Shadow and bone 2: perché ha diviso i fan dei libri?
Il 16 marzo sulla piattaforma streaming di Netflix ha debuttato la seconda stagione di Shadow and Bone (Tenebre e ossa), riadattamento per il piccolo schermo dei libri del GrishaVerse scritti da Leigh Bardugo. Nello specifico questa seconda stagione doveva riprendere dalla fine della prima, che aveva fatto un gran miscuglio tra primo libro della Grisha Trilogy (Tenebre e ossa) e i personaggi della dilogia di Sei di Corvi, altra opera dell’autrice, ambientata anni dopo gli eventi di Alina Starkov. Shadow and Bone 2 ha invece riadattato una serie di eventi che appartengono sia al secondo che al terzo libro della Grisha Trilogy (Assedio e Tempesta e Rovina e Ascesa), sia al primo che al secondo libro della dilogia di Sei di Corvi (Sei di Corvi e Il regno corrotto), sia al primo libro della dilogia di Nikolai (Il re delle cicatrici). Il risultato sarà riuscito a rispettare le aspettative dei fan? Oppure quello che si è generato è solo un’accozzaglia di informazioni slegate?
Questo articolo sarà il più possibile privo di spoiler, sia per quanto riguarda la serie TV che per quanto riguarda i vari libri citati. Nel caso ci fossero parti contenenti spoiler, saranno segnalate.
Shadow and bone: la trama in poche parole
Per chi non conoscesse esattamente la trama di Shadow and bone, ecco un piccolo riassunto: Alina Starkov è una cartografa del Secondo Esercito di Ravka, una nazione perennemente in guerra a causa della Faglia d’Ombra, un enorme banco di oscurità che divide in due il Paese da centinaia di anni. La Faglia è stata creata da un antico Grisha, persone dotate di poteri magici, chiamato l’Eretico Nero, che aveva il potere di evocare l’oscurità, e al suo interno vivono creature terrificanti assetate di sangue umano. La persona che sta cercando di porre fine all’esistenza della Faglia è proprio un’antenato dell’Eretico Nero, il generale Kirigan, detto l’Oscuro, ma per riuscirci ha bisogno di un’Evocaluce, un Grisha suo opposto in grado di generare la luce dove giace invece l’ombra. Quando Alina, ormai adulta, verrà a conoscenza di essere un’Evocaluce la sua vita cambierà di colpo. Trascinata via dal Secondo Esercito e da Mal, amico d’infanzia di cui è da sempre innamorata, si ritroverà di fronte un duro addestramento e la responsabilità della salvezza dell’intera Ravka. Specialmente nel momento in cui scoprirà che proprio le persone che le erano più vicine come alleate in realtà si sono trasformate nei suoi più acerrimi nemici.
Grisha Trilogy: cos'è rimasto dei libri e cosa è scomparso?
Mentre la prima stagione di Tenebre e ossa aveva più coscientemente seguito l’andatura del primo libro della Grisha Trilogy, lasciando ai fan la possibilità di rivedere su schermo scene incontrate durate la lettura del romanzo, questa seconda stagione sul versante dell’attendibilità ai libri lascia molto a desiderare. Il gruppo degli sceneggiatori della serie, capeggiato da Eric Andrew Heisserer, molto incerto sull’andazzo della serie TV e sul suo possibile rinnovo per una terza stagione, ha preso la pericolosa decisione di abbandonare quasi del tutto la storyline seguita dai romanzi e attuare una sorta di collage tra eventi di libri totalmente diversi tra loro. Del secondo libro della Grisha Trilogy, Assedio e Tempesta, tra l’altro il più politico e contorto dei tre, non se ne vede neanche l’ombra (tranne una scena che riguarda il secondo amplificatore di Alina). Le vicende si gettano immediatamente sul contenuto del terzo libro, che tuttavia viene snaturato e completamente stravolto.
Quando si decide di progettare un adattamento televisivo di una serie di libri è necessario, a mio parere, tenere conto del messaggio che quei libri vogliono lasciare al lettore o alla lettrice. Il progetto di Leigh Bardugo, in questo senso, era piuttosto chiaro, anche se poco compatto e maturo (consideriamo sempre che la Grisha Trilogy è l’esordio della scrittrice e che stiamo parlando di una saga molto acerba sotto tanti punti di vista). Il messaggio all’interno di questa saga fantasy è ovviamente interpretabile a modo proprio da chiunque, ma una cosa è certa: il personaggio di Alina nella serie TV è stato completamente stravolto e si è allontanato il più possibile dalla Alina che abbiamo incontrato nei libri. Questo fattore influenza l’intera percezione che abbiamo delle due opere: c’è chi ha apprezzato le modifiche apportate dalla serie e chi, invece, come me, ha trovato queste modifiche una forzatura. Eliminare totalmente la personalità della protagonista dei libri per restituircene un’altra completamente diversa è riadattare o è semplicemente trovare un pretesto per scrivere una storia diversa? Allora perché non chiamare la protagonista con un altro nome e costruirvici attorno una serie TV originale? La creatività, purtroppo, si scontra sempre con la necessità di attirare un pubblico vasto e, quindi, un maggior numero di abbonamenti nelle casse di Netflix: una serie basata su un soggetto originale tirerà sempre meno rispetto ad una serie basata su un soggetto che ha già milioni di fan. Il risultato è un capriccio di sceneggiatura che ha dovuto costruire qualcosa su basi che, forse, neanche agli stessi sceneggiatori convincevano più di tanto.
Ma il personaggio di Alina non è stato l’unico ad essere sacrificato. Tutto il gruppo dei Corvi (i protagonisti, cioè, della dilogia di Sei di Corvi), infilato nella serie senza nessuna ragione concreta di trama me semplicemente per accogliere un pubblico ancora maggiore, viene stravolto: in due libri Leigh Bardugo era riuscita a costruire una finissima rete di relazioni, una tensione crescente tra personaggi, situazioni complesse e dinamiche nascoste che nella serie TV non compaiono neanche per sbaglio. E se compaiono sono frettolose, sciape, dimezzate della loro potenza originale (potenza che solo i fan dei libri potrebbero minimamente respirare durante la visione, ma che tutto il resto del pubblico si perde completamente). Altri personaggi che vengono appiattiti moltissimo sono Nikolai, a cui viene quasi del tutto tolto il suo aspetto più politico e doppiogiochista. Ugualmente accade alla tematica, molto presente nei libri, della santificazione di Alina, una ragazza che da un giorno all’altro inizia ad essere percepita dal suo intero popolo come una miracolata vivente: il fervore religioso di Ravka, la presenza incombente dell’organo clericale ravkiano e la pressione che Alina è costretta a subire svaniscono come velesabbia nella Faglia d’ombra.
Alina Starkov: analisi SPOILER del personaggio
Alina Starkov è una protagonista decisamente poco accattivante, sia nei libri che nella serie. Ha tutte le carte in regola per rispettare il cliché dell’eroina che scopre di avere poteri straordinari e che, nonostante non li voglia, è costretta ad accettare per salvare il suo mondo e le persone che ama. Questa parabola è vecchia come le montagne, ma, gestita in modo sapiente, può riservarci delle sorprese. Leigh Bardugo fa compiere ad Alina un percorso ben preciso, che può piacere o no, ma che certamente ha una sua coerenza narrativa.
Nel primo libro della Grisha Trilogy, Tenebre e Ossa, Alina, prima orfana e poi cartografa del Secondo Esercito, scopre di avere un enorme potere, l’unico in grado di eliminare la Faglia d’Ombra. Alina è un’Evocaluce, una Grisha leggendaria che il popolo di Ravka non esista a chiamare “Santa”. Si ritroverà catapultata in un mondo che ha sempre e solo visto da lontano: verrà condotta in un palazzo dorato, educata come una Grisha (persone dotate di poteri che nascono con la consapevolezza di essere speciali e che vengono addestrate sin da bambine a padroneggiare il loro dono) nonostante lei abbia scoperto da pochissimo di avere il potere di evocare la luce; subirà le pressioni dell’Oscuro, un uomo assetato di conoscenza e dominio, che eserciterà su di lei un’influenza negativa e corruttiva. Alina in Shadow and bone è una ragazzina spaventata e inesperta che viene a contatto con un potere immenso di cui non conosce nulla, facilmente influenzabile, facilmente corrompibile.
Quando alla fine del primo libro Alina scopre che è stato proprio l’Oscuro a generare la Faglia e che il suo scopo è usarla per dominare sull’intera Ravka, Alina fugge dal Piccolo Palazzo: è così che inizia la trama del secondo volume, Assedio e Tempesta. Questo secondo capitolo è fondamentale per comprendere la psicologia del personaggio di Alina, che per la prima volta viene a patti con la reale complessità che ha assunto la sua attuale posizione: Alina non è una semplice Grisha, ma è percepita dall’intero popolo di Ravka come una santa vivente. Questo peso immenso le piomba sulle spalle, specialmente nel momento in cui entrerà in contatto con il personaggio di Nikolai, secondogenito del re di Ravka e unico membro della famiglia reale a cui importi qualcosa del destino del suo Paese. Alina viene sommersa da responsabilità di ogni genere: come santa, come soldato, come possibile regina di Ravka, come amica e come ragazza innamorata. Intanto dentro di lei si insinua il richiamo del potere, percepito durante tutta la lettura della saga come qualcosa di oscuro e tormentato. Da quando Alina assumerà dentro di sé la forza degli amplificatori (ossa di esseri leggendari che aumentano il suo potere), i quali danno anche al suo corpo un aspetto sempre meno umano, sentirà una pressante sete di potere pronta a consumarla. Dalla ragazza semplice che detestava l’idea di essere diversa si passa ad una protagonista sulla via della disumanità portata dall’eccessiva forza e dall’eccessivo carico di responsabilità.
Il terzo libro della Grisha Trilogy, Rovina e Ascesa, ci mostra l’apice di questa corruzione, il desiderio pressante di vendetta, la disposizione a fare qualunque cosa, anche attingere a fonti di potere proibito, pur di ottenere ciò che si vuole. Alina affronta la battaglia finale con l’Oscuro con la consapevolezza addosso di essere ormai diventata qualcosa che, nella realtà, lei non ha mai desiderato essere: un prodigio miracoloso, una santa a cui dedicare cattedrali. Ed è di questo fardello che, infine, Alina si libera. Nel momento in cui uccide l’Oscuro, Alina spezza il suo legame con gli amplificatori e perde i suoi poteri da Evocaluce, come se questi fossero davvero stati elementi calcolati di una profezia, la quale, una volta compiuta, lascia in pace la sua vittima sacrificale. Sankta Alina compie il suo martirio, muore per salvare Ravka, torna ad essere Alina Starkov, una ragazza che nella vita non aveva mai desiderato di indossare una corona, ma vivere una semplice vita assieme all’amore della sua vita. Nel momento in cui i problemi di Ravka terminano, Alina può togliersi l’armatura e ottenere un lieto fine molto più in linea con la sua reale personalità.
Il fatto che la vera Alina non sia una sanguinaria combattente, un’eroina bellissima e terribile, una regina assetata di potere, a molte persone ha fatto storcere il naso: a me questa conclusione, invece, ha fatto piacere, perché chiude un arco narrativo coerente con quello che Bardugo ci ha sempre lasciato sotto gli occhi, ovvero una protagonista che si è trovata “per sbaglio” ad incarnare il ruolo di eroina e che non ha mai chiesto altro se non l’amore del ragazzo di cui è innamorata da sempre. Sarà un finale poco “strong bad femminist” (molto di moda negli ultimi anni), ma è un finale molto più adatto alla reale natura di Alina, che altrimenti io avrei trovato forzata. Tra l’altro, Dio scampi a Ravka Alina come regina, considerando che ha l’intelligenza di una scarpa.
Nella serie TV tutto questo non esiste. L’arco narrativo di Alina (poverissimo durante tutta la durata delle stagioni) è ridotto al nulla e il suo finale accontenta tutte quelle persone che anche nei libri avrebbero desiderato un’Alina forte e consapevole del suo potere, pronta ad abbandonare il suo semplice sogno di vita per fare i comodi di Ravka. Quindi nel finale di stagione di Shadow and Bone Alina non perde i suoi poteri, sposa Nikolai e diventa regina di Ravka, tra l’altro, ereditando dentro di sé l’oscurità del Darkling (da cui è immediatamente affascinata, nonostante nei libri il suo più grande timore è proprio quello di trasformarsi in una copia dell’antagonista). Il finale non ha nulla del “lieto fine” scritto da Leigh Bardugo e snatura completamente la Alina che conosciamo nei libri. Questa evoluzione è giustificata solo dal fatto che il personaggio di Alina nella serie TV è talmente poco approfondito e bidimensionale che avrebbero potuto farle fare qualsiasi cosa: con il vuoto più totale, alla fine, si sposa bene un po’ tutto, no?
Piccolo spunto di riflessione: chi consideriamo più forte tra un personaggio che si fa corrompere dal potere e non esita a uccidere e dominare, emulando un antagonista che abbiamo sempre percepito negativamente, e un personaggio che abbraccia a pieno la sua vera natura, quella ripulita da un potere che non ha mai chiesto, quella che ha come obbiettivo il bene proprio, di chi ama e del prossimo in difficoltà (Alina diventa educatrice nell’orfanotrofio dov’è cresciuta, accogliendo i bambini lasciati soli a causa della guerra)? Se volete sentire la mia, stimo molto di più la Alina scritta da Leigh Bardugo, consapevole di non essere in grado di governare un regno e legata alla sua natura originale, che la Alina della serie TV, che in fin dei conti si lascia travolgere dagli eventi e corrompere da un potere che non le appartiene nemmeno.
Nella serie è stata abbandonata anche l’estetica del personaggio di Alina, che nel libro noi percepiamo sempre più lontana dalla sua originale umanità. Alina, da semplice ragazza con i capelli castani, gracilina e anonima, arriva ad essere una donna con una presenza molto più imponente, con capelli bianchi, un paio di corna incastonate nelle clavicole, un bracciale di scaglie di drago al polso e una ferita di cicatrici nere alla spalla. Il potere di Evocaluce toglie ad Alina anche la sua corporeità umana e le dona un aspetto certamente più iconico, santificabile, ma che lei non ha mai desiderato. Nella serie tutto ciò svanisce e Alina non cambia di una virgola dall’inizio alla fine, quindi lo spettatore non percepisce neanche questa sua mutazione esteriore che, in fin dei conti, rispecchia quella interiore.
Sei di Corvi in una serie chiamata Shadow and Bone: un grande problema di fondo
Chi mi conosce su Instagram sa quanto io sia innamorata della dilogia di Sei di Corvi, a mio parere il lavoro migliore di Leigh Bardugo. Il gruppo dei Corvi, che ha una storia fortemente stratificata e ricca di contenuto, avrebbe dovuto meritarsi una serie TV tutta per sé (cosa che è in lavorazione da parte di Netflix), eppure lo ritroviamo in Shadow and Bone come appendice “acchiappa-pubblico” che serve a dare un po’ di colore a la storia di Alina. Cosa ne viene fuori? Nella prima stagione più o meno erano riusciti a giostrare le due dinamiche in maniera abbastanza pulita, sacrificando approfondimento dei personaggi e trama vera e propria dei libri. Ma con la seconda stagione è successo un vero e proprio disastro. Aumentando la complessità della storia di Alina e aumentando anche il numero di eventi che succedono nella storia dei Corvi, viene fuori un calderone di eventi slegati tra loro, congiunti da forzature di trama inaudite. La trama di questa seconda stagione secondo me è il principale problema della serie: è difficilmente comprensibile, troppe cose avvengono in troppo poco tempo, non ha un ritmo lineare, non ha un ordine, non c’è tempo per un reale approfondimento dei personaggi e non esistono costruzioni dei rapporti tra i personaggi. Durante l’intera stagione si respira sono fretta e confusione: tutta la paura della cancellazione di un’ipotetica terza stagione è saltata fuori, trasformando un lavoro di scrittura certosino in una matassa senza né capo né coda.
Cosa mi è piaciuto di Shadow and bone 2?
La risposta a questa domanda è: davvero poco. Mi sono annoiata per la maggior parte del tempo, non sono riuscita a seguire con attenzione la trama, ho notato centinaia di buchi di trama e di forzature… MA (c’è un ma) ho subito il fascino del “contentino”. Primo contentino: il cast. Con la messa su schermo dei personaggi dei libri hanno fatto davvero un ottimo lavoro: sembra effettivamente che i personaggi escano fuori dalle pagine per manifestarsi in carne ed ossa. L’attore di Nikolai (Patrick Gibson) l’ho trovato perfetto nella parte (nonostante anche il suo personaggio sia stato abbastanza impoverito, togliendogli quel lato grigio che invece lo caratterizza nei libri). L’attrice che interpreta Zoya (Sujaya Dasgupta) è perfetta nel suo ruolo, così come l’attore che interpreta Mal (Archie Renaux), l’attrice di Genya (Daisy Head) e, in generale, tutto il gruppo dei Corvi (Kit Young, Danielle Galligan, Freddy Carter, Amita Suman, Jack Wolfe, Calahan Skogman). L’unica grade delusione del cast (super unpopular opinion) è stato Ben Barns nei panni dell’Oscuro: la sua l’ho trovata un’interpretazione caricaturale, piatta, dotata di circa tre espressioni facciali, accompagnata da un doppiaggio in italiano irritante e quasi macchiettistico (non troppo dissimile dalla sua versione originale).
Secondo e ultimo contentino: quelle poche scene precise ed identiche a come me l’ero immaginate durante la lettura dei libri. Le dinamiche tra Kaz Brekker e Pekka Rollings mi sono piaciute moltissimo (specialmente la scena nel club dei corvi), così come quelle tra Wylan e Jesper. Molto delusa dalla costruzione del rapporto tra Kaz e Inej, ma purtroppo il tempo non era fisicamente presente perché la loro storia, così sottile e complessa, venisse replicata con successo. Mi sono piaciute molto anche le scene tra Nikolai e Alina, mentre ho trovato fastidiose (più di quanto l’abbia fatto all’interno del libro) quelle tra Mal e Alina, dove lei riesce a ripetere a lui le stesse quattro frasi per tutta la durata della serie. Ho apprezzato anche la resa dei mostri d’ombra dell’Oscuro e in generale ho apprezzato una maggiore cura per i dettagli, nonostante l’estetica della serie sia ben lontana dalla sufficienza.
Tiriamo le somme!
Shadow and bone non è una serie che riesco ad apprezzare. Ci sono troppi problemi depositati alla base della sua scrittura e altrettanti per quanto riguarda scelte registiche e di fotografia. Una sete troppo forte di denaro ha oscurato la produzione dal pensiero di creare un prodotto coerente, pulito e meglio strutturato, magari rinunciando a dei filoni di trama che si sarebbero potuti approfondire in ulteriori stagioni. Capisco la “strizza” di essere cancellati, ma non giustifico il naufragio dei libri e la snaturalizzazione completa dei personaggi. Nonostante ciò sono molto curiosa (e spaventata) di vedere lo spin off che è (forse) in lavorazione sulla storia dei Corvi e l’ipotetica terza stagione di Shadow and Bone, che probabilmente si concentrerà sulle vicende di Nikolai. Tutto è da vedere e quando si parla di Netflix c’è sempre un po’ di sudore freddo ad imperlare la mia fronte!
Mi sento di concludere questo articolo (che definirei meglio come un sequestro di persona) consigliandovi di leggere assolutamente i libri originali, che poco centrano con l’adattamento televisivo. La trilogia di Shadow and bone, nonostante sia una saga molto acerba, è riuscita ad intrattenermi e, specialmente nei suoi secondo e ultimo volume, ad offrirmi interessanti spunti di riflessione. La dilogia di Sei di Corvi invece è un vero e proprio capolavoro all’interno del panorama Young Adult, che non perde un colpo dall’inizio alla fine: se nella serie TV siete stati conquistati dal carisma di Kaz, Inej, Jesper, Wylan, Nina e Matthias, leggendo delle loro avventure all’interno dei romanzi non potrete fare a meno di innamorarvene definitivamente. Ora non mi resta che iniziare la dilogia di Nikolai per non farmi trovare impreparata nel momento in cui torneremo su questi schermi per parlare della terza stagione!
In generale sulla parte dei Corvi concordo ma non su quella di Alina perché secondo me manca un passaggio fondamentale: dieci anni di differenza.
Al tempo della pubblicazione dei libri la Bardugo tentò di decostruire lo stereotipo della predestinata e la cosa per quanto mi riguarda le riuscì a metà. Devi essere un genio per decostruire uno stereotipo così complicato e lei in quanto esordiente non ne era in grado allora.
In più per me si rese conto dei limiti di Alina e di Mal come personaggi e la scelta di toglierli dalle scatole fu dovuta più che altro a questa presa di coscienza.
Ora nel 2023 mi chiedo se con tutti i testi che ci sono stati in mezzo sia ancora possibile proporre un personaggio limitato come Alina. E soprattutto un personaggio femminile così estraneo alla politica ora che il discorso politica-donne è così centrale nelle rappresentazioni e nella realtà stessa dei fatti.
La scelta fatta nella serie tv l’ho apprezzata perché penso che se la Bardugo riscrivesse Alina oggi farebbe pure lei la stessa scelta degli showrunner, lo dimostrano i testi che ha scritto in seguito tra cui King of Scars Rule of Wolves, ma se ci pensiamo pure Hell Bent. Un testo come la Grisha Trilogy di base è un testo che non ha saputo trascendere, è invecchiato male e l’intervento in sceneggiatura è stato capillare per questo motivo e sinceramente lo capisco.