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Babel di R.F. Kuang, la recensione

Babel di R.F. Kuang, la recensione

Se c’è un libro che ha scosso il panorama letterario degli ultimi anni, quello è senza dubbio Babel, pubblicato da Oscar Mondadori nel 2023. R.F. Kuang è autrice della trilogia fantasy militare La guerra dei papaveri  e del romanzo standalone Yellowface, una feroce critica all’industria editoriale e all’appropriazione culturale (trovate la recensione qui). Con Babel ci regala un’opera che intreccia fantasy, storia, linguistica e critica post-coloniale in un mix tanto affascinante quanto denso di significati. Un romanzo che si erge a manifesto letterario, a metà tra finzione e saggio, lasciando il lettore con domande scomode e riflessioni profonde.

Trama e ambientazione: Oxford, lingue e potere

Oxford, 1836. Robin Swift, un orfano originario di Canton, viene strappato alla sua terra natale dopo la morte della madre e condotto in Inghilterra sotto la tutela del professor Lovell. Il suo destino sembra già segnato: studiare a Babel, il Royal Institute of Translation dell’Università di Oxford, e diventare un esperto di lingue, una pedina fondamentale nella produzione dell’argento incantato. In questo universo, la magia si nutre delle discrepanze linguistiche e della traduzione: le barre d’argento, infuse di significati intraducibili, sono il motore del potente Impero Britannico.

Giunto in Inghilterra, Robin si dedica allo studio dei classici, imparando il latino e il greco e affinando la sua conoscenza della lingua madre. Il suo obiettivo è entrare nella facoltà di Traduzione, la più prestigiosa e elitaria del Regno Unito. Oxford diventa per lui un simbolo: le guglie gotiche, le biblioteche maestose e il prestigio accademico lo avvolgono in un’aura di fascino e tradizione. Ma tra i palazzi universitari ce n’è uno che svetta su tutti: Babel, la torre dedicata agli studi di traduzione, l’epicentro del sapere linguistico e dell’intero sistema di potere. Qui prende vita l’estetica dark academia, un genere che esalta il culto della conoscenza, l’élite intellettuale e la decadenza di un mondo colto e contraddittorio.

Il romanzo di Kuang trasmette un amore profondo per i classici, le lingue antiche e la letteratura, facendo della conoscenza un’arma a doppio taglio: uno strumento di elevazione, ma anche di oppressione. Robin e i suoi compagni si immergono nello studio del greco, del latino, del sanscrito e del cinese, scoprendo nelle parole non solo un patrimonio accademico, ma anche il peso della storia e dell’identità culturale.

Ciò che inizialmente appare come un paradiso accademico si rivela presto una prigione dorata. Robin, abbagliato dal prestigio di Babel, si scontra con una realtà brutale: il ruolo della traduzione nel consolidamento del dominio coloniale britannico e la complicità dell’istituzione che tanto ammira. La tensione tra il desiderio di appartenere e la consapevolezza che l’intero sistema si regge sullo sfruttamento delle culture colonizzate lo porterà a scelte difficili e dolorose. Il romanzo è attraversato da un conflitto costante: l’amore per la conoscenza e la scoperta si scontra con la rivelazione di come questa venga manipolata come strumento politico.

La struttura stessa del libro riflette questa dicotomia: c’è un prima e un dopo. La prima metà del romanzo è un’immersione nel dark academia, tra lezioni, biblioteche e il fascino di un sapere apparentemente puro. Ma poi la narrazione cambia bruscamente registro: Babel si trasforma in un’opera politica, che accelera improvvisamente, portando il lettore in una riflessione intensa su potere, ribellione e sacrificio.

Linguistica e magia: una rivoluzione concettuale

Uno degli aspetti più originali di Babel è il suo sistema magico, che sovverte i canoni tradizionali del fantasy. Kuang elimina incantesimi e poteri sovrannaturali, sostituendoli con la forza delle parole. Le lingue, in questo universo, non sono semplici strumenti di comunicazione, ma veicoli di significati irripetibili che, se incisi nell’argento, sprigionano un potere straordinario.

Il cuore pulsante del romanzo è proprio la traduzione, presentata non come un atto meccanico, ma come un processo complesso e mai neutrale. Babel dimostra come la traduzione perfetta sia un’illusione: ogni lingua è intrisa di sfumature uniche e il traduttore si trova inevitabilmente a scegliere tra fedeltà letterale e adattamento concettuale. Ma qual è l’approccio giusto? È meglio rispettare rigidamente la forma originale, rischiando di perdere il significato voluto dall’autore, oppure parafrasare e modificare i termini per avvicinarsi al senso profondo del testo?

Kuang permea l’intero romanzo di questi interrogativi filosofici, arricchendoli con riferimenti letterari e tecnicismi linguistici, spesso approfonditi nelle numerose (e a tratti invadenti) note a piè di pagina. È proprio attraverso un personaggio controverso, il professor Playfair, che l’autrice enuncia la sua tesi più provocatoria: tradurre significa tradire.

“Ma qual è il contrario della fedeltà?” chiese il professor Playfair. Stava giungendo alla conclusione del suo ragionamento, pronto a sferrare il colpo finale. “Il tradimento. Tradurre significa esercitare violenza sull’originale, significa deformarlo e distorcerlo per occhi stranieri ai quali non era rivolto. Quindi cosa ci rimane da dire? Come possiamo concludere, se non ammettendo che ogni atto di traduzione è sempre e necessariamente un atto di tradimento?

Babel, R.F.Kuang

Questa riflessione apre la strada a domande più ampie: quanto perdiamo nel tradurre? Quanto il significato di una parola cambia in base al contesto e al potere di chi la pronuncia? La magia dell’argento diventa così una potente metafora dell’appropriazione culturale e del modo in cui l’Impero Britannico manipola il linguaggio per consolidare il proprio dominio.

Non a caso, le note a piè di pagina assumono un ruolo centrale nel testo: da un lato, arricchiscono la narrazione con dettagli enciclopedici e curiosità linguistiche; dall’altro, rappresentano una barriera, spezzando il ritmo della storia e rendendo la lettura più densa e impegnativa. Una scelta stilistica che riflette perfettamente l’anima del romanzo: un’opera che esige attenzione e invita alla riflessione.

Un fantasy che è quasi un saggio

Se da un lato la scrittura di Kuang è magistrale, evocativa e poetica, dall’altro l’intento didattico è così marcato da spingere Babel a sfiorare il terreno del saggio. L’autrice non si limita a raccontare una storia, ma la utilizza come veicolo per esporre una tesi ben precisa: il colonialismo è stato alimentato dalla lingua e dalla traduzione, che sono diventate strumenti di appropriazione e dominio.

Questa scelta narrativa è potente e stimolante, ma non priva di conseguenze. Il romanzo è denso, ricco di note e digressioni che, a tratti, possono risultare impegnative. Se il lettore si aspetta un fantasy classico, potrebbe rimanere disorientato: gli elementi fantastici, infatti, sono più un contorno che il cuore pulsante della narrazione. La storia avrebbe potuto reggersi anche senza la magia dell’argento, il che rende Babel un libro difficile da collocare in un unico genere. Questo approccio sfida le convenzioni del fantasy tradizionale, spingendo il lettore a riflettere su un livello più profondo e complesso, ma richiede anche una disposizione mentale a un’esperienza di lettura meno immediata e più riflessiva.

Personaggi e conflitti interiori

Robin è un protagonista affascinante proprio per le sue contraddizioni interiori. La sua crescita è segnata dal conflitto tra il desiderio di appartenere a Babel e la consapevolezza del suo ruolo in un ingranaggio oppressivo. Questa lotta interiore ne fa un personaggio complesso, che sfida il lettore a interrogarsi sul prezzo del progresso e del sapere. Anche gli altri membri del suo gruppo – Ramy, Victoire e Letty – sono caratterizzati da storie e profondità uniche, che li rendono perfettamente integrati nel contesto del romanzo. Ognuno di loro affronta la realtà coloniale e il privilegio bianco a suo modo, diventando uno specchio delle varie sfumature di resistenza, adattamento e consapevolezza.

La loro amicizia è autentica e vibrante, ma segnata da tensioni irrisolvibili che, purtroppo, esplodono nel climax finale in maniera tragica e inevitabile. Ramy, in particolare, emerge come la voce più radicale contro il sistema, mentre Letty diventa l’emblema della fragilità e dell’inconsapevolezza del privilegio bianco, incapace di vedere le disuguaglianze che la circondano.

La divisione del libro in due macro parti si riflette anche nell’evoluzione psicologica dei personaggi. Se inizialmente sembrano ben delineati, nella seconda metà dell’opera subiscono una virata improvvisa, che talvolta appare poco giustificata o troppo brusca. Questo cambiamento, sebbene contribuisca a enfatizzare la crescita e le difficoltà del gruppo, rischia di compromettere la coerenza narrativa, lasciando il lettore con una sensazione di disorientamento. Tuttavia, proprio questa instabilità psicologica dei protagonisti aggiunge una dimensione ulteriore alla riflessione sul sistema di potere e sulle sfide che ciascuno affronta nel cercare la propria identità in un contesto coloniale.

ALLERTA SPOILER! Un finale senza speranza?

La conclusione di Babel non è né catartica né consolatoria. Robin e i suoi compagni giungono alla consapevolezza che il cambiamento non può avvenire senza conflitto: Babel deve crollare, anche a costo delle proprie vite. Il sacrificio finale di Robin è una scelta radicale, che lascia il lettore con un’amara consapevolezza: talvolta, l’unica via verso la libertà passa attraverso la distruzione. Ma questo sacrificio è davvero utile a risolvere il problema? La Kuang si astiene dal fornire una risposta chiara, lasciandoci come lettori smarriti in un limbo fatto di ribellione senza speranza.

Apprezzabile è anche la scelta di Victoire di mettere al primo posto se stessa, senza che questa decisione la trasformi in una traditrice dell’ideale. Anche il suo destino resta ambiguo e il lettore non può che sperare nella sua salvezza.

Il messaggio dell’autrice è netto: le rivoluzioni hanno un prezzo. La storia non regala finali felici a chi lotta contro l’oppressione. In questo senso, Babel si distacca dai tradizionali racconti di eroi che sconfiggono il male e ristabiliscono l’ordine. Inoltre, la scelta di chiudere il libro con un finale aperto, che lascia l’Impero in bilico, amplifica l’impatto della narrazione, spingendo il lettore a riflettere sulle implicazioni di un cambiamento che non può essere né totale né semplice.

Letty e il peso del tradimento

Il tradimento di Letty è uno dei momenti più sconvolgenti del libro. La sua incapacità di concepire un mondo in cui non sia dalla parte giusta della storia la spinge a compiere un atto irreparabile: tradire i suoi amici e causare la morte di Ramy. La sua azione non nasce da malizia, ma da una profonda incapacità di rinunciare ai privilegi che la sua posizione le conferisce.

La sua filosofia si fonda su un concetto inquietante: la stabilità dell’Impero è più importante della giustizia. Letty non riesce ad accettare che il sistema sia marcio fin dalle fondamenta, poiché ciò significherebbe mettere in discussione la sua intera esistenza. Il suo tradimento diventa la rappresentazione perfetta di come il privilegio bianco, anche quando sembra inoffensivo, possa trasformarsi in complice dell’oppressione. Non si tratta di odio, ma di indifferenza, paura e una cieca fedeltà a un sistema ingiusto.

Apprezzabile è l’inserimento di un capitolo dal suo punto di vista, che permette di comprendere le sue ragioni e offre al lettore la possibilità di non schierarsi contro Letty a priori, ma di guardare la sua scelta attraverso la complessità delle sue motivazioni.

In breve, un capolavoro imperfetto

Babel è un libro ambizioso, complesso e profondamente poetico. La scrittura di Kuang è straordinaria, il worldbuilding affascinante e le riflessioni sul linguaggio e sul colonialismo illuminanti. Tuttavia, la struttura del romanzo, con il suo ritmo frammentato dalle numerose note e la sua vicinanza a un trattato piuttosto che a un’avventura, potrebbe risultare difficile per molti lettori.

Se cercate un fantasy ricco di azione e colpi di scena, potreste rimanere spiazzati. Ma se amate le storie che stimolano la riflessione, che intrecciano fiction e saggistica con una scrittura evocativa e densa di significato, Babel è un libro che vi lascerà un’impronta indelebile.

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