Bussola letteraria: guida al genere horror
La paura è un sentimento che da sempre affascina l’uomo e il genere horror, che si parli di cinema o di letteratura, lo sa molto bene. La volontà di combatterla ed esorcizzarla ha portato alla nascita di figure capaci di sconfiggere ciò che si annida nelle tenebre. Prima del cavaliere con la lucente armatura, però, sono nati i mostri. Creature insidiose, malvagie, tentatrici, sempre in agguato, pronte a mietere le loro prossime vittime.
Breve storia del genere horror: dove nasce e perché?
Prima del genere horror come lo conosciamo oggi, i sentimenti raccontati nella letteratura orrorifica trovano espressione in quello che è il genere gotico. In particolare, con l’avvento del romanticismo, si è sviluppata una certa fascinazione per le ambientazioni misteriose che richiamano quella parte irrazionale della mente che l’illuminismo e la sua logica stringente avevano messo a tacere. La tensione verso l’ignoto affascina l’uomo del periodo, che si delizia nell’idea di un altrove, lontano dalla realtà attuale, guardando con meraviglia persino i suoi angoli più oscuri.
Il romanzo gotico è infatti caratterizzato da atmosfere oscure, misteriose e inquietanti. Le storie si dipanano in castelli diroccati e luoghi solitari, ma la vera novità del genere è la componente sovrannaturale che, per la prima volta, diventa il centro della narrazione. In contrasto con i romanzi storici, diffusissimi nell’Ottocento e caratterizzati da una certa uniformità a fatti di cronaca realmente accaduti, i romanzi gotici portano chi legge in terre desolate e realtà distanti. In queste nuove narrazioni si mette il lettore di fronte a quella parte di avvenimenti che la scienza ancora non è riuscita a spiegare, come ad esempio l’esistenza dei fantasmi.
Proprio queste presenze sono al centro di quello che può essere considerato il capostipite del romanzo gotico: Il Castello di Otranto, di Horace Walpole, la prima ghost story della letteratura moderna. Il romanzo è ambientato a Otranto, in Puglia, all’epoca delle crociate, e narra una storia di dinastie e delitti che alterna realtà e sovrannaturale. La seconda edizione del romanzo aveva come sottotitolo proprio A Gothic Story. Sebbene l’etichetta di gotico fu coniata in senso spregiativo da Giorgio Vasari nel sedicesimo secolo come sinonimo di “barbarico”, il termine fu poi rivalutato e adottato a partire dalla metà del diciottesimo secolo.
Dagli anni Novanta del Settecento in poi la letteratura gotica godette di molto successo in tutta Europa e all’inizio dell’Ottocento venne pubblicato quello che oggi potremmo considerare il romanzo gotico per eccellenza: Frankenstein, di Mary Shelley. Con questo testo si ha già la prima evoluzione del genere che si allontana da castelli e fantasmi e indaga una creatura ancora più spaventosa: l’uomo. Per questo motivo resta – a oltre due secoli dalla sua prima comparsa – una delle storie più importanti nel campo della letteratura dell’orrore.
Poe e Lovecraft, i pilastri del genere gotico
La letteratura dell’orrore vera e propria inizia a delinearsi in maniera più chiara soprattutto con la venuta di quelli che oggi potremmo considerare i pilastri dell’orrore classico: Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft.
La figura di Edgar Allan Poe, in particolare, rappresenta l’anello di congiunzione tra il genere gotico e l’horror moderno. L’autore non puntò solo sugli elementi gotici come il castello – come si vede in La caduta della casa Usher – e il fantasma – presentato quasi in maniera nostalgica in Ligeia –, ma le sue storie si concentrano soprattutto su tematiche del tutto diverse. In William Wilson viene trattato il tema della doppia personalità, mentre ne La maschera della morte rossa la paura della malattia viene trasforma in terrore puro. Sebbene tutti i racconti di Poe abbiamo attrattiva sul lettore, sono considerati suoi capolavori Il gatto nero e Il cuore rivelatore, in cui l’autore delinea perfettamente la follia omicida.
E se Poe scandaglia i fondali dell’animo umano, Lovecraft sposta la sua attenzione verso l’ignoto e ciò che si annida nelle profondità dell’infinito. Il suo orrore cosmico riflette la “paura e lo stupore che proviamo quando ci confrontiamo con fenomeni oltre la nostra comprensione, la cui portata si estende oltre lo stretto campo degli affari umani e vanta un significato cosmico”. L’orrore lovecraftiano deriva dalla consapevolezza che i desideri, le leggi e la moralità umana non hanno alcun significato nell’universo in generale.
Se Poe pone l’uomo al centro del suo microcosmo letterario, Lovecraft ne mette in evidenza la piccolezza e debolezza, soprattutto in confronto alle creature millenarie che nascono dalla sua penna: i Grandi Antichi. Queste creature sarebbero presenti nel Necronomicon, ovvero un testo di magia nera redatto dall’“arabo pazzo” Abdul Alhazred, vissuto nello Yemen nell’VIII secolo e morto a Damasco in circostanze misteriose. Il libro è ovviamente un’invenzione dell’autore ma è impossibile negare il fascino macabro di un volume del genere.
La cosmologia lovecraftiana ruota quindi attorno ai Grandi Antichi che, spesso, esseri umani inconsapevoli riescono a vedere: il risultato è la perdita totale del raziocinio. Gli uomini, piccoli e fragili, non possono sopportare la vista – o anche solo l’idea – che queste creature esistano. I Grandi antichi sono entità provenienti da altre dimensioni spazio-temporali e quindi creati e composti da materia a noi sconosciuta; sono adorati da culti blasfemi i cui seguaci sono sia esseri umani sia razze inumane spesso citate nei Miti di Cthulhu.
Proprio Chtulhu, sacerdote dei Grandi Antichi, è sicuramente la creatura più famosa dell’universo Lovecraftiano. Essere semi-divino dalla forza inimmaginabile che dimora nella perduta città di R’lyeh, in un sonno simile alla morte, nell’attesa che una congiunzione astrale favorevole ne consenta il risveglio. Ricorrente nella rappresentazione del suo culto è il coro cantilenato dai suoi adepti: «Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn», che significa «Nella sua dimora a R’lyeh il morto Cthulhu attende sognando».
Gli archetipi del genere horror: fantasmi e vampiri
Col passare degli anni, la letteratura dell’orrore è tornata spesso a raccontare di alcune figure ben precise, come ad esempio i già citati fantasmi o gli – ormai famosissimi – vampiri. Uno degli esempi di fantasmi classici è sicuramente La leggenda di Sleepy Hollow, del 1820. Il racconto nasce dalla penna dello scrittore statunitense Washington Irving, che ricalca tutte le caratteristiche del fantasma gotico: la comparsa improvvisa, la persecuzione delle sue vittime e la leggenda che aleggia attorno alla figura stessa. In particolare, Irving rende l’antagonista il fantasma del temutissimo cavaliere senza testa, soldato caduto in battaglia ma anche spirito demoniaco pronto a falciare le vite insignificanti degli uomini.
Solo un anno prima di Sleepy Hollow, veniva dato alle stampe quello che oggi viene considerato il racconto che poi è diventato il prototipo di tutta la letteratura vampiresca successiva: Il vampiro, di John William Polidori. Viene, per la prima volta, rappresentata la figura del vampiro come la conosciamo oggi. Polidori gli attribuisce i tratti di un uomo aristocratico assetato di sangue, piuttosto che quelli di un demone folkloristico. Il vampiro diventa un essere potente, malvagio e calcolatore che riesce a far capitolare le sue vittime usando il suo fascino e abbagliandole con lusinghe e cortesie. La figura viene poi ripresa da Bram Stoker che dà alla luce l’opera per eccellenza sul tema vampiresco: Dracula.
Oltre a rappresentare l’antagonista del romanzo, il conte Dracula di Stoker incarna tutti gli stereotipi negativi dello “straniero”. Per questo ritroviamo un Vlad III di Valacchia Hagyak la cui origine valacca è del tutto modificata. Vlad diventa uomo del nord, permettendo quindi a Dracula di invocare più volte in suo aiuto le divinità nordiche di Thor e Odino, lontane dal panorama religioso irlandese del periodo.
L’horror psicologico di Shirley Jackson
Con il passare degli anni, i racconti dell’orrore si sono evoluti sempre di più, creando delle vere e proprie sottocategorie con delle caratteristiche ben diversificate tra di loro, il cui fine però è sempre e solo uno, ed è comune a tutte le storie: giocare con l’emozione più primitiva di sempre, la paura. Quando non sono fantasmi o creature leggendarie a suscitare nell’essere umano il terrore, allora entra in gioco l’horror psicologico, che rende i personaggi il microcosmo da indagare. Le paure, le sensazioni che il lettore si ritrova davanti vengono completamente filtrate dalla mente del personaggio. Generalmente, questo tipo di storie predilige la narrazione in prima persona, riuscendo a raccontare al meglio la mente del personaggio attraverso il suo punto di vista. L’horror psicologico mira ad attaccare il senso di sicurezza dei personaggi, che di riflesso è anche quello del lettore, spesso non dando la chiara idea di cosa sia reale o immaginario. Questo tipo di narrativa intende creare disagio esponendo le parti oscure della psiche umana che la maggior parte delle persone reprimono o negano.
Una delle scrittrici che ha fatto di questa narrativa il suo cavallo di battaglia è Shirley Jackson, conosciuta per i romanzi come Abbiamo sempre vissuto nel castello e L’incubo di Hill house. Proprio a Hill House si annida la paura nel suo stato più primordiale e si nasconde negli angoli bui della casa, la circonda e la avvolge come una seconda pelle. Una paura che entra in testa come un tarlo e non esce più, un pensiero scomodo che diventa ossessione. A Hill House si respira un’aria satura di inquietudine, un’angoscia che silenziosa si fa strada nei cuori degli abitanti della casa. Un crescendo di sensazioni claustrofobiche arricchisce la narrazione. La casa sembra che stia inghiottendo i suoi abitanti; come se li strappasse pian piano dalla realtà e li trapiantasse nel suo mondo, fatto di angoli sbilenchi e spifferi gelidi. Hill House reclama silenziosamente i suoi abitanti, che si accorgono di essere nelle sue grinfie solo quando ormai sono stati agguantanti dalla presa salda che il terrore ha sulle loro menti. È uno scontro tra volontà, una lotta tra la ragione e la paura. E chissà, tra i sogni e le visioni che costellano le menti degli abitanti, forse la paura ha già vinto.
Ai due estremi: lo splatter punk e il comedy-horror
Lo splatterpunk, conosciuto anche come il genere horror estremo, era una corrente letteraria e artistica nata durante gli anni ottanta e poi in realtà dimenticata intorno alla metà degli anni novanta. Caratterizzato da uno stile particolarmente cruento, raccapricciante e, secondo Ken Tucker del The New York Times, simbolo di ribellione contro il “tradizionale romanzo horror dai connotati umili e suggestivi”. Seppur non rientri nell’ambito dello splatterpunk, un autore le cui storie mantengono una forte componente cruenta e orrorifica, che rasenta il grottesco, è Chuck Palahniuk. Le sue opere possono definirsi storie horror con ampio ricorso a una pungente satira sociale.
Il suo stile è asciutto e innovativo, con contenuti nichilisti. La libertà dalle oppressioni della società, dalla competizione, dai mass media che «ci fanno comprare cazzate che non ci servono», diventa il punto cruciale della scrittura di Palahniuk. Nello scrivere, dice di trarre ispirazione da quello che detesta, che non sopporta. I personaggi di Palahniuk sviluppano spesso digressioni filosofiche, sia attraverso la voce del narratore che nei dialoghi, offrendo punti di vista molto particolari e inusuali su complessi e delicati argomenti quali morte, moralità, infanzia, famiglia, sessualità e religione, che possiamo ritrovare in libri come Soffocare, Ninna nanna o Cavie.
Al polo opposto, in un mondo in cui l’orrore viene sopito da una vena comica che scorre per tutto il libro, troviamo Grady Hendrix. Hendrix è capace di creare un clima teso e inquietante e, nel mentre, farti piangere dalle risate; ma quello che rende memorabili i suoi romanzi è la cura che mette nel raccontare i suoi personaggi e le loro relazioni. Ciò diventa evidente in My best friend’s exorcism in cui la protagonista, Gretchen, si rende conto che la sua miglior amica è posseduta da un demone.
L’apice del comedy horror di Hendrix è Horrorstör, una classica storia dell’orrore che tratta di un luogo infestato, con un plot twist moderno: i fantasmi infestano l’IKEA (che tecnicamente, per ragioni di copyright chiama Orsk). Presenze sovrannaturali aleggiano tra le corsie del negozio, si nasconde tra le cucine e i bagni, distrugge i divani e spaventa i dipendenti notturni. I protagonisti della storia si trasformano in una banda improvvisata di Ghostbusters con in mente un unico obbiettivo: sopravvivere alla notte così da avere un aumento di stipendio.
Stephen, il King del genere horror
Come non citare, per chiudere in bellezza, il re (di nome e di fatto) dell’horror contemporaneo? Stephen King attualmente ha scritto circa 80 romanzi, e ne ha sicuramente altri in cantiere. La sua carriera inizia nel 1974 con Carrie, che passa inosservato nell’edizione rilegata, ma ottiene un successo enorme con l’edizione economica, superando il milione di copie vendute. I due romanzi successivi, Le notti di Salem e Shining, furono amati ancora più di Carrie: il primo vendette oltre tre milioni di copie mentre il secondo superò i quattro milioni. Nonostante un periodo buio, alla fine degli anni ottanta, in cui King è dipendente da alcol e cocaina, riesce a pubblicare un altro romanzo ancora oggi molto amato: Misery. Lo stesso anno della pubblicazione del volume, King inizia un percorso di disintossicazione che dura circa un anno.
Per quanto King sia amato per i suoi racconti horror, si discosta spesso dal genere e ciò è evidente in romanzi come Dolores Claiborne, che è un thriller psicologico, o Il gioco di Gerald, dove King si cimenta in una storia dal carattere onirico, in cui l’introspezione psicologica della protagonista costituisce la parte principale della narrazione. Menzione particolare va a La torre nera, una serie di otto romanzi in cui King mescola fantasy, fantascienza, horror e western e che diventa il centro del suo multiverso. Di fatti, spesso i personaggi di King citano fatti avvenuti in altre opere, o gli antagonisti si rivelano essere creature antiche e leggendarie, collegate in qualche modo alla saga di La torre nera.
Le storie di King hanno delle ambientazioni ricorrenti, prima tra tutte la città di Derry, dove vengono ambientati Insomnia, 22/11/’63 e il libro ormai più conosciuto dell’autore: It. Proprio in It, King scombina il panorama della letteratura horror: non sono gli adulti a sconfiggere il mostro cattivo, ma un gruppo di ragazzini la cui unica forza è la fiducia che hanno l’uno nei confronti degli altri. It, Esso, un essere senza forma che prende le sembianze delle paure più profonde di ogni essere umano, è forse l’incarnazione finale di quello che è tutto l’horror finora messo alle stampe. It può essere tutto, un fantasma, un vampiro, una presenza indefinita, un uomo senza scrupoli… ma King mette un punto a tutte le paure usando l’arma più semplice di sempre: l’amicizia.