
Lady Macbeth di Isabelle Schuler: genesi di un’antieroina
Di tutti i personaggi nati dalla penna di William Shakespeare, Lady Macbeth è indubbiamente uno dei più criptici. Affascinante come solo le menti più malvagie sanno essere, si impone sulla scena come un’anti-donna, spogliata di tutte le caratteristiche tipicamente femminili che accomunano altre famose eroine shakespeariane. Fredda, ambiziosa, tanto determinata da soggiogare il marito con il suo carisma, Lady Macbeth è passata alla storia della letteratura al pari di una spietata sirena incantatrice.
Venite ora, venite tutti, o spiriti d’inferno, che incuorate all’omicidio i mortali; venite, e colmatemi la testa e il cuore d’una crudeltà tutta limpida, e senza mistura d’alcun pietoso affetto; come lava ardente mi scorra il sangue per le vene, e obbliare mi faccia che femmina nacqui; sia chiuso in me ogni accesso al rimorso, ogni accesso alla compassione, ogni accesso a qualsiasi più mite sentimento di natura. Entrate nel mio petto e trasmutatevi il mio latte in veleno, o ministri d’inferno; accorrete da tutte parti, o fantasmi invisibili che vegliate sui delitti del genere umano. E tu, notte fatale, cadi, e avviluppane col più denso fumo d’inferno, affinché il mio pugnale non vegga la ferita che sta per infliggere, né resti spiro di cielo per benedirmi fra le tenebre, e arrestarmi per via.
Macbeth (Atto I, Scena V), William Shakespeare
Se la tragedia segue la sanguinosa ascesa al trono di Scozia da parte di Macbeth e della sua consorte, Lady Macbeth di Isabelle Schuler termina dove la rielaborazione shakespeariana inizia. Fedelmente al titolo, il libro è il bildungsroman della protagonista che si fa spazio a gomitate in un mondo inadatto alle donne. Sebbene non definibile come dramma storico al pari del Riccardo III o dell’Enrico VI, forse non tutti sanno che anche Macbeth è ispirato a vicende realmente accadute nel XI secolo. Macbeth (in gaelico Mac Bethad mac Findlaích) apparteneva all’alta nobiltà scozzese, appunto figlio di Findlaich, mormaer* della provincia di Moray, e nipote per parte materna del re Malcolm II.
*titolo medievale assegnato al signore di una provincia o regione, con un’importanza seconda solo al re di Scozia
La futura Lady Macbeth è invece plasmata sulla figura di Gruoch, parimenti nobile di nascita. Della sua vita le fonti lasciano intendere che fosse sposata con Gille Coemgháin, divenuto mormaer di Moray dopo la morte dello sconfitto Findlaich e con il quale generò Lulach, futuro re di Scozia. Quando il marito rimase ucciso nel 1032, Grouch sposò Macbeth – che, nel frattempo, aveva vendicato il padre ed era tornato in possesso della provincia di Moray.

La profezia, il fil rouge tra le due opere
1ª Strega. Salve, Macbeth! salve, o Thane di Glamis!
2ª Strega. Salve, Macbeth! salve, o Thane di Cawdor!
3ª Strega. Salve, Macbeth! che in breve sarai re!
Macbeth (Atto I, Scena III), William Shakespeare
La profezia da parte delle streghe, le «oscure profetesse» («The Weyward Sisters» in originale), rappresenta la miccia in grado di innescare i nefasti eventi della tragedia. Allo stesso modo, anche l’interpretazione di Isabelle Schuler prevede una profezia. Durante le celebrazioni pagane in onore di Imbolc (festa che, secondo il calendario celtico, cadeva il primo febbraio, a metà tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera), la nonna materna della piccola Gruoch le svela la profezia che cambierà l’intero corso della sua esistenza. Un giorno diventerà regina di Alba* e il suo nome riecheggerà immortale.
*il termine è di convenienza e designa il Regno di Scozia nel periodo approssimativo tra i secoli X e XIII, differenziandolo da quello successivo. Durante il Regno di Alba, infatti, i regnanti e i nobili erano principalmente di lingua gaelica, mentre il Regno di Scozia governato dagli Stewart parlerà per la maggior parte inglese.
Libertà o predestinazione? In Lady Macbeth troppe risposte vengono lasciate in sospeso
Sii come un fiore innocente, ma agisci come la serpe che striscia sotto di esso.
Lady Macbeth, Isabelle Schuler
Personalmente, quest’aspetto di predestinazione – sul quale poi si basa l’intero libro – mi ha lasciata parecchio perplessa. L’ho trovato confusionario, a tratti lacunoso, e soprattutto manchevole di un’approfondita analisi psicologica del personaggio. Lady Macbeth narra la sua storia in prima persona, abbandonandosi spesso e volentieri a esclamazioni che interrompono il flusso della narrazione, eppure non traspare che uno sbiadito riflesso delle sue emozioni.
Non che mi aspettassi compassione, lacrime o affetto, dato il modello shakespeariano. Le emozioni che la Gruoch di Macbeth incarna sono l’ambizione, la spregiudicatezza, l’avidità. La rabbia, la furia omicida pazza e cieca. Tutto ciò che le pagine di Lady Macbeth sono in grado di produrre, però, è un ritratto dalle tinte grottesche di una ragazzina capricciosa incapace di gestire gli eventi senza farsi terra bruciata intorno. Gli uomini che incontra sono tutte caricature negative – il calcolatore, il violento, l’inetto (a volte nemmeno lo stesso Macbeth sembra salvarsi) – e le donne non sono da meno: deboli, oppure tacciate come fredde opportuniste. Sì, l’incoerenza ce l’ho vista pure io.

Eppure, devo ammettere, non si tratta di una resa così incoerente rispetto alla tragedia shakespeariana – in fin dei conti, questo libro dovrebbe spiegare i motivi della totale mancanza di scrupoli da parte di Lady Macbeth – ma risulta superficiale. Non è altro che il dibattito «evergreen» sui retelling: quando valgono la pena? Per quanto la regina interpreti una figura cardine nella tragedia, il titolo è al maschile. Lady Macbeth, Gruoch, è relegata al ruolo di personaggio secondario. Ascoltare il suo punto di vista senza estirparlo dal suo contesto storico, sfruttarlo per trarre riflessioni contemporanee, è sacrosanto. Nella mia opinione, si sarebbe potuto fare molto di più. La mancanza di fonti lasciava sostanzialmente carta bianca alla fantasia, ma non si è rivelata incisiva abbastanza. Si è trattato dello spreco di un’occasione, a parer mio, un vero peccato.
Lady Macbeth, romanzo storico o rielaborazione verosimile?
Su ammissione dell’autrice stessa nella nota finale, non si tratta di un romanzo storico. Le informazioni sono troppo scarse per fregiarsi di un’attinenza realistica; le poche che esistono sono state opportunamente ignorate. Mi riferisco principalmente alla questione religiosa. Come raccontato fin dalla prima pagina del libro, Gruoch proviene da un’antica stirpe pitta di druidi. Una cultura così radicata che la bambina viene chiamata con il nome pagano di Groa, all’interno delle mura domestiche.
Nell’XI secolo, i sovrani che siedono sul trono scozzese sono tutti cristiani. Dunque, usando le parole di Gruoch, credono nella «nuova religione». Eppure, di quanto “nuova” stiamo parlando? La Gran Bretagna venne conquistata dai Romani nel I secolo ed evangelizzata qualche anno dopo, grazie all’impegno dei missionari. Il celebre San Colombano, fondatore e abate di numerosi monasteri, diffonderà il cristianesimo in Irlanda a cavallo tra VI e VII secolo. L’opera in territorio scozzese, precedente di un secolo, avvenne grazie a San Niniano di Whithorn. Nella sua Historia ecclesiastica gentis anglorum (Storia ecclesiastica del popolo inglese), risalente alla prima metà dell’VIII secolo, Beda il Venerabile racconta che San Niniano era un britannico che, dopo aver studiato a Roma, aveva istituito una sede episcopale presso la Casa Candida (Whithorn, appunto) ed era riuscito nell’impresa di convertire i Pitti meridionali.

La domanda dunque sorge spontanea: se la religione cristiana era innestata nel territorio scozzese da ormai più di quattro secoli, come può suonare «nuova» alle orecchie di Gruoch? In una missiva della metà del V secolo, il vescovo irlandese San Patrizio si riferiva ai Pitti convertiti da Niniano come “apostati”, ossia aderivano soltanto in teoria al cristianesimo, continuando a praticare la propria antica religione nel privato. Ora, i Pitti hanno difeso a lungo le proprie credenze, ma si parla di una lettera risalente al V secolo. In cinquecento anni, il cristianesimo è ormai di un fenomeno ben radicato, che rende assolutamente inverosimile che una bambina di ceto nobile sia educata così lontano dalla religione principale da doverne ricavare curiose briciole nelle sue sporadiche gite al villaggio.
A farmi storcere il naso non è tanto l’inconsistenza storica ma, ancora una volta, il fatto che questa scelta non sia stata giustificata con un doveroso approfondimento. Leggere del conflitto religioso tra paganesimo celtico e cristianesimo, dal punto di vista privilegiato di una donna che la letteratura ci ha tramandato come una donna così malvagia da sembrare quasi inumana, al pari di una strega, sarebbe stato davvero affascinante.
Avevo davanti agli occhi quelle immagini scintillanti e, mentre cantava l’antica melodia dell’addio, sentivo l’eco delle generazioni passate rimbombarmi nelle orecchie.
Lady Macbeth, Isabelle Schuler
Lady Macbeth, le mie considerazioni
Lady Macbeth è un libro dotato di grande potenziale che soffre l’incapacità di saltare uno scalino necessario. Avrebbe potuto osare, ma nel rimanere nell’acquitrino della sicurezza non è riuscito a distinguersi da tanti altri romanzi del genere. Lady Macbeth, la donna che ha estirpato la debolezza dal suo carattere, è in effetti un personaggio debole. Barcolla e inciampa, rendendo difficile l’immedesimazione da parte del lettore. Quella profezia, il leitmotiv che unisce Macbeth e la sua consorte, si rivela una spada capace di uccidere. Rimane insoluta la domanda: quale misura d’azione abbiamo nel nostro destino? Anche quando crediamo di avere una scelta, si tratta di libertà o l’effetto di un filo invisibile che ci muove come marionette?