Dune: il film ha soddisfatto le aspettative dei lettori?
È appena uscito nelle sale italiane il secondo capitolo di Villeneuve ispirato a Dune di Frank Herbert, e la risposta del pubblico non si è fatta attendere. Tra gli amanti del genere sci-fi e fan del cast di rilievo, il box office ha visto lievitare i milioni guadagnati da questo adattamento. Ma gli appassionati della saga sanno che non è la prima volta che Dune viene trasposto su schermo: quale
versione è più vicina al libro? Siamo di fronte all’ennesimo film da cui il lettore esce deluso, o Denis Villeneuve ha conquistato anche l’ultimo degli scettici?
Avanti Villeneuve: il Dune di David Lynch
La prima volta che Dune appare sul grande schermo è il 1984, con un film scritto e diretto da David Lynch. La pellicola supera di poco le due ore, ma ai tempi della sua uscita venne fortemente criticato per la sua lunga durata, che non era mitigata da una trama comprensibile o una visione scorrevole. Si dice che
Lynch, prima di arrivare all’adattamento che poi ha visto la luce delle sale, ha riscritto il copione sei volte. Altre leggende ammantano questa vecchia pellicola: dall’esistenza di diverse versioni a seconda del paese di uscita (in alcuni sono stati effettivamente fatti dei tagli per rendere il film PG) a una pellicola perduta di cinque o sei ore che nessuno ha mai visto, il mistero ha sicuramente affascinato di più il pubblico che il film in sé. Vagamente comprensibile solo per chi ha letto il libro, venne duramente affossato dalla critica al momento dell’uscita.
Negli anni successivi, e soprattutto oggi avendo un altro film a cui paragonarlo, ne vengono maggiormente apprezzate le atmosfere, i costumi e le tecniche impiegate per rappresentare l’Undicesimo millennio con la tecnologia degli
anni Ottanta. Rispetto al libro la trama risulta tagliata per motivi di durata (il primo volume della saga conta più di 700 pagine), è stata riscontrata grande difficoltà nel riportare su schermo le scene intergalattiche o i giganteschi vermi nativi del pianeta Arrakis, e il regista si è preso delle libertà sulla trama che non sono mai state particolarmente apprezzate. A partire dall’iniziale impostazione,
che vede l’Imperatore rispondere al comando della Gilda nello sterminare Casa Atreides, arrivando all’arma ad onde sonore del “Modulo estraniante”, fino alla pioggia fatta cadere da Paul dopo il duello conclusivo del film. Gli ultimi due in particolare sono elementi contrastanti con la logica di Dune: un’arma a suono compresso non farebbe che attirare i vermi, come un Martellatore, e Paul è
in grado di avere visioni grazie alla Spezia, non di compiere veri e propri miracoli. Almeno qui abbiamo una piccola Alia, già Abominio, che annuncia all’Imperatore la sua imminente fine.
Un adattamento per la televisione anni '00
Dune – Il destino dell’universo e I figli di Dune sono due miniserie da tre episodi ciascuna, rispettivamente andati in onda nel 2000 e nel 2003. Il destino dell’universo vede la regia di John Harrison, in una tripartizione della trama del primo libro nei tre episodi, che affrontano le diverse “fasi” della vita su Dune: l’arrivo della casata Atreides su Arrakis, la vita con i Fremen, la riconquista del pianeta e del trono da parte di Paul, che finalmente abbraccia i panni del Kwisatz
Haderach. Seppure l’intenzione di Harrison fosse quella di mantenersi il più possibile vicino al libro, la serie prende ispirazione dal film di Lynch, con i suoi difetti, dal quale prende anche scene e dialoghi. Rispetto al libro e al film, molte scene di monologo interiore dei personaggi diventano dialoghi tra diversi protagonisti, perdendosi l’introspezione presente nel libro e minimamente
ripresa dal film. Ne I figli di Dune vengono ripresi gli stessi attori di Paul, Chani, Irulan, Gurney e del Barone Harkonnen, ma la regia passa a Greg Yaitanes. Nuovamente diviso in tre episodi, questo adattamento è ispirato ai due capitoli successivi della saga, e fino a ora rimane l’unica trasposizione su schermo degli stessi.
La prima puntata riguarda Messia, che voci di corridoio dicono essere il possibile capitolo conclusivo per Villeneuve, che dopo un salto temporale di dodici anni ci riporta su Arrakis, dove Paul regna come imperatore, a seguito di una guerra santa che ha massacrato miliardi di persone. La seconda e terza puntata si basano invece su I figli di Dune, che si concentra sulla prosecuzione della casa Atreides nei panni dei due giovani gemelli, Leto II e Ghanima, pre-nati e prescienti come Alia. Per non fare spoiler a chi avesse intensione di avventurarsi nella lettura della saga, le differenze tra la miniserie e i libri sono poche, ma sicuramente decisive. Le morti sono “artisticamente” interpretate, i gemelli sono già adolescenti anziché bambini (per la possibilità di reperire attori più bravi, a detta del regista), la secondo genita Corinno è una presenza complottante già da Messia, trasformando la figura di Irulan e modificando dunque il suo ruolo.
Una storia difficile da adattare per il grande schermo
Come immaginabile, Dune è un romanzo complesso da adattare. Non solo per l’ambientazione fantascientifica, che notoriamente pone delle sfide nella trasposizione su schermo. La difficoltà più grande, e purtroppo insuperabile, è la complessità dell’universo di Dune e delle sue linee narrative. Basti pensare a come il primo romanzo è disseminato di sogni e visioni che spezzano
completamente la linea narrativa, o gli incredibili salti temporali da un libro e l’altro, o la crescita improvvisa di alcuni personaggi, che giustamente non è possibile rappresentare con la stessa efficacia su schermo.
Dune 2021 e Dune parte II: una vittoria per Villeneuve?
Per un totale complessivo di 320 minuti (5 ore e venti di visione), il più recente adattamento di Dune sembra aver conquistato gli amanti della saga e del genere. Tacciato di essere troppo lento, il primo capitolo della (ad oggi) dilogia si concentra principalmente sul world building, esattamente come il libro. Consapevole della difficoltà strutturale dell’universo in cui la storia è ambientata, a costo di risultare per alcuni soporifero, Villeneuve permette a chi non ha mai letto il libro di apprezzare e comprendere tutti gli aspetti principali. Tagliando su sogni e visioni, e con una bella dose di amore stile Hollywood, avvicina Paul Atreides al pubblico, protagonista ma mai eroe. Viene dunque rispettata la visione antieroica di Hebert anche nell’adattamento più moderno.
Le scenografie, le musiche, i costumi, tutto sembra studiato nel minimo dettaglio per permettere una fedele rappresentazione delle sanguinose sabbie del pianeta Dune. Dove, allora, il film si discosta dal libro? Alcune scelte del regista sono dovute alle necessità di non sfornare film da tre ore ciascuno: il poco rispetto per la cultura dell’acqua, in particolare da parte di Lady Jessica, è uno strumento immediato per farci comprendere le difficoltà di adattamento più lungamente descritte dalle pagine. Il presentare uno Stilgar fondamentalista che si scontra con lo scetticismo delle giovani rappresenta le diverse correnti e posizioni Fremen sulla possibile venuta del Messia che riporterà l’acqua su Arrakis: tra profezia e miti, saranno poi i più giovani a diventare i guerrieri più sanguinosi e passionali della guerra santa che verrà. Se Villeneuve deciderà di portare su schermo anche Messia, dovrà dunque ricongiungere l’immagine di scetticismo che ha creato in questo film ai giovani soldati adoranti del prossimo capitolo. Altre scelte del regista sono da ricollegare al pubblico-target: Lady Jessica diventa Reverenda Madre in una scena corale simile a quella del Consiglio, che quindi il regista ci ha dimostrato saper narrare perfettamente, ma con una grande differenza: nel libro la cerimonia comprende un’orgia del
Sietch. E se il film deve rimanere PG, non si può certo mostrare un brulicare di corpi nudi.
L'estetica del Dune di Villeneuve
Villeneuve si è sicuramente preso delle libertà nel rappresentare alcuni aspetti del mondo di Dune: la più evidente è quella che riguarda gli Harkonnen, il loro pianeta e la loro popolazione. Giedi Primo è un pianeta oscuro, fortemente industrializzato e dal governo spietato. La scelta di un sole nero, che porta a una visione totalmente black and white, sicuramente accentua le differenze con gli altri mondi già visti sullo schermo, avvicinandolo al tetro Salusa Secundus, pianeta-prigione delle forze imperiali. Serve anche a dare una visione “polarizzata”, o estremizzata, dei modi della Casa: non sono in grado di agire in una zona grigia in quanto non appartiene nemmeno alla natura del pianeta di loro provenienza, sembra dire il regista. Questa scelta di alienità estremizzata è sicuramente accentuata dall’alopecia di cui soffre l’intera popolazione. Per gli amanti del cast: non è il libro a dettare la pelata di Austin Butler. L’incredibile somiglianza con la mascotte di Mastro Lindo è infatti una trovata del regista canadese. Discutibile? Assolutamente, ma non tocca il libro se non per gli aspetti estetici.
Un decisivo cambio di trama riguarda Alia (Anya Taylor-Joy): la sorella di Paul, infatti, dovrebbe già essere nata e scorrazzante in giro, a terrorizzare gli adulti con manierismi e dialoghi da perfetta adulta. Questo perché nella cerimonia dell’acqua della vita, il feto assorbe insieme alla madre le vite e conoscenze
delle precedenti Reverende. Al momento della nascita abbiamo quindi una bambina-donna con un’immensa conoscenza del passato e degli addestramenti Bene Gesserit, e che con la spezia potrà sbloccare parte del futuro, sulle orme del fratello. È Alia, nel libro, che annuncia all’Imperatore in persona l’arrivo della sua fine nella forma di Paul, durante l’ultimo attacco.
Il mio parere su Dune da fan dell'opera letteraria
Personalmente il naso è stato storto di fronte ad altri particolari che sono stati scelti per l’adattamento di Dune (vedi i soldati imperiali che fuggono di fronte al nemico, quando nel libro sono condizionati ad abbracciare la morte piuttosto che abbandonare i propri ordini), ma complessivamente il lavoro di Villeneuve rispetta il libro. Tra gli attori, sicuramente si vede chi ha perso tempo nel farsi una lettura o uno studio più approfondito del personaggio, e chi invece ha deciso di lasciarsi liberamente ispirare da vaghe direzioni. Tra tutte quelle prodotte, la più recente è sicuramente la trasposizione più fedele, e con gli strumenti e tecniche del cinema moderno anche quello con il compito “meno gravoso” nel rappresentare gli aspetti fantascientifici. La “noia” del primo film è giustificata dalla maggiore scorrevolezza del secondo, e sarà potenzialmente la base di un terzo capitolo esplosivo. Passa dunque a gonfie vele il test del lettore. Si potrà dire lo stesso di Messia?