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Il villaggio perduto di Camilla Sten, la recensione

Il villaggio perduto di Camilla Sten, la recensione

Il villaggio perduto è un thriller dalle ambientazioni folk horror scritto dall’autrice  svedese Camilla Sten, qui alle prese con il suo primo romanzo dedicato ad un pubblico adulto. Arrivato in Italia il 2 luglio 2024 grazie a Fazi Editore, Il villaggio perduto sembra promettere una lettura perfetta per l’autunno: nord Europa, un intrigante mistero da risolvere, inquietanti scoperte e un gruppo di protagonisti pieni di segreti.

Il villaggio perduto, una trama per gli appassionati di folk horror e true crime

1959. Nel villaggio minerario di Silvertjärn, nella regione centrale del Norrland, tutta la popolazione sparisce lasciando inalterato il paesaggio quotidiano, case e oggetti. Ogni presenza umana sembra essere svanita nel nulla, eccetto per il pianto di una neonata abbandonata e ritrovata all’interno della scuola del paese mentre all’esterno, nella piazza principale, una donna viene ritrovata morta, probabilmente lapidata. Il mistero di Silvertjärn non trova soluzione nel tempo e, sessant’anni dopo, Alice Lindsted decide di approfondirne gli avvenimenti attraverso la creazione di un documentario che le permetta di sfondare come reporter e, allo stesso tempo, trovare la soluzione a un enigma che in qualche modo la riguarda personalmente. Per farlo ha pochissimi fondi e un gruppo di amici/collaboratori con cui intrattiene rapporti personali altalenanti, a tratti conflittuali. Una volta arrivati al villaggio, l’atmosfera che si respira giunge inquietante: silenzio assoluto, nessuna possibilità di mettersi in comunicazione con il mondo esterno, probabilmente a causa delle interferenze create da un campo elettromagnetico per la vicinanza alla miniera.

Passato e presente che si rincorrono

La storia di Il villaggio perduto ci viene raccontata attraverso due archi temporali differenti. Nel primo, ambientato nel 1959, il lettore viene messo a conoscenza della corrispondenza tra Aina, giovane abitante di Silvertjärn, e sua sorella Elsa, trasferitasi altrove dopo essersi sposata, la quale invita la parente a fare lo stesso. Aina racconta in maniera sempre più concitata gli avvenimenti che caratterizzano la vita del villaggio, in particolare dopo l’arrivo di un nuovo giovane sacerdote. Nel secondo arco temporale abbiamo invece la nostra protagonista, Alice, desiderosa di dare una spinta definitiva alla sua carriera di documentarista. Il villaggio sembra il luogo destinato a regalarle una svolta di vita, poiché vi è legata personalmente: Elsa era infatti sua nonna, oltre che custode di un segreto inconfessabile.

Mi sposto affamata in cucina, con gli occhi come missili alla ricerca dell’obiettivo; mi vergogno ma ho temporaneamente dimenticato Tone. Assorbo tutto ciò che riesco a trovare. Qui abitavano. Qui vivevano. Qui, su queste eccentriche sedie azzurre, sedevano, conversavano e mangiavano, intorno a questo tavolo consunto con una bruciatura circolare su uno dei lati corti.

Il villaggio perduto, Cammilla Sten

Il villaggio perduto e la critica al fanatismo religioso

Le atmosfere del romanzo sono particolarmente evocative già dalle prime pagine. Il villaggio si apre agli occhi del lettore cristallizzato nella sua immobilità e, allo stesso tempo, capace di nascondere presenza minacciose pronte a saltare fuori dai vicoli stretti che la natura prepotentemente si è ripresa. In questa storia infatti è ciò che non si vede ad alimentare la paura e l’inquietudineAlice cerca di capire attraverso le sue indagini cosa è successo al villaggio e soprattutto cosa ha distrutto la sua famiglia, in un intreccio perfetto tra passato e presente. Gli elementi del genere thriller ci sono tutti e le atmosfere scandinave accolgono molto bene la narrazione, spesso accentuata da flashback, indizi, strani accadimenti e presenze nascoste nel cuore del villaggio. Il mistero si fa sempre più fitto e allarmante nel momento in cui la figura del nuovo parroco mostrerà la sua vera natura, entrando in un vortice di fanatismo che sfocerà in eventi drammatici.

La scelta di Camilla Sten non è casuale, infatti nella trama del romanzo è possibile ripercorrere alcuni fatti di cronaca realmente accaduti, come il suicidio di massa avvenuto nella comunità di Jonestown, nella Guyana nord-occidentale, sempre legata a movimenti religiosi, e la misteriosa sparizione degli abitanti della colonia di Roanoke in America del Nord. 

 

Un romanzo trascinante, tra pregi e difetti

Andando oltre le caratteristiche del genere narrativo questo romanzo è un concentrato di emozioni che ricorda anche altri prodotti come Midsommar e The Blair Witch Project, ma anche la letteratura più classica di Shirley Jackson con Abbiamo sempre vissuto nel castello. Viene affrontato l’argomento della manipolazione verso le persone più fragili, l’incapacità di riconoscere e gestire disturbi psichici e comportamentali, la violenza, le dinamiche di gruppo, l’amicizia e la difficoltà delle relazioni. Sul finale, forse, la narrazione si conclude in maniera un po’ troppo semplice lasciando il lettore lievemente insoddisfatto per il calo di tensione fulmineo dopo pagine e pagine di suspenceIn ogni caso, da accanita lettrice dei romanzi di Viveca Sten, madre di Camilla, l’autrice propone un esordio interessantissimo. Intrigante nella lettura, ottimo per una piovosa serata autunnale e presto trasposto in una serie Netflix, non vorrete abbandonarlo nemmeno per un istante.

 

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