava lei. Il suo continuo utilizzare gli stupefacenti nasce da un trauma pregresso nell’infanzia, poiché, non riuscendo a esprimere ciò che prova a parole, lo fa attraverso l’utilizzo di alcool e droga (rischiando anche la perdizione).

Daisy Jones & The Six e il disturbo da uso di sostanze

La storia di Daisy Jones non è solo fatta di eccessi e impulsività. Nonostante nel romanzo, e anche nella serie TV, riusciamo a denotare il suo essere totalmente ingenua alle conseguenze delle sue azioni. Daisy non solo combatte contro la dipendenza ma anche contro il suo eccedere agli impulsi della droga, che sarà inoltre dettato da chi avrà al suo fianco. Una persona che la condurrà nel baratro delle droghe, dove persino lei stessa non si renderà conto di esserci finita dentro. Billy e Daisy sono due facce della stessa medaglia, due persone che vivono la dipendenza in modo totalmente differente. Uno che riesce a resistere grazie al pensiero della sua famiglia, l’altra che necessita della sostanza per riuscire a sopravvivere a sé stessa con un innato bisogno di ricevere amore.

Il termine inglese “addiction” rappresenta il rapporto che si crea, si mantiene e si evolve nel tempo fra individuo/soggetto affetto e oggetto. La traduzione italiana col termine di “dipendenza” purtroppo non è altrettanto rappresentativa. La lingua inglese opera un’importante distinzione tra i termini addiction e dependence, che in italiano sono invece tradotti con la stessa parola, pur avendo dei significati nettamente diversi. Con addiction si vuole definire una condizione generale, in cui la dipendenza psicologica da una sostanza o da un oggetto spinge alla ricerca dell’oggetto stesso, senza il quale l’esistenza sembra priva di significato. Invece con il termine dependence, si intende la dipendenza fisica e chimica, ovvero la condizione in cui l’organismo necessita di una determinata sostanza per funzionare e quindi con la successiva richiesta della stessa.

Dipendenza da sostanze: un disturbo molto stigmatizzato

Il disturbo di uso di sostanze è caratterizzato da un continuo desiderio di una sostanza, con l’incapacità da parte del soggetto di riuscire a farne a meno, nonostante vi siano delle implicazioni fisiche e psicologiche.

La dipendenza fisica viene indotta, e non sempre, da alcune sostanze di abuso ma il nucleo centrale di essa è sicuramente l’esigenza di assumere la sostanza. I sintomi di astinenza si presentano quando non vi è più l’assunzione e il cervello (a causa dei neurotrasmettitori) percepisce la mancanza e di conseguenza sfocia in sintomatologia fisica: nausea, tremori e dolori. La dipendenza psicologica è definita come un bisogno incontrollabile di utilizzare la sostanza psicoattiva. La persona utilizza tale sostanza per sentirsi gioioso, euforico o anche persino per aumentare la propria autostima.

Le cause della dipendenza non sono univoche e, come per molti altri disturbi, possono essere analizzate solo prendendo in considerazione diversi fattori di rischio, che contribuiscono all’instaurarsi di una dipendenza. È ancora difficile distinguere una persona che diventa dipendente da una sostanza da una che, invece, non svilupperà mai un abuso di sostanze. Il DSM V definisce un disturbo di uso di sostanza come “pattern problematico di uso della sostanza che porta a disagio o a compromissione clinicamente significativi.”
Alcuni dei criteri necessari per diagnosticare tale disturbo sono:
Tolleranza: la necessità di quantità sempre maggiori della sostanza per ottenere l’effetto desiderato.
Astinenza: la presenza di sintomi fisici ed emotivi che compaiono quando la persona non usa la sostanza.
• Importanti attività sociali, lavorative o ricreative vengono abbandonate
Sforzi infruttuosi di ridurre o controllare l’uso della sostanza.
Dispendio di tempo per le attività necessarie per ottenere la sostanza, utilizzare la sostanza o riprendersi dai suoi effetti.
Perdita di controllo sull’uso.
Uso continuativo con incapacità a svolgere le proprie attività. A causa dell’assunzione di droga, molti pazienti, in base alla fascia d’età, interrompono gli studi, perdono il lavoro.
Uso ricorrente nonostante ciò determini problemi sociali o interpersonali. L’uso della sostanza diventa prevalente su qualsiasi altra attività.
Craving: desiderio improrogabile della sostanza.

Il disturbo da uso di sostanze comporta un modello patologico di comportamenti in cui i pazienti continuano ad usare una sostanza nonostante vivano notevoli problemi legati al suo utilizzo. Durante gli anni ’70 s’incominciò seriamente a comprendere come le droghe fossero le principali cause di mortalità. Col passare degli anni e dell’avanzamento della ricerca scientifica, si prese non solo la consapevolezza dei disagi clinicamente significativi ma anche delle conseguenze che le sostanze di abuso avessero sul piano della salute mentale.

Baek e la sopravvivenza con la distimia

Vorrei farla finita ma anche mangiare toppokki è un titolo forte e d’impatto, con cui l’autrice cerca di attirare il lettore, provocandolo e suscitandogli un’emozione. La protagonista della vicenda è Baek, la stessa autrice, una giovane donna affetta da distimia ( un disturbo del tono dell’umore). L’autrice, attraverso gli stessi colloqui tenuti con lo psichiatra, sviscera in tutte le sue forme il disturbo e mette a nudo ogni implicazione. Baek ha tutto ciò che desidera dalla vita, un lavoro stabile, ma non riesce a godersi le felicità che la vita le riserba a causa della sua patologia. Il romanzo è introspettivo, dinamico e intenso grazie alle sue sedute dove verranno a galla le sue paure, angosce e sentimenti contrastanti nei confronti della vita. A causa del suo passato, dell’ambiente familiare e le sensazioni provate durante l’infanzia la sua predisposizione alla malattia si è evoluta e concretizzata. I pensieri grigi, sminuenti e pervasivi l’hanno perseguitata fino all’esito e concretizzazione del disturbo.

La distimia un disturbo cronico e pervasivo

La distimia (disturbo depressivo persistente), classificato attualmente così nel DSM V, ha la caratteristica diagnostica essenziale di un abbassamento del tono dell’umore presente per la maggior parte del giorno, che si manifesta quasi tutti i giorni, per almeno 2 anni. La patologia può manifestarsi con diverse intensità, alcune persone presentano sintomi depressivi di bassa intensità, legati ad alcuni momenti di vita. Le forme gravi sono caratterizzate da un numero più elevato di sintomi, una maggiore intensità e durata nel tempo e una elevata compromissione delle attività quotidiane.

La depressione maggiore può precedere il disturbo depressivo persistente ed episodi depressivi maggiori possono verificarsi anche durante il disturbo persistente. Gli individui che soffrono di distimia si descrivono tristi o “giù di corda”. L’esordio della distimia può essere precoce (prima dei 21 anni) o tardivo. Spesso accade che, anche a causa della lieve intensità dei sintomi della distimia rispetto ad altri disturbi, il disturbo distimico venga diagnosticato tardivamente. È possibile che la persona che soffre di distimia non ne sia totalmente consapevole; quindi, che la persona abbia un basso insight.

Il disturbo si presenta con:
• scarso appetito o iperfagia
• insonnia o ipersonnia
• scarsa energia o astenia
• bassa autostima
• difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni
• sentimenti di disperazione

Nonostante siano similari la distimia e il disturbo depressivo si differenziano per la durata e l’intensità della sintomatologia. Gli aspetti similari delle patologie sono accumunati da delle condotte che favoriscono l’instaurazione di comportamenti disfunzionali da parte del soggetto.

Il soggetto può mettere in atto comportamenti di:
Ruminazione mentale: continuo e ripetitivo interrogarsi sulle cause e sulle conseguenze dei propri problemi e delle proprie difficoltà, con focus sugli eventi passati.
Ritiro: riduzione o evitamento dei contatti sociali, delle normali attività quotidiane e dei compiti. Si basa sull’idea di non essere capaci, che sia troppo complicato o faticoso o che non porterà nessun beneficio.
Autovalutazione negativa: tendenza a denigrarsi e a svalutarsi, sentirsi inadeguato, indegno.
Negativismo: tendenza a fare previsioni negative sul mondo e sul futuro, a sminuirsi costantemente e a mantenere l’attenzione solo sugli aspetti che mancano per essere felici o soddisfatti.

Necessario per una patologia del genere stare accanto alla persona che ne soffre, specialmente se è supportata da uno specialista, con la consapevolezza di non stigmatizzare la sua condizione e la sua emotività.

«Anche quando mi sento inconsolabilmente depressa, trovo sempre la forza di ridere alle battute dei
miei amici… Rido, ma continuo comunque ad avvertire un vuoto lancinante in qualche punto recondito dentro di me. E poi all’improvviso mi viene fame, ed ecco che, come se nulla fosse, sto uscendo per concedermi un bel piatto di toppokki.
Sono una tipa assurda, non trovate? Sono alle prese con uno stato umorale atipico, che però non definirei né depressione e neppure felicità allo stato puro… E la mia frustrazione è stata sempre alimentata dall’incapacità di ammettere che questi sentimenti diametralmente opposti potessero convivere in pace dentro me stessa.
»

Citazione: “Vorrei farla finita ma anche mangiare toppokki”.

#SquiLibri: una rubrica su letteratura e psicologia

Quelli di Daisy Jones e Baek sono solo alcuni dei casi della letteratura con evidenze sia psichiatriche che psicologiche. Ma la letteratura classica e contemporanea ne nascondono centinaia. La rubrica #SquiLibri cerca di indagare i più interessanti, le malattie che hanno afflitto scrittori/scrittrici e, a volte, di conseguenza, anche i loro personaggi. Si tratta di profili talmente cupi e affascinanti da lasciarci senza fiato! Vi consiglio di iscrivervi alla nostra Newsletter per non perdere nessun aggiornamento e di seguirci anche su Instagram per contenuti extra e piccoli focus sul tema. Di quali romanzi o autori vi piacerebbe sentir parlare nella prossima puntata di #SquiLibri? Faccelo sapere in un commento!

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