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Le calde mani degli spiriti, la recensione

Le calde mani degli spiriti, la recensione

Nel giugno del 2024 Mondadori pubblica per la sua collana Oscar Fabula l’ultimo romanzo di Katherine ArdenLe calde mani degli spiriti. Il pubblico italiano conosce Katherine Arden per la sua fortunata trilogia fantasy Young Adult incominciata con L’orso e l’usignolo. Ma Le calde mani degli spiriti è un romanzo che non genera un immediato interesse, e chi vi si approccia rischia di rimanere deluso dalle aspettative generate dalla pubblicazione per un marchio di riferimento per la letteratura fantasy come Oscar Vault. Perché Le calde mani degli spiriti non è uno Young Adult e, soprattutto, ha molto poco del fantasy a cui siamo abituate. Questo è un libro di guerra e oggi tenterò – anche se non mi sarà facile – di riassumervi in un articolo quanto io l’abbia amato. 

Le calde mani degli spiriti, tra la ghost story e il romanzo familiare

1918. Laura Iven è un’infermiera di campo congedata con una medaglia al valore per una brutta ferita alla gamba. Dalle Fiandre, dal fronte insanguinato di feriti, si è ritirata ad Halifax, in Canada, sua terra natale, dove vive come ospite in una casa governata da tre donne anziane, le Parkey, che per mestiere organizzano sedute spiritiche nel loro salotto. Laura non ha tempo per queste sciocchezze: è orfana, deve badare a se stessa e la sua mente rincorre continuamente il pensiero di suo fratello, Freddie, soldato semplice di istanza in Europa. La guerra li ha divisi e Laura ha buone motivazioni per credere che Freddie sia morto: lo ha confermato il pacco che ha riportato a casa alcuni dei suoi effetti personali. Tuttavia, durante una delle truffaldine sedute spiritiche delle Parkey, lo spettro evocato pare rivolgersi proprio a Laura. La planchette si muove e dice questo: Freddie è vivo. Trova Freddie.

«Aspettiamo che succeda qualcosa?» chiese Laura a Lucretia mentre camminavano. «Be’, sì» rispose Lucretia. «Per te, sai. Tutti i tuoi spiriti. Te li trascini dietro come rosari penitenziali. La tua famiglia. I tuoi pazienti. Non il caro Freddie, ovviamente. Perché lui non è morto.»

Le calde mani degli spiriti, Katherine Arden

1917. Wilfred Iven è un soldato semplice e, durante la battaglia di Passchendaele, in Belgio, un bunker gli crolla addosso, sommergendolo. Freddie sopravvive, nonostante sia convinto di essere morto o di stare lì per lì per diventarlo. Sarebbe pronto ad arrendersi alla follia della disperazione, se un’altra presenza non lo riportasse alla realtà, per quanto orribile. Non è solo: c’è Winter, un soldato tedesco, della linea nemica, intrappolato con lui sotto le macerie. Sono nemici. Fuori da quella parentesi di mondo buia e terrificante si sarebbero sparati a vicenda con il fucile. Ma lì sotto sono solo uomini, sopravvissuti, l’uno l’àncora che trattiene l’altro dal diventare cibo per topi. Era tanto tempo che nessuno dei due ricordava di non essere un uniforme, di non essere un sacrificio necessario, ma di essere un uomo. Ed essere solo uomini, a volte, è tutto ciò che serve per restare vivi

«Forse questo è l’inferno» commentò, a metà tra il serio e l’ironico. Immaginava che negli inferi non facesse alcuna differenza se eri canadese o tedesco, e questo metteva la guerra in una strana prospettiva. Il diavolo operava in modi misteriosi. 

Le calde mani degli spiriti, Katherine Arden

La guerra narrata dai fantasmi e dalle anime

Le calde mani degli spiriti è un romanzo costruito su due linee narrative e due punti di vista differenti, nonostante l’autrice utilizzi una narrazione in terza persona che in qualche modo si immerge nell’interiorità dei suoi personaggi senza che ne venga completamente oscurata l’indipendenza. Freddie e Laura sono protagonisti di un’epopea che punta al loro ricongiungimento. Artiglieria, feriti, spettri e la stessa mano del demonio si contrapporranno a questa missione disperata. La guerra li ha divisi, la guerra desidera mantenerli separati. Ma, sviando da ogni tipo di retorica, evitando ogni banalizzazione e sdolcinatezza, Katherine Arden ci ricorda come l’amore e l’empatia tra esseri umani, talvolta, siano elementi capaci di oscurare persino i bagliori delle bombe.

Leggendo Le calde mani degli spiriti, mi sono confrontata con una storia che parla di Storia, quella con la S maiuscola. Da ogni capitolo, da ogni riflessione, fertile come un seme che si pianta nella mente per farvi germogliare pensieri, si intuisce come Katherine Arden abbia dedicato anni alla stesura di questo romanzo. Ce lo dice lei stessa nelle pagine finali del testo, dedicate alla Nota dell’autrice (che consiglio caldamente di non saltare prima di chiudere il romanzo):

Ho trascorso anni lavorando alla stesura di Le calde mani degli spiriti. Durante quel periodo molti mi hanno chiesto di descrivere i tempi e i luoghi che occupavano così tanta parte della mia immaginazione, e il genere che mi sono ritrovata a usare più spesso, a volte ironicamente, a volte seriamente, è stato lo steampunk. Nessun altro periodo storico si è trovato così vicino all’essere un’epoca fantascientifica come la Prima guerra mondiale: un mash-up indescrivibile di cambiamenti delle abitudini e delle tecnologie.

Le calde mani degli spiriti, Katherine Arden

E quelle abitudini, quelle tecnologie, quegli anni passati a fare ricerca, l’autrice ce li fa assaporare come una splendida lezione di Storia che, tuttavia, rimane profondamente ancorata alla volontà di esplorare l’animo umano. Dal suo totale disfacimento alla sua lenta e progressiva ricomposizione. 

L'elemento fantasy in un racconto di vivida realtà

Mondadori pubblica Le calde mani degli spiriti con una sinossi che forse rende poca giustizia al volume, o forse lo ammanta di un’atmosfera che non gli appartiene del tutto. Attirata dall’idea di leggere una storia di fantasmi nel contesto della Prima guerra mondiale, ho affrontato il romanzo per poi ritrovarmi tra le mani qualcosa di totalmente diverso. Gli spettri ci sono, ma non hanno molto di quello che potremmo immaginarci: sono creature anch’esse vittime di un mondo in delirio, a un passo dall’Apocalisse biblica che la madre di Laura e Freddie non faceva che leggere ai figli nei suoi deliri religiosi. Ebbene, Katherine Arden ci tiene a ricordarci che per i bambini nati nei primissimi anni del ‘900, prima in Europa e poi in America, l’Apocalisse arrivò davvero

La Prima guerra mondiale spesso viene “oscurata” dall’ingombrante presenza della Seconda, ma fu il conflitto del ’15-’18 a portare al fronte il più alto numero di uomini e a farli morire quasi tutti. Fu una guerra spietata, come lo sono tutte le guerre, e l’autrice non ci risparmia nulla: il dolore trasuda dalla carta e si insinua nei nostri occhi, facendoli pizzicare. Non si sfugge ad un racconto che mostra con una tale eleganza e una tale sincerità gli orrori della battaglia. Una battaglia che non si combatte solo oltre le trincee, ma anche nella mente e nel corpo dei ragazzini che vennero sospinti, come da un’onda rossa, a prendere parte al conflitto.

«Una volta mi trovavo ad una festa con un grande studioso militare. Era molto ubriaco. Una delle cose che ricordo che disse è che il motivo per cui i tedeschi non potevano rinunciare a invadere il Belgio nel ’14 era che avevano già stabilito alla perfezione gli orari dei loro treni e qualsiasi cambio di programma avrebbe rovinato il piano».

«Quindi pensi che gli orari dei treni ci abbiano condotto alla guerra?»
«No» disse Laura. «O forse un po’. Ma non si tratta solo di tabelle ferroviarie. Ormai il mondo intero è fatto di sistemi. Sistemi troppo grandi per essere compresi, controllati o formati da una sola persona. Come orari. Alleanze. Teorie filosofiche. E così ci ritroviamo qui, anche se nessuno voleva esserci.»

«Perché Dio ha permesso che succedesse?» mormorò Pim. «Ho tentato di capire… tutti quei giorni a Halifax, dopo la morte di Nate… e poi ho sentito dire che Jimmy era disperso. Andavo in chiesa e mi dicevo che Dio ha un piano per ognuno di noi. Ma come possiamo conoscerlo?»

«Non lo so» rispose Laura. Non avrebbe osato rivelare l’eresia a cui stava pensando realmente: “Cos’è Dio se non un altro sistema?”.

Le calde mani degli spiriti, Katherine Arden

Con una tenerezza infinita ci ritroviamo così a sperare, con tutte noi stesse, che Freddie finalmente possa rivedere sua sorella. Questi personaggi, le cui infauste sorti sono state decise da qualcun altro, da un sistema che non ha mai tenuto conto delle loro anime, ci prendono per mano e ci conducono in un’avventura vivida e straziante, una danza tra la morte e la vita. Il dubbio amletico rincorre il personaggio di Freddie, facendoci domandare a nostra volta che senso abbia vivere quando il mondo non ci considera più persone, arrivando a convincere persino noi stessi. La rassegnazione di un lutto privato e mai confermato raccoglie tra le braccia Laura, rendendoci più facile percorrere la strada verso un fronte da cui, almeno lei, era riuscita a scappare.

Le calde mani degli spiriti è, come tutte le storie di fantasmi, una grande storia d’amore e sofferenza, all’interno della quale trova ampio spazio la narrazione dell’umana sorte durante un conflitto bellico. Tema che oggi, come ieri e domani, dovrebbe interessarci in maniera particolare. Perché come cambiano gli scenari di guerra così non cambiano le vite di chi se ne ritrova al centro. 

Le calde mani degli spiriti: parte SPOILER!

Non sono solita ricamarmi un piccolo spazio per analizzare un libro concedendomi qualche spoiler, ma in questo caso lo trovo quasi necessario. Un personaggio, infatti, non è possibile svelare e affrontare senza rovinare l’esperienza di lettura a chi questo romanzo non l’ha ancora affrontato. Un personaggio che è presente in ogni guerra e che, inaspettatamente, in questa narrazione diviene parte delle vittime.

«Tu odi questo posto, non è così? Odi tutto. Odi la guerra tanto quanto me».

Faland stappò una nuova bottiglia e la alzò in segno di brindisi. «Sì, lo odio, intelligentone. È un inferno senza padrone, che gli uomini si sono costruiti da soli.» Bevve. «Certo che lo odio.»

Le calde mani degli spiriti, Katherine Arden

Una leggenda si aggira nelle trincee e tra i letti d’ospedale. Un violinista di nome Faland promette una via d’uscita dagli orrori della guerra, perché pare che solo udendo la musica del suo violino ogni dolore venga dimenticato. Ma nel momento in cui il violinista termina il suo concerto e se ne va, i soldati che l’hanno udito impazziscono pur di ritrovarlo e dimenticare ancora, incantati dalla musica. Katherine Arden riesce così ad inserire nel suo romanzo un rompicapo, un mistero che si dipana lentamente nel corso della narrazione. Chi è questo Faland? All’inizio ci sembra solo un oste che dà riparo ai disertori. Poi la sua presenza si ammanta di nebbia e le sue parole cominciano a suggerirci qualcosa… Arriviamo alla fine con l’assoluta certezza di aver intrattenuto alcune delle scene più profonde e toccanti del romanzo con il Diavolo in persona. Lucifero, il primo soldato della prima guerra. Anche a lui, e alle sue multiformi versioni letterarie, viene dedicato Le calde mani degli spiriti: un Signore dell’Inferno smarrito, confuso, che ci fa pena più che incuterci timore, nonostante le sue pericolose brame. 

Perché Faland offre ai soldati un patto allettante – come solo i diavoli sanno fare – ma che ha disastrose conseguenze? Se si resta in sua compagnia, si berrà vino e non si combatteranno più guerre, ma in cambio lui chiede delle storie, che ogni suo ospite racconta attingendo dalla sua memoria. Ogni storia è un ricordo perso, perché nel momento in cui viene raccontata svanisce dalla mente. Appartiene all’oste. Notte dopo notte, storia dopo storia, cosa resta? Cosa siamo, noi, senza la memoria, il ricordo, il passato? L’annullamento della persona allora avviene in un duplice contesto. La guerra ha costruito in Terra un Nuovo Inferno, opposto a quello Vecchio, che teneva conto dei vizi e delle virtù dei suoi ospiti, mentre nel Nuovo essi non sono che uniformi e numeri su un registro. A questo Nuovo Inferno si adatta un Nuovo Diavolo, che annulla i suoi ospiti allo stesso modo in cui lo fa la guerra: rendendoli vuoti involucri, privati del diritto di essere persone. Si allarga così una metafora splendidamente ricercata, che affonda le sue radici nella letteratura di Dante e di Milton, sfociando ne Le calde mani degli spiriti in una riflessione che si interroga tanto sul destino delle anime quanto su quello dei padroni che queste anime hanno il potere di distruggerle o di salvarle. 

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