Annotare i libri: ottavo peccato capitale o sana abitudine?
Siamo tipi strani, noi lettori e lettrici. Uniti dalla stessa passione, finiamo per dividerci in schieramenti più o meno coesi per le questioni più disparate, e il modo in cui trattiamo i libri rientra senza dubbio fra queste. Esplorando la nicchia dei vari social dedicata ai libri, si fa presto a dire che annotare i libri e riempirli di post-it colorati è l’ennesima moda che ha svilito la lettura riducendola ad ‘atto performativo’, in cui l’apparire (le tonalità di colore abbinate alla copertina) vince sull’essere (il godimento pieno della lettura). Siamo davvero sicuri che questo sia un fenomeno recente e, soprattutto, privo di significato?
Dai marginalia medievali alla pagina asettica ottocentesca
Il divieto di ‘deturpare’ i libri si è consolidato in tempi molto più recenti di quanto si potrebbe credere. Nei Racconti del libraio, il mio libro preferito del 2023, Martin Latham dedica un capitolo intero alle annotazioni e agli atteggiamenti dei lettori nei loro confronti. In Segni di lettura scopriamo che dal Medioevo fino a buona parte dell’Ottocento scrivere sui libri era una pratica diffusa e socialmente accettabile che toccava anche i volumi più impensabili. Nel Quattrocento, facendo di necessità virtù per il costo esorbitante della carta, le pagine della Bibbia venivano spesso usate come registro di famiglia e inventario. Ancora, le grandi opere della letteratura potevano diventare degli inaspettati ricettari — è quello che è accaduto al frontespizio di un libro di poesie di Boccaccio! — o persino raccolte di incantesimi e pozioni.
Attraverso le annotazioni a volte entrava molto più che la semplice quotidianità. In periodi storici delicati come il post-scisma anglicano, i margini ampi si facevano veicolo di un aspro dissenso politico e religioso. I volumi religiosi dell’Inghilterra di Enrico VIII erano spesso corredati da commenti non proprio lusinghieri nei confronti del papa. Oltre a marcare la distanza che chi leggeva prendeva da chi scriveva, gli spazi bianchi dei testi potevano farsi custodi dei sentimenti più disparati: ammirazione per un altro artista, amore non corrisposto, cordoglio per una scomparsa e l’immancabile noia per gli autori studiati — uno studente di Oxford commentava un’analisi di Pindaro: “Risciacquatura di piatti, dall’inizio alla fine”. Poesia.
Paradossalmente, è con la Rivoluzione industriale e con l’età vittoriana che l’oggetto-libro diventa intoccabile, complice una fissazione (malsana) per l’igiene. Dal momento che i libri non erano esclusi dal dominio dei germi, dice Latham, certi bibliotecari hanno pensato bene di bollirli in acqua calda, imprigionarli in teche a tenuta stagna e affumicarli con acido solforico. Nello stesso periodo, sull’onda delle trasformazioni sociali in corso, il libro nuovo si impone sul libro usato come ulteriore simbolo di status, un mezzo di ostentazione della propria ricchezza. Il libro di seconda mano (ma pure di terza e di quarta) è disprezzato tanto quanto gli umili proprietari che su di essi hanno lasciato tracce del proprio passaggio.
Le annotazioni come forma di appropriazione: una breve spiegazione sociologica
«Ma scrivere è sempre una buona cosa; e anche scrivere sui libri, secondo me. Se non altro, scrivere sui libri guarisce dal feticismo per l’esemplare intonso, la copia perfettamente conservata, che è una mania da secchioni di cui è bene liberarsi: i libri vanno usati, consumati» (Come non scrivere, Claudio Giunta)
Ho letto Come non scrivere di Claudio Giunta ormai due anni fa e, neanche a dirlo, devo a questo passaggio il modo in cui oggi vivo le mie letture. Con le dovute eccezioni dei testi scolastici e universitari, fino a non molto tempo fa per me era impensabile sottolineare i miei passaggi preferiti, figurarsi scrivere annotazioni a margine! Il libro era intoccabile, guai a sgualcirne le pagine, che dovevano rimanere bianche e immacolate, o pensare di rovinarne la costa con una manovra sbagliata. Poi, complici le poche parole di Claudio Giunta, il tabù della sacralità del libro è caduto e io ho preso a ‘sporcare’ i libri senza paura o sensi di colpa.
Dal confronto con altri lettori e lettrici è emerso che l’impulso di annotare non si manifesta indistintamente con tutti i saggi e i romanzi, ma solo con quelli con cui si sente una certa affinità. La forte componente emozionale che entra in gioco in questi casi può essere spiegata sociologicamente come parte di quel processo di demercificazione che permette al libro di diventare parte di noi, o meglio, della nostra identità sociale. Sociologi come Daniel Miller e Grant McCracken hanno sottolineato che il consumo, parola che spesso usiamo con disprezzo, costituisce in realtà un atto di resistenza alla logica della mercificazione.
Nel momento stesso in cui acquistiamo un libro ha inizio quel processo che, attraverso attività rituali differenti da lettore a lettore, lo porterà ad assumere significati nuovi. Dei quattro tipi di rituali di consumo principali descritti da McCracken, le annotazioni rientrano sicuramente tra i rituali di possesso. Questi tipi di rituale prevedono una personalizzazione dell’oggetto per renderlo il più possibile nostro. Quindi, l’aggiungere disegni, esclamazioni e commenti è un trend spopolato sui social solo fino a un certo punto. Credo, piuttosto, che sia la riscoperta di un rapporto più intimo, una manifestazione concreta del dialogo fra chi ha scritto il libro e chi lo legge.
«Una volta spogliati di tutti gli strati sovraimposti della nostra identità sociale, è possibile che qualcosa della nostra individualità resti conservato in un libro, se l’abbiamo coperto di appunti, riflessioni, magari persino di decorazioni e ritagli? […] Perciò facciamoci coraggio, e contaminiamo i libri con il nostro dna. Un giorno potrebbero essere l’unica cosa che resta di noi.» (I racconti del libraio, Martin Latham)
Non solo saggi e manuali: buone ragioni per annotare i romanzi
Nei paragrafi precedenti, come avrete notato, mi sono trovata a specificare che le annotazioni di cui parlo non sono tanto quelle che costellano manuali e libri di studio, quanto quelle che arricchiscono i libri legati alla sfera del tempo libero. Puristi del libro, so di star mettendo a dura prova la vostra pazienza e che non vorrete sentire ragioni, ma ecco quali sono i principali benefici di scrivere sui libri.
Vi pongo questa domanda: quante volte vi è capitato di fissare il vuoto solo perché qualcuno vi ha chiesto, anima innocente!, di parlare della vostra lettura corrente? A me tante, forse troppe. Uno dei motivi che mi hanno portato ad armarmi di matita e segnapagina durante la lettura è proprio questo, riuscire a ricordare i romanzi che leggo! Sottolineature e annotazioni aiutano a fissare il più possibile nella memoria il contenuto, e questo inevitabilmente si lega a una migliore comprensione del testo, dei suoi temi e della sua struttura.
Chiaramente, il processo di annotazione cambia a seconda del nostro interesse e del libro che abbiamo di fronte. Una cosa è approcciare il testo con occhio critico per scovare gli ingranaggi narrativi che lo fanno funzionare, tutt’altra è mettere il pilota automatico e godersi il viaggio della lettura, limitandosi a registrare impressioni soggettive — ben inteso, l’una non esclude l’altra. Soprattutto, se come me avete bisogno di molto tempo per formulare un giudizio coerente, scrivere i vostri commenti, di qualsiasi natura siano, lungo i margini equivale a salvare su un supporto esterno pensieri che avreste quasi certamente dimenticato da lì a poco.
Lettura annotata: alcuni consigli
Nella Quarta rivoluzione Gino Roncaglia distingue quattro tipi di modalità di fruizione di un testo. La lettura di un romanzo solitamente rientra nella modalità definita lean back, “all’indietro”, al contrario di quanto accade quando studiamo: nel primo caso assumiamo una posa rilassata e siamo pronti a lasciarci coinvolgere passivamente dalla storia, nel secondo, invece, ci ‘sporgiamo in avanti’ per assorbire ed elaborare le informazioni, cosa piuttosto evidente quando sediamo alla scrivania. Perché, allora, non provare ad assumere un atteggiamento attivo attraverso le annotazioni? Se si tratta di un’attività per voi del tutto nuova, ecco alcuni semplici consigli per iniziare:
- Sottolineate solo le frasi o i passaggi per voi più significativi
Che sia perché il vostro cuore si è spaccato in due o perché è una svolta narrativa che mai avreste immaginato, sottolineate soltanto singole citazioni, battute di dialogo o interi paragrafi che vi hanno colpito. Se con matita, penna o evidenziatore, questo dipende dal vostro grado di tolleranza. Lo stesso risultato si può raggiungere impiegando i segnapagina; se impiegare colori diversi per argomenti diversi o meno, sta a voi deciderlo.
- Sfruttate i margini, soprattutto se ampi
I margini sono perfetti per riportare osservazioni fulminee e/o approfondimenti vari, magari da rielaborare in seguito. Volete lasciare i margini liberi di respirare o sono talmente piccoli da essere inservibili? Di ogni forma e colore, i post it sono una validissima alternativa. Nemmeno i post it vi entusiasmano? Allora usate un quaderno, le note del cellulare o app come Highlighted (questa, tuttavia, solo per iOS, ma ne esistono sicuramente per Android). Certo è che se già l’annotazione a margine o su post it comporta un’interruzione più o meno breve della lettura, scrivere su tutt’altro supporto continua a non essere il massimo.
- Lasciatevi trasportare dal momento
Spesso, di fronte a fotografie e video di lettrici che riempiono le pagine della loro scrittura ordinata e sfuggente insieme, mi sono detta: “Quanto mi piacerebbe, ma io non ho nulla da dire!”. Ribadisco quello che ho detto sopra: annotazioni diverse per libri e scopi diversi. È vero che un “Oh, no :(“ o “MA COSA FAAA” non hanno la stessa profondità critica dell’analisi dei motivi di un personaggio, ma fa comunque parte dell’esperienza di lettura.
Annotare o non annotare? Questo è il dilemma!
Le annotazioni sui libri sono di certo un argomento che polarizza lettori e lettrici e che, forse proprio per questo, come dice Umberto Eco, finisce per diventare un “concetto feticcio”, utile soltanto ad alimentare polemiche improduttive. Ora, prendere posizione e discutere temi così poco impegnati è un gioco divertente. Sia chiaro, però, che non si è ‘meno’ lettori né se si lascia il libro bianco come mamma-tipografia lo ha fatto né se si finisce per riempirlo fitto fitto di annotazioni, post it e segnapagina. Vostro il libro, vostra la scelta di come entrarci in relazione.