OPINIONISTA
Cannibalismo letterario: storie di female rage

Cannibalismo letterario: storie di female rage

La critica sociale che passa da immagini forti, scioccanti e fuori dall’ordinario è solitamente quella che centra meglio il messaggio, qualora lo spettatore voglia intenderlo. Altrimenti, è quella che più viene mal interpretata e distorta: ci si ferma alla prima impressione, al senso di disgusto e di sbagliato che si prova, perdendo completamente la metafora che si ha davanti e la sua potenza. Quando a farlo sono scrittrici donne, in quanto tali appartenenti a un gruppo socialmente minoritario e fortemente oggettificato, e il tema scelto per costruire la metafora è quello del cannibalismo, ecco che i libri diventano malati, grotteschi, scritti da una penna folle. Che una donna possa anche solo pensare certe immagini, metterle nero su bianco, sconvolge. Che mostro abbiamo davanti, quale forma di isteria incurabile?

Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, «Medea», inizi XVII secolo, Londra, collezione privata

La rabbia femminile, generazionale e culturale, prende la forma di assassine e cuoche provette. La riappropriazione di spazi avviene nel modo più violento possibile, unico linguaggio compreso dal mondo moderno. Ed è un sentimento che appartiene indipendentemente dal luogo di provenienza o l’età delle scrittrici che seguono in questa breve lista di consigli, tutte uscite recenti e che rispettano questi canoni. I trigger warning di queste letture sono infiniti. Si tratta chiaramente di lavori distopici o horror in scenari adiacenti alla realtà, dalle descrizioni grafiche, violente e dettagliate. Non importa se siete lettori veterani del genere, o se volete approcciarlo per la prima volta: il fattore shock è forte in tutti i consigli di lettura. Se siete curiosamente affamati, prendete uno snack, e addentriamoci insieme nel macabro.

Sayaka Murata: la regina del weird

Impossibile parlare di un tema così sconvolgente come il cannibalismo senza citare la regina del weird giapponese. Sayaka Murata, scrittrice di Parti e omicidi, è nota per le sue forti critiche sociali, portate avanti in racconti disturbanti,  con protagonisti e protagoniste sociopatiche e non inseriti nella “normale società”, uno specchio delle brutture che vengono nascoste nel Giappone moderno. Le pressioni sociali, le aspettative dei familiari, le norme di comportamento vengono estremizzate e abbattute, lasciando il lettore con un senso di ansiogena confusione al termine di ogni lettura. Impossibile perdere il messaggio quando è così lampante, anche quando ammantato di distorsioni e stranezze. 

In La cerimonia della vita, il primo racconto che dà nome alla raccolta che apre, entra immediatamente nel vivo del mondo strano di Murata. A trenta anni di distanza da quella che noi consideriamo la nostra modernità, il rischio di estinzione della razza umana è più che vivo, visto la decrescita costante della natalità. La nuova norma è quella di incentivare la libertà sessuale, ogni tipo di forma di inseminazione. Il sesso è unicamente procreativo ed è sporco se fatto per piacere o con uso di anticoncezionali. In questa libertà – comunque distorta dal suo essere orientata solo alla prosecuzione della specie e non per riappropriazione del proprio corpovi sono degli spazi considerati sacri per la procreazione. Si tratta delle cerimonie della vita, un tempo note come funerali. Il defunto, in un ultimo atto di altruismo socialmente imposto, “invita” ad un lauto banchetto alla sua veglia funebre. Il menù? Il defunto stesso, solitamente preparato in maniera tradizionale, anche se qualcuno lascia disposizioni molto specifiche in veri e propri ricettari. Vi sono intere agenzie e catering disponibili a preparare i corpi e cucinarli, e l’obiettivo di queste veglie non è solo un’ultima festa per il caro che ha abbandonato la sfera terrestre, ma trovare nuovi possibili partner. La nostra protagonista male si adatta a questa normalità, ricordando quando alla materna tutto ciò non esistesse, e anche solo l’idea di mordere un altro essere umano era considerato un tabù. 

L’intero libro gioca sull’assurdità delle norme moderne, sul vivere o morire, sulla componente sessuale vissuta come qualcosa di peccaminoso e da nascondere in una società i cui numeri stanno vertiginosamente crollando per mancanza di figli. In questo mancato equilibrio, Sayaka Murata entra in scena come la regina assoluta della critica sociale, mal celata dietro a storie assurde: se non vuoi sentirla criticare come la società moderna controlla e punisce la donna, il suo corpo e il suo ruolo imposto dalle norme, perché non leggere come sia giusto mangiare il tuo caro a meno di due giorni dalla morte? 

Sempre dalla stessa autrice, I terrestri ha in sé alcune scene di cannibalismo, immaginario e rituale. Giusto citarlo, anche se il libro è principalmente noto per la tematica degli abusi su minori, il ruolo della famiglia nel distruggere o elevare una persona, la necessità di sentirsi appartenere a qualcosa o qualche luogo. 

A Certain Hunger: un insaziabile appetito

Dorothy Daniels e il suo dolce vivere sono già apparsi sugli schermi di Strega in Biblioteca. Una protagonista di età avanzata, indipendente e integra nella propria persona in un mondo che ha provato a schiacciarla e definirla solo perché donna, una carriera brillante, un piccolo segreto, un vizietto quasi. Che io suoni come un’apologista di una serial killer incallita è normale quando il personaggio è creato per fare innamorare il pubblico, in particolare quello femminile: ecco cosa può voler dire essere una persona che non si conforma alle norme sociali, ma anzi le piega per emergere in cima alla catena di potere.

Manicaretti umani a parte, Chelsea G. Summers utilizza il tema della passione – sentimentale e  carnale – come una lama, dissezionando ciò che il general public preferisce non vedere: un corpo autonomo, una libido libera e non vergognosa. E soprattutto, quanto sono sottili i confini di ciò che è normalizzato rispetto a quello che è demonizzato. La protagonista incarna una rabbia femminile spietata e fredda, calcolatrice nei suoi gesti più estremi. Un racconto ammonitore per coloro che attivamente si impegnano nel reprimerla.  

Il fenomeno web di Agustina Bazterrica: cannibalismo e antispecismo

Tender is the flesh, al momento disponibile in spagnolo e in inglese, ha chiaramente impressionato il pubblico dei lettori distopici. Dopo l’ennesima virulenta pandemia animale, che ha portato alla chiusura di tutti gli allevamenti intensivi, degli zoo, e all’eliminazione degli animali domestici, la carne è ancora una comodità presente sul mercato. Non si chiama con il suo nome, ma con elaborati giri di parole e titoli per indorare la pillola. Perché ad essere avvolti nel cellophane delle vetrine dei macellai e nei supermercati sono pezzi umani.

 

Sconvolgente dalla prima pagina, la lettura immediatamente si immerge in questa distopia dalla fortissima componente antispecista. Niente di quello che viene narrato è irreale: la nascita, crescita e macellazione degli esemplari segue le normalizzate pratiche che ad oggi sono riservate a maiali, mucche e altri animali che riteniamo commestibili. Come guardare un documentario delle condizioni degli allevamenti intensivi senza alcun filtro o censura, questo libro è brutale nella sua veridicità e nel modo in cui si è catapultati in un mondo dove l’uomo è trattato al pari del bestiame. Non è ben specificato come sia iniziata la selezione tra le teste del “nuovo” allevamento e chi dovesse consumarli. Siamo già in un sistema perfettamente oliato e funzionante, e il nostro protagonista ne è quasi al vertice. Attraverso i suoi occhi vediamo come, nonostante sia venuta meno la differenza con gli animali, il razzismo continui ad essere presente (nel pregio che la pelle umana ha sul mercato a seconda della sua sfumatura), così come i ruoli di genere (la donna continua ad essere un oggetto, una comodità per il genere maschile) e le differenze di classe. Il mondo è ancora più pericoloso per chi si azzarda a girare da solo: un mal celato mercato nero attende chi vaga dopo il coprifuoco o in zone non trafficate. Qualsiasi cosa pur di non diventare vegetariani.

La forza di questo romanzo è nella sua trasparente veridicità. Figlio dello scandalo del monopolio della carne che hanno sconvolto il Sud America – tutta l’attenzione alle norme igieniche, ai protocolli burocratici, ai controlli millimetrici – , l’esercizio di scrittura consiste solo nel sostituire ai maiali gli esseri umani, ed ecco che l’orrore inimmaginabile di spalanca davanti agli occhi del lettore. Il fulcro dell’antispecismo sta in questo: perché troviamo così raccapricciante ciò che viene normalmente e giornalmente fatto solo quando è rivolto verso gli esseri umani? 

La fame come manifestazione del vuoto esistenziale: Cronache della mia fame

Il romanzo di esordio di Claire Kohda è ridotto, nelle recensioni sul web, a una moderna novella sul vampirismo. L’ho quasi scartato nella ricerca di titoli sul cannibalismo proprio per questa continua associazione con Carmilla e Dracula. Felicissima di non averlo fatto, perché l’intero libro è basato su un singolo concetto: una fame insaziabile. Il vampirismo è solo uno degli aspetti, metafora del colonialismo occidentale in Asia, e la sete di sangue viene inizialmente facilmente soddisfatta da sangue suino. Ci lasciamo alle spalle lo sbrilluccichio dei Cullen e le atmosfere gotiche della Transilvania. Quello rappresentato è infatti il mito del penanggalan malaysiano che incontra il nukekubi giapponese: un vampiro da culture miste, come la nostra protagonista, che non appartiene a nessuna etnia, alla razza umana o alla società che vive ogni giorno. Un’emarginata, che vive con una vergogna quasi cristiana per la sua peccaminosa esistenza. E che riesce a provare una cosa sola nella sua esistenza: fame.

Fame carnale, fame sentimentale, fame di appartenenza. Se fino a ora le letture si concentravano su vero e proprio cibarsi di persone, qui la metafora diventa astratta. Anche la compagnia umana diventa cibo, così come la necessità di realizzarsi secondo gli standard moderni. Nelle pagine che si susseguono nel romanzo vi è un tentativo continuo di soddisfarle, con scarso successo, mantenendo un apparente vita normale. Dietro alla moderna vampira, si nascondono tematiche che si intrecciano alla storia senza mai essere apertamente affrontate: colonialismo, razzismo, discriminazione etnica e di genere. La voce della protagonista è apatica, stanca di vivere un’esistenza che non ha mai chiesto di avere, in un mondo che non la vede se non come un oggetto. È solo verso il finale che riconosce il modo migliore per placare almeno uno dei suoi appetiti: essere sé stessa senza remore e vergogne, rompendo qualsiasi imposizione sociale. Per mettere a tacere la fame, è necessario che il mostro si svegli.

L’esordiente The Lamb: un gioiello del folklore horror

Dulcis in fundo, una favola folkloristica che diventa uno degli horror più crudeli che ho avuto il piacere di leggere. Il wet dream degli amanti dei cult come La casa e Non aprite quella porta, o del più recente The Vvitch. Per coloro che, quando si addentrano nel bosco, temono i sussurri del vento e le creature che vi si nascondono dietro.

Lucy Rose presenta un romanzo d’esordio che definire spietato è riduttivo. Le protagoniste sono due: una madre e una figlia, che vivono ignorate dalla società ai margini del bosco. Il punto di vista da cui la storia ci viene presentata è quello della bambina, e da subito capiamo che qualcosa non va: nella prima scena che ci viene presentata, gioca con delle dita umane. La sua normalità è quella di avere carne in tavola solo quando qualche malcapitato si perde nel bosco o fora una ruota in prossimità della casa: gente sola, disperata, che non mancherà a nessuno. Nella famigliola li chiamano strays, i randagi. Difficilmente si mangia altro: la madre sembra non lavorare, e la caccia non è così semplice quando non si hanno armi da fuoco. La bambina cresce in una casa dove l’unica manifestazione di affetto nei suoi confronti viene da parte di una donna abusiva, una killer spietata che sente di poter mangiare solo altri esseri umani per poter saziare la propria fame. La figura della madre, pur essendo la seconda protagonista, è ammantata nella luce misteriosa del “genitore”. La bambina, infatti, non la vede se non come sua madre. E questa visione della maternità come assolutista nel ruolo della donna è uno dei temi che viene sviscerato, nella foga dei dialoghi urlati e la violenza con cui il corpo e la mente di una donna possono subire in questo mutamento di ruolo. Tutto cambia quando alla porta si presenta una donna che non è capitata lì per caso, ma che stava attivamente cercando la fonte delle misteriose sparizioni in quella zona. Non una detective, ma una futura complice degli omicidi. E la casa comincia a diventare stretta per tre persone.

Un finale straziante è quello che conclude una favola horror che diventa tragedia. Tra incantesimi di magia popolare e macellazione casalinga, la storia ci mette sotto gli occhi la realtà di quanto i soggetti socialmente emarginati siano invisibili agli occhi della società, non importa quanto forte il loro grido di aiuto. Come quello della donna sia un ruolo sociale con delle regole preimpostate, da cui fuggire è difficile e doloroso. Di come i rapporti familiari siano complessi, e la casa possa essere un luogo non sicuro. Della sfida di un corpo che cambia, il bullismo tra i banchi di scuola, e la difficoltà dei rapporti interpersonali. Un romanzo d’esordio forte, nei contenuti espliciti e nelle critiche che smuove, in arrivo nel 2025.

Un ultimo libro sul tema: un "ni"...

Nel cercare libri che soddisfacessero la mia curiosità sul tema del cannibalismo trattato come metafora, e non come fenomeno in sé, mi sono certamente imbattuta in flop o libri disturbanti per altri motivi. L’unica menzione speciale che mi sento di fare è una brevissima raccolta di racconti, che sembra figlia del fenomeno delle storie horror in due frasi, super popolare sul web. Pornography for the end of the world è un misto di distopia, body horror e crudeltà pura che, nonostante reputi di avere uno stomaco forte per le letture macabre, mi ha messa seriamente in difficoltà. Il cannibalismo è presente in uno dei racconti, facente parte del tema della nostalgia per un mondo preatomico in cui è ambientata la storia. Ma è solo una minima parte degli orrori della lettura, e per quanto affascinante nel suo essere disgustoso, solo parzialmente attinente agli altri libri. Brendan Vidito, l’autore, è anche parte di RIPE: Tales of Hunger and Desire, dove in sedici diversi racconti, molte voci esplorano il tema dell’incrocio di sessualità e cibo.

 

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